Tracce di Profumo: L'ultimo Atto – By Valeria
Arriva come una sorta di gelo: la “mente razionale” percepisce qualcosa che codifica come assolutamente credibile e coerente mentre intuitivamente si avverte una lieve dissonanza, una disarmonia in parole dal contenuto in apparenza chiarificatrice.
Nel contesto di un dialogo è più evidente perché l’interlocutore non ha il tempo di mediare e pesare, di valutare ciò che sta esprimendo, non stilla un testo che può correggere e limare.
E poi parla anche il suo corpo, la gestualità, lo sguardo che integrano e riempiono gli spazi di parole non dette, di pensieri taciuti, di paure inespresse.
Mentre invece, quando leggiamo un testo scritto, le parole possono scivolare via esteriormente coerenti, lucide, chiare.
Ma quando nel rileggerlo sorge spontaneo il dubbio: “scusa ma credo di non aver capito”, allora forse quel testo nasconde qualcosa.
Spesso non è ciò che è scritto che non risulta chiaro ma ciò che l’autore, in quel testo, ha deliberatamente omesso.
In uno scritto di questa natura ciò che fa percepire una dissonanza non è tanto quel che è espresso poco chiaramente, o in modo contraddittorio o confuso bensì una sorta di “vuoto” che si insinua fra le righe e che contiene il timore della verità, la paura del confronto o del giudizio, o più semplicemente, il timore di esporsi vedendo non esaudita la propria volontà.
Sono pensieri deliberatamente taciuti, pensieri che, pur giunti in superficie, non si osa esprimere.
Sono tuttavia quelli più vicini alla verità, proprio quelli che andrebbero sondati e compresi e non omessi, non occultati al nostro interlocutore e, soprattutto, a noi stessi.
In quelle parole taciute vi è contenuta tutta la saggezza dell’autenticità.
Il resto è solo costruzione mentale, gioco delle parti, movimento egioco, artificioso rapportarsi agli altri.
Chi si esprime è la maschera, il personaggio, che in quel momento è entrato in scena cercando di indurre nel pubblico una specifica emozione, come la gioia o il dolore, lo stupore, la meraviglia, l’infelicità, l’attrazione, la fiducia, la sfiducia, la nostalgia, l’ansia, la paura…
E il pubblico spesso diventa quell’emozione dimentico della farsa, dimentico che si tratta solo di una parodia della vita che si svolge lì, sul palco. Dimentico infondo di se stesso e completamente immerso nell’emozione che l’attore induce.
A teatro vi è un momento di sublime intensità: quando il sipario si chiude sui personaggi e poco dopo si riapre sugli attori. Alla fine dell’ultimo atto.
E’ una sorta di “scambio”, come la pausa fra inspirazione ed espirazione.
Corrisponde all’istante in cui si prende di nuovo coscienza del proprio corpo e della propria presenza e può sorgere spontanea la domanda: “ma chi è l’attore che mi ha fatto gioire e soffrire, e chi invece l’uomo?
E io, chi sono?”