Fare
Risposta: “Sono un venditore”
Domanda fatta un milione di volte, risposta data altrettante (al di là del termine “venditore”, avrei potuto scrivere commercialista, alpinista o qualsiasi altra professione)
Eppure in questo classico scambio è contenuta una delle più grandi fregature dei nostri tempi.
La domanda infatti usa il verbo “fare”. La risposta, invece, il verbo “essere”.
Ma fare una cosa non significa essere quella cosa.
O meglio, non dovrebbe. Però, nella stragrande maggioranza dei casi, è proprio così. Si chiama “identificazione”, un fenomeno che accade quando si perde se’ stessi, seppur in misure diverse.
L’essere umano odierno è molto identificato con il proprio lavoro. Al punto che la risposta data sopra non è affatto rara, anzi.
E non è solo questione di uso improprio dell’italiano; è realmente un “lapsus linguae” che rivela una verità molto profonda ed altrettanto triste della nostra era: l’identificazione della propria vita con il lavoro che si svolge per guadagnare denaro.
Il che, la dice tutta.
La propria vita, essere, non ha nulla a che vedere con ciò che si fa. Noi non siamo le nostre azioni. Teoricamente potremmo essere vivi senza fare alcuna azione.
Anzi, guarda caso, è proprio una di quelle cose che tutte le discipline e le filosofie più antiche sostengono.
“Essere o avere” un titolo di Erich Fromm che, parafrasato nel nostro caso suonerebbe come “Essere non è fare”.
Ma l’essere umano oggi è così dimentico di ciò che potrebbe essere, se solo se ne accorgesse, che si perde nel fare.
Così facendo, perde il senso di se’ stesso al punto che, una volta cessato il fare e andato in pensione, rischia di morire.
E’ così abituato a essere ciò che fa che il non fare per lui significa “non essere”.
E quindi si ammala o addirittura muore.
Occorre essere per fare, in realtà. Altrimenti il nostro fare si riduce ad una vuota cessione del nostro tempo, il tempo della nostra vita, qualcosa che nessuno ci potrà mai dare o rendere, in cambio di denaro.
Il tempo, rendiamocene conto, è quello che è. Ogni volta che ne dedichiamo a qualcuno, quel tempo che era nostro è andato, finito. Nessuno ce lo potrà sostituire con altro tempo ancora da vivere. Anche se la stessa persona a cui l’abbiamo donato ce ne dedicherà a sua volta, questo non allungherà la nostra vita di un solo millisecondo.
Non sto dicendo di non fare, perchè nella nostra era è molto difficile (oltre che assurdo).
Sto dicendo che il tempo a nostra disposizione per “essere” non è infinito.
Cerchiamo di rendercene conto e di renderci conto che può fare solo chi è.
Chi non è, non fa.
Oppure fa a tutto vantaggio di qualcun altro.
Ecco la fregatura.
Grazie,
questo articolo mi sarà utile.
Ciao Franz
Mi fa piacere ti sia stato utile!
Tempo fa, in un libro sullo sviluppo personale che non ricordo, lessi una “equazione” che mi colpì molto perchè ribaltava sia la concezione moderna di cui parli (fare per essere), sia la dicotomia fra l’essere e l’avere:
Più sei, più sai. Più sai, più fai. Più fai…più hai.
Quindi, se vuoi avere…devi innanzitutto essere!!!
Interessante, no?
Concordo!
E’ molto interessante quello che dici Franz, e soprattutto è dolorosamente vero.
Ciò che mi sconcerta è che non solo l’essere umano si dimentica che “essere” non è “fare” ma soprattutto fin da piccolo si abitua a pensare così perchè gli viene insegnato a farlo, in famiglia e a scuola.
Quante volte abbiamo sentito un dialogo come questo:
“Mio figlio ha finalmente trovato lavoro, nell’azienda XY”
“Oh che bello, ha finalmente trovato la sua strada nella vita”
Personalmente credo che svolgere una professione, qualsiasi essa sia, sia creare le condizioni per avere un reddito, e utilizzare questo reddito per fare altro: sopravvivere, vivere… e magari farsi un paio di domande!
Buon pomeriggio ^^
beh…è significativo che negli ambienti più borghesi ..la prima domanda quando conosci
qualcuno , o quando rivedi qualcuno che non vedi da tempo, è “ciao..tu che fai nella vita?”… premesso che essendo del sud (dove non c’è spesso lavoro), la domanda tende ad essere elusa, ma ‚aldilà di questo, è raro..davvero raro che qualcuno ti chieda “come stai?” (cioè “come stai veramente?”..e non una frase meccanica a cui rispondere “bene-tu!” altrettanto meccanicamente)..“come stai?”, se detto con la “giusta intenzione”, suona all’incirca “come SEI?”..“come procede il tuo essere?..la tua evoluzione?”..
ecco..la domanda da fare sarebbe “come va la tua evoluzione?”..“bene…sono alla ricerca!..e sto scoprendo molto di me”..questo dovrebbe essere un dialogo serio..
invece…mi accade spesso: conosco una ragazza , magari in un contesto fighetto, e subito lei mi chiede da manuale “cosa fai nella vita?” (e se rispondo “ingegnere”..“architetto”..“storico del teatro” ..“pittore”..o “geometra” rivelo qualcosa del mio essere?)e in genere rispondo in modo da costringerla a farmi una VERA domanda ..allora, lei si aspetta che anche io faccia la stessa domanda (in genere è prontissima a rispondere, visto che il lavoro è la sua “identità” da presentare al mondo)..e io invece chiedo spesso.. spessissimo.. “fai qualcosa che ti PIACE?”…il che è per me è decisamente più interessante e rivelatorio da sapere, perchè il fare si lega all’essere quando è accompagnato dal “piacere-di-fare”…e allora lì rimangono spiazzate e nei due-tre sec successivi pensano, in crescendo: “e mò questo che cazzo vuole?” “piacere??? non mi sono mai posta il problema” “oddio, e se dico che non AMO affatto quello che faccio..poi che pensa? sono una sfigata?”..
le persone più interessanti sono in grado di dirti cosa provano in relazione al fare…altre, molto spesso, eludono la domanda e ti guardano con sospetto come se avessi chiesto il codice iban del conto corrente!..
è ovvio che il fare è strettamente legato all’essere…la Conoscenza, la conquista della Conoscenza, passa dal “fare”..cioè da un percorso pragmatico…ma l’ordine logico è dato dall’essere che manifesta i suoi impulsi e dal fare che li modella..e non viceversa..anche se è ovvio che attraverso il fare l’uomo può rivelare se stesso..e affinare se stesso nella sua espressione nella materia..ma l’essere “è” anche in stato di quiete..“è” e basta..che tu faccia o meno..
Ramana Maharsi, il grande mistico indiano, è rimasto immobile per anni, a partire da quando aveva 15 anni…e fu riconosciuto subito come una grande anima, per la sua qualità di “presenza”; se fosse stato in Europa o in America, un ragazzo simile lo avrebbero subito internato..
se poi mettiamo che molte persone NON fanno affatto quello verso cui la loro natura creativa li condurrebbe..beh…capiamo come il meccanismo del “fare per fare ” con valenza sociale (devi portare il pane a casa..devi avere un lavoro…un ruolo nella società ecc..) sia un meccanismo assolutamente ingannevole, che conduce dritto sritto all’infelicità.
per concludere: mi viene in mente il citatissimo dialogo di Nanni Moretti “vado in giro..vedo gente..faccio cose” , con Moretti che sbraita “sì..ma in concreto che fai?”.. beh..è un dialogo istruttivo, Moretti da bravo cinico coglie la retorica della tipa, ma non riesce a concepire la possibilità di essere senza fare.…e la tipa rivendica il suo essere senza dover fare qualcosa di preciso..pur mascherando un lassismo e il suo non saper fare nulla..
essere e fare sono collegati…ma l’uno esiste prima e dopo il nostro passaggio nel mondo..e l’altro esiste solo in funzione del primo…
“due uccelli sono su un ramo: uno becca l’albero..l’altro osserva immobile. uno morirà..l’altro vivrà in eterno” (è scritto nei veda e nelle upanishad)
ciao
Interessante riflessione. A dire il vero, questa considerazione, di tanto in tanto mi gira per la testa anche a me quando mi siedo dietro la scrivania a “fare”. Quel fare per me significa sopravvivere. E sopravvivere nella nostra società è collegato al vivere ma ha un significato ben diverso che la gente spesso dimentica perchè è troppo impegnata a fare e non ad essere, proprio come me. Il problema è che io me ne rendo conto. Probabilmente molte persone no e stanno decisamente meglio. Magari mi sbaglio. Fingono pure loro e sotto sotto sanno di sopravvivere.
Bell’articolo. Complimenti.
Grazie CNJ. Chi non se ne rende conto, non sta meglio. Semplicemente, come dici tu, non si accorge di quanto, ogni giorno, stia peggio. Fino a che non è troppo tardi.
Per citare “padrona del suo destino”:
“L’inferno non è nulla di fronte alla consapevolezza di aver vissuto un’intera vita nell’errore”
Più che essere un problema vivere nell’errore secondo me è terribile vivere nel “sonno”. A volte torno a casa la sera e mi accorgo di essere stato “assente” per il 90% del tempo e questo mi da’ estremamente fastidio. Da qualche parte ho sentito che ad ogni persona dal momento della nascita viene donato un numero di respiri, ed è meglio sprecarne il meno possibile. Mi piace di + questa misura del tempo in “respiri” perchè per me il respiro è direttamente collegato alla presenza… se respiro a fondo con intenzione sono presente, altrimenti no.
Discussione bellissima,attuale e dannatamente vera,in una società che impone modelli del fare !
Ma pochi ti sussurrano che la vita è ESSERE !!!!!
rileggevo il tuo articolo, franz, e sono sostanzialmente d’accordo sul fatto che “non-fare NON è uguale a non-essere”..si può essere senza fare..anzi nell’immobilità si abbandona ogni scopo (è ciò che proietta nel futuro) e si riscopre nella quiete il presente..e l’essere è sempre nel presente!
l’essere è il continuum…“è”…come presenza perenne in sottofondo..che si faccia qualcosa o meno.. e il non-fare consente questo “reintro” nella casa natìa, nel luogo dell’origine (il VERO centro)
però..trovo pericoloso e ingannevole separare con l’accetta essere e fare..
è giusto separare l’essere dall’identificazione con l’attività fatta per campare e “guadagnarsi da vivere”… ma..anche se si abbandona l’identificazione – che fa sì che noi ci percepiamo solo nei risultati esterni , magari quelli riconosciuti dagli altri (e che potrebbero non riguardare il nostro intimo) – il fare rimane comunque il nostro modo di esperire il mondo, di toccare il mondo.. e questo è un aspetto dell’essere.
in questo spazio tempo, in questo pianeta , in questa incarnazione siamo chiamati a fare.. Arjuna non può non fare, non può non combattere, è il suo karma che lo conduce verso il Dharma..e anche se scopre l’azione priva di ego, un’azione priva di attaccamento…non può esimersi cmq dall’azione..
questo non riguarda solo lui, ovviamente, riguarda tutti…
il rapporto tra essere e fare non è, amio avviso, facilmente riducibile ad una netta separazione all’atto pratico …
perchè l’ ”essere”, questo sconosciuto, rimane bello nascosto o seppellito dal frastuono del mondo…dalle attività esterne che ci travolgono..
ma è anche vero che tramite un “fare” che non scaturisce dagli altri, ma che sentiamo come un bisogno profondo, questa cosa interiore chiamata “essere” può timidamente rivelarsi!
e allora c’è un gioco di rimando tra fare ed essere..
la nostra creatività profonda ci conduce come un demone a fare.…mozart non può non fare musica…il suo essere non è certamente limitato a quello, ma il suo destino in quella vita è stato strettamente legato al fare…il suo “essere” si è rivelato e manifestato tramite il fare…e la vedo difficile diventare mozart, mohammed alì, einstein o picasso senza passare molte ore a “fare”… ma anche senza essere un’eccellenza in qualcosa, nel nostro piccolo siamo chiamati a fare, è così che il nostro essere si evolve di incarnazione in incarnazione…come un attore che fa esperienza di molti personaggi ed emozioni sul palco, ma li lascia – arricchito – quando scende dal palco, riscoprendo il volto reale dietro la maschera..
si deve abbandonare l’ ”identificazione” con il fare e con lo scopo del fare (e tralascio del tutto l’azione condizionata da schemi sociali , completamente alienata dal nostro essere), ma il fare in sè, senza attaccamenti, è manifestazione dell’essere.
nella quiete si scopre l’essere eterno, ma nel fare si scopre “l’essere nel mondo”..e i due aspetti devono coesistere..(nirvana e samsara insieme)
per come la vedo io: senza l’essere l’azione è niente, vuota…
ma senza il fare, l’essere non sperimenta la materia..
se hai tempo e voglia, franz, ritorna su questo argomento…il rapporto tra essere e fare è uno dei nodi complessi del nostro mondo (che io sento in modo doloroso)..