Test clinici, farmaci e placebo. Una montagna di balle.
Sono andato ad indagare su cosa siano e come vengano svolti i test clinici sui nuovi farmaci.
Tanto per iniziare c’è da chiarire che non esiste un farmaco privo di effetti collaterali. La prima parte della sperimentazione, consiste proprio nel determinare quanto un farmaco sia tossico. Nelle successive fasi, i cosiddetti “trials” (test clinici), si cercherà di capire quanto un farmaco sia davvero efficace, e se la sua efficacia superi la gravità degli effetti collaterali.
Un test clinico, implica normalmente che i pazienti soggetti della sperimentazione vengano divisi in due gruppi. Al primo viene somministrato il nuovo farmaco, al secondo un farmaco preesistente, notoriamente già efficace (e già qui mi viene da ridere), oppure un placebo, ovvero un preparato totalmente inattivo.
Quando questo trial viene eseguito senza che i pazienti sappiano se riceveranno un farmaco o un placebo, si dice studio “a cieco”. Quando neppure chi somministra la cura sperimentale sa se sta dando il farmaco o il placebo, si parla di “doppio cieco”. La differenza statistica tra le percentuali di miglioramento dei due gruppi dice se un farmaco è efficace o no. Notare che basta che la differenza superi pochi punti percentuali perchè un farmaco venga giudicato efficace.
Ora, quello di cui dobbiamo renderci conto è che questi “trials” costano un mucchio di soldi. Un esorbitante mucchio di soldi. Quindi nella sperimentazione in questione si cercano regolarmente degli sponsor. Casualmente questi sponsor sono quasi sempre le case farmaceutiche stesse. Quindi si parte già con un piede sbagliato: non ha senso che a fornire i fondi per sperimentare l’efficacia di un farmaco sia la stessa azienda che lo produce. Mi sembra abbastanza ovvio.
Un’altra cosa interessante è che non tutti i nuovi farmaci vengono sperimentati a cieco o doppio cieco. Il che significa che non per tutti viene stabilito l’effettivo risultato contro un gruppo di controllo trattato a placebo o con un farmaco già esistente.
Ma qui la cosa si fa interessante. Non molto tempo fa, nel 2003 per la precisione, il Sig. Allen Roses, vicepresidente mondiale del settore genetica della GlaxoSmithKline, uno dei colossi farmaceutici, affermò pubblicamente che “la maggior parte dei loro farmaci era efficace in una percentuale variabile dal 30 al 50% dei casi trattati” (trovate QUI l’intervista originale). Giusto per dare un’idea, i farmaci indicati alla sezione oncologia risultano efficaci nel 25% dei casi trattati. Il Sig. Roses continua nella sua intervista spiegando che si tratta di una cosa ben nota tra tutte le case farmaceutiche, ma che ovviamente non viene rivelata al pubblico.
Ma parliamo dell’effetto placebo. Questo “misterioso” effetto, è conosciuto da centinaia d’anni. Sostanzialmente è quell’effetto per cui ti danno acqua e zucchero dicendoti che è un farmaco potentissimo e tu guarisci.
L’effetto placebo varia in misura incredibile a seconda di un mucchio di fattori: il luogo, la persona, il tipo di patologia per cui lo si studia… ma una cosa è certa: l’effetto c’è nonostante qualche idiota ancora si ostini a dire che non esiste. Credo che in un caso o nell’altro più o meno tutti lo abbiano sperimentato.
Orbene, esistono alcune classi di patologie in cui il miglioramento dietro somministrazione di un semplice placebo supera la percentuale dell’80%. Per molte altre vi sono percentuali oscillanti dal 20% a oltre il 60%. Trovate la tabella in questa pagina.
Risulta ovvio a questo punto che se l’effetto in questione deriva dal fatto che il paziente “sa” che gli viene dato un farmaco efficace, allora lo stesso effetto deve entrare in gioco quando si somministra un farmaco “vero”. Ma se la maggior parte dei farmaci è inefficace in più della metà dei pazienti, qualcuno mi spiega che differenza passa tra questi farmaci e il placebo?
Un’altra osservazione: l’effetto placebo varia in modo sensibile a seconda della zona del mondo in cui lo si misura, e indipendentemente da ciò per cui lo si misura. Vale a dire: se ad esempio si fa uno studio a doppio cieco su un nuovo farmaco ad Hong Kong, la percentuale di miglioramento nel gruppo trattato con il placebo è del 30%. Se la stessa cosa si fa in Finlandia la percentuale sale al 70%. Quindi, a meno di non conoscere esattamente le percentuali di sensibilità al placebo della zona in cui viene condotto il trial per un dato farmaco (sempre che sia un trial a cieco o doppio cieco), quel trial non è significativo.
E’ chiaro che l’efficacia di alcuni farmaci non può essere negata. Ma è altrettanto chiaro che per molti altri vale quanto segue:
1) Nessun farmaco è privo di effetti collaterali. Al massimo si dice che tali effetti sono inferiori ai benefici portati dall’uso del farmaco stesso.
2) La ricerca sui nuovi farmaci viene finanziata quasi esclusivamente dalle case farmaceutiche che li producono.
3) Anche i test clinici volti a determinare l’efficacia di un farmaco vengono finanziati quasi esclusivamente dalle case farmaceutiche che li producono.
4) I suddetti test clinici molto raramente vengono effettuati a doppio cieco.
5) Quand’anche lo sono la percentuale di efficacia non è affidabile per la variabilità della sensibilità della popolazione all’effetto placebo.
6) Uno dei maggiori dirigenti della Glaxo ha ammeso pubblicamente che la maggior parte dei farmaci sul mercato funziona in meno della metà dei casi, percentuale paragonabile tranquillamente a quella di un effetto placebo.
Ma davvero volete continuare a ingozzarvi di Aulin?
ho tovato un piccolo libro che nella sua semplicità ha allargato la mia visione sull’argomento dell’effetto placebo,si intitola ‑l’uomo che voleva essere felice-. :finger: love
Voler essere felici… nulla di meglio in assoluto. L’unico desiderio che potrebbe tirar fuori chiunque dalla merda. Bisogna vedere però QUANTO si voglia essere felici!!! :whatever: