Dall’Estetica alla Verità. Armonia, Intensità. (2 di 3)

Ancora una volta tuffiamoci nella saggezza popolare. “Ogni scarrafone è bello per mamma sua.” Insieme al detto precedente, questa frase ci permette di evincere due concetti fondamentali: la soggettività del bello da un lato ma anche l’indipendenza del bello da canoni estetici posti in essere dall’uomo.

Tuttavia esiste una bellezza reale, oggettiva. E non ha nulla a che vedere con cosce più o meno tornite o seni più o meno grandi e pieni in quanto attributi fisici. In realtà la bellezza reale è qualcosa che lascia trasparire, che corrisponde a principi elevati.

Un seno florido è bello perchè manifesta alcuni principi particolari. Un “bel” viso può essere mostruoso per qualcuno appartenente ad una diversa etnia o razza. Allo stesso modo in cui un uomo o una donna, esteticamente brutti, possono diventare bellissimi se esprimono qualcosa di profondamente armonico in se’.

L’armonia è quindi la qualità, la “sostanza” alla base del concetto di estetica, completamente avulso dai parametri propri di un’epoca o un’etnia.

Il concetto di armonia è forse un po’ più semplice da spiegare, facendo ancora ricorso all’etimologia; viene dal greco “Armozein” che significa “connettere“, “collegare“. Armonia può essere espressa come “insieme assonante”, “collegato”. In una parola: unito.

Armonico è ciò che è in unità, nel senso di completo, di assonante in se’ stesso e con ciò che lo circonda.

Osservare qualcosa di armonico produrrà invariabilmente l’espressione: “Che bello!”

La bellezza quindi è un’espressione dell’armonia e, quantomeno nella condizione corretta, l’uomo tende naturalmente al piacere, quindi al bello e in ultima analisi all’armonia.

Ma la ricerca dell’armonia produce esperienza e l’esperienza non può che produrre attrito, in quanto per esperire occorre operare uno sforzo. Sforzo significa andare contro a qualcosa, in questo caso alla tendenza dell’universo a muoversi nella direzione opposta, ovvero quella del minimo sforzo.

Lo sforzo a sua volta abbisogna di un fine cui tendere, di una ragione per essere e di energia per essere protratto nel tempo fino al conseguimento del risultato, a discapito dell’attrito prodotto. (Incidentalmente questo attrito produrrà degli “scarti di lavorazione”, del materiale di riporto esattamente nello stesso modo in cui spingendo una mano nella sabbia provochiamo degli accumuli ai lati del solco che scaviamo con le dita. Sono proprio questi scarti che generano sofferenza, nell’accumularsi lungo il percorso della mano come in quello dell’essere umano.

Questa è la sofferenza, o meglio quella parte di essa rappresentata dalle emozioni negative, per le quali tanti tendono a sviluppare una vera e propria tossicodipendenza).

Lo sforzo quindi produce sofferenza da un lato, ma avvicina a ciò verso cui si muove, ovvero l’armonia, il bello. Uno sforzo protratto nel tempo però ha anche un aspetto collaterale molto interessante: genera intensità.

L’energia utilizzata per produrre uno sforzo non è infinita; pccorre rinnovarla in continuazione. Ma se il nostro sforzo tende all’armonia anche l’energia che dovremo utilizzare per produrlo dovrà avere una qualità armonica, altrimenti non potrà essere utilizzata per il nostro scopo (ovvero quello di avvicinarci ad un’armonia maggiore della nostra).

Il lavoro per reperire quest’energia di ricambio sarà molto simile a quello per produrre lo sforzo desiderato, ed ecco da dove viene l’intensità; dalla necessità di far convergere tutto quello che si ha a disposizione in direzione dello sforzo.

continua

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