Il trucco del paletto. Usare la mente per non fallire.
E’ un trucco semplice in sostanza, ma che necessita di qualche esercizio prima di divenire efficace. A molte persone capita di avere un’intuizione, un’idea, di realizzare qualcosa di importante insomma, che potrebbe portarle ad essere più efficaci, a stare meglio nella vita o anche solo a comprenderne meglio le meccaniche.
Solo che, quando la condizione che ha portato l’insight cessa, lentamente ritornano ad una situazione che le fa dubitare di ciò che avevano realizzato o percepito. E l’idea geniale viene dimenticata.
Questo accade perchè nella stragrande maggioranza dei casi, quando si genera l’insight (ovvero l’intuizione realizzativa), questo avviene in un momento in cui si “cambia velocità”, nel senso che un momentaneo allineamento interno porta l’insieme corpo-mente-emozioni a vibrare su una frequenza più elevata. Tale frequenza, a meno di uno sforzo consapevole, tende spontaneamente a riabbassarsi dopo un tempo non molto lungo.
Quando la consapevolezza ritorna ai livelli ordinari, si percepisce quello che è accaduto nel piano vibratorio più elevato con una caratteristica che potremmo definire quasi onirica. In altre parole si ha il dubbio di avere sognato.
La realtà è che la differenza di velocità a cui funzionava tutto il “pacchetto” genera questa illusione, cosa che porta ad accantonare tutta l’esperienza come irreale o non pregnante.
Un modo per evitare che questo accada è, nel momento stesso in cui ci si trova in questa condizione di grazia, quello di verbalizzare l’intuizione a voce alta, rivolgendosi a qualche amico, ad esempio (purche non si metta a discutere ovviamente), oppure anche solo a se’ stessi.
Il procedere con un atto di questo tipo porta a “formalizzare” (nel senso di dare una forma) al concettto ma, cosa ancora più importante, ad imprimerlo nella memoria in modo assolutamente più incisivo.
Mentre si procede con questo “atto formale”, occorre pensare al fatto che quanto stiamo dicendo, ovvero quello che abbiamo intuito, corrisponde a qualcosa che abbiamo sperimentato realmente.
In questo modo, al ritorno ad una condizione percettiva più “normale” (in realtà più lenta), aggireremo il grande ostacolo costituito dalla memoria.
L’esperienza in se’ infatti, in quanto tale, tenderà a sbiadire, a cambiare all’interno della memoria. La qualità sperimentata, non essendo più reale, verrà sostituita dal ricordo della stessa che, al rallentamento della velocità percettiva, verrà completamente alterato.
Questo però non vale (o vale molto meno) per le parole che avremo pronunciato e per il pensiero che avremo formulato a proposito della loro realtà.
Dato che avremo a disposizione solo il ricordo dell’esperienza e non l’esperienza stessa, le parole da noi pronunciate saranno l’unica cosa che difficilmente cambierà.
Per chiarire con un esempio (abbastanza estremo, per essere efficaci), supponiamo che, in un dato momento, una persona realizzi per insight la connessione tra la volontà ed il modo di metterla in atto nella materia in modo efficace. La realizzazione occorre in un singolo istante e viene seguita da una serie di pensieri estremamente coerenti e in cascata uno dietro l’altro per un tempo che soggettivamente sembra molto più lungo di quanto non sarebbe per un ipotetico osservatore esterno.
Verbalizzando tali pensieri, daremo al nostro cervello un trait d’union su cui basare il ricordo di quello che abbiamo capito, quando la condizione di estrema accelerazione interna verrà a cessare e con essa il varco di comprensione che abbiamo avuto a disposizione si richiuderà.
Il ricordo delle parole pronunciate (parole che possono magari non essere perfettamente univoche ma che sicuramente lo sono di più del ricordo di un’idea cui non abbiamo più accesso), fornirà un paletto fisso nel mondo variabile della memoria.
A quel punto sarà possibile rifarsi a quel ricordo con la ragionevole possibilità di non sostituire all’esperienza ricordi sempre più diluiti della stessa.
Con questo sistema è possibile inoltre dare al cervello un modo per ricordare di più i “passaggi realizzativi” che hanno portato a quella condizione di accelerazione e quindi ricostruire il percorso fatto, il che potrebbe portare (non è detto che accada, purtroppo) alla possibilità di ricreare a volontà quel particolare stato vibratorio.
Non è un trucco particolarmente pulito, lo riconosco. Ma a me è stato spesso utile per non perdere per strada delle comprensioni molto importanti.
Poi, ovviamente, vedete un po’ voi…
Confermo l’importanza di questo trucco (per averlo sperimentato più volte personalmente).
Post molto utile Franz. Complimenti.
vero.