Parola chiave: networking
Meglio ancora… collaborazione. Senza formalità, senza impegni fissi. Quello che serve è la disponibilità e la mancanza di volontà di accentrare su di se’ le funzioni.
E’ un concetto semplice, mi pare, piuttosto vecchio; non credo certo di star parlando di qualcosa di nuovo.
Eppure al giorno d’oggi sempbra che molte realtà aziendali si siano dimenticate di questa semplicissima nozione.
Collaborare non è impossibile. Anzi, è la chiave di volta per il business di domani, specialmente in ambito tecnico.
La specializzazione è infatti arrivata a livelli particolarmente elevati, al punto che, per fare quello che prima si faceva con un solo specialista, oggi ne occorrono mediamente tre.
Il che significa che per un’azienda, mantenere un livello di qualità sufficientemente alto, implica due possibili soluzioni: lasciare una fetta del mercato (quella corrispondente ai due specialisti in più) oppure assumere tre persone al posto di una. Nel primo caso, il business si trova a precipitare, nel secondo sono le spese a triplicare, con conseguente aumento del prezzo o riduzione del margine.
L’outsourcing (ovvero l’affidare una parte dell’impegno a terze parti), serve a questo. Il problema è che, per avere una buona partnership con un’azienda di outsourcing, la scelta è obbligata: scegliere un partner che abbia al proprio interno tutte le risorse con gli skill necessari.
Già, bravi! Così si trasferisce il problema da committente a commesso, i prezzi aumentano comunque e il tutto va a discapito della qualità del servizio (perchè l’outsourcer il più delle volte non ha la risorsa in casa e la deve selezionare al volo).
Quindi, qual’è la soluzione?
Il networking. Ovvero mappare una rete di collaboratori che accettano la non regolarità dell’incarico e della retribuzione, a fronte di un aumentato numero di committenti.
In altre parole, se io collaboro con una sola azienda, quella sarà costretta ad assorbire tutto il mio costo. Ma se io collaboro con tre diverse aziende, su richiesta e non su contratto continuativo, il risultato sarà che, con molta probabilità, guadagnerò di più, perchè a fronte della minor garanzia di continuità, potrò chiedere un prezzo leggermente più alto, percependo compensi da più aziende.
Dal lato dell’azienda questo significa un sacco di gatte in meno da pelare, una sacco di soldi in meno da sborsare (e tra l’altro sempre e solo sul venduto, quindi fine dei costi fissi del personale, una delle voci più micidiali in un’azienda) e la garanzia comunque di avere un professionista serio a disposizione, ma solo quando serve.
In altre parole ci guadagneremmo tutti.
Cosa ci impedisce di implementare questo principio?
Nulla, in realtà, se non la secolare ricerca del posto fisso. Una cosa che è rimasta viva solo in Italia (con i risultati che possiamo vedere tutti).
Concordo pienamente. E’ il futuro del mondo del lavoro, ma anche di altri ambiti dove il principio di collaborazione farebbe la differenza.
Non solo dal punto di vista economico ma anche da quello evolutivo in generale.
.…sempre se un futuro lo vogliamo 😉
Non sono d’accordo che il networking trovi il suo ostacolo nella secolare ricerca del posto fisso.
Il mercato già costringe comunque, milioni di persone al precariato, e di proposito non affronto il tema della ricerca di sicurezza, nella vita e nel lavoro… che riempirebbe l’intero blog!
Da una parte ci sono committenti che non hanno alcun desiderio di avvalersi di consulenze preparate e professionali (con un costo proporzionato al servizio), che giocano al ribasso sfrenato, destinano le risorse in contratti con gli “amici degli amici”… Spesso di livello professionale… discutibile!
Dall’altra parte (spesso sapendo che vale più la conoscenza giusta, o le cosce giuste, piuttosto che il Curriculum giusto), non è facile trovare consulenti “con le palle”.
E poi ci sono le gelosie, i segreti di pulcinella e la mentalità provinciale che contraddistingue l’italico pensare.
Certo non è sempre così, e in linea teorica il tuo ragionamento non fa una grinza, però mi sono sempre chiesto cosa ostacola l’interscambio nel mercato del lavoro, in fin dei conti, se è una questione di incontro tra domanda e offerta, l’azienda ha bisogno del lavoratore (manuale, di concetto o consulente), il lavoratore ha bisogno dell’azienda. Pare però che le prime facciano di tutto per svincolarsi dai secondi.. E i secondi, obbiettivamente e mediamente, non propongano qualità irrinunciabili. In questo bailamme, dove evidentemente c’è qualcosa che non torna, credo che si potrebbe migliorare se si tornasse a dare un ruolo centrale alla persona.
Non come “risorsa umana” – brrr! – non come numero anonimo, ma accogliendo e utilizzando intelligentemente, i contributi che la propria “diversità” può dare.