Ascoltare la musica per guardarsi dentro
Ci sono tanti modi di ascoltare la musica, alla fine riassumibili in tre macrocategorie.
Standone fuori, lasciandola entrare, partecipando con il cuore e con la mente.
Il primo è il modo ordinario. La musica di sottofondo che accompagna altre attività viene abitualmente ascoltata in questo modo. Diventa una sorta di “tappeto” su cui si fanno altre cose che assorbono la nostra attenzione.
Il secondo è già meno frequente. Viene utilizzato nei concerti, oppure da quegli amanti di questo o quel genere quando decidono di rilassare la mente e le emozioni, immergendosi in un brano del genere preferito. La musica allora entra (di solito questo genere di ascolto viene operato con delle cuffie) e isola l’ascoltatore dal mondo. Più la si lascia entrare più lei ci trasporta in mondi fantastici, caratterizzati da una qualità emotiva abbastanza costante.
Un buon modo per distaccarsi da una giornata stressogena oppure da pensieri o emozioni negative.
Il terzo modo è forse quello più difficile. Da un lato richiede una buona sensibilità, dall’altro una discreta conoscenza della musica in senso lato.
Non che uno debba per forza saperla leggere (anche se può aiutare), ma per mettere in pratica questo tipo di ascolto occorre un minimo di cultura musicale. Anche la conoscenza, per quanto superficiale, di uno strumento musicale facilita molto.
Il processo è abbastanza semplice e, al contempo, un po’ complicato. Innanzitutto occorre la capacità di ascoltare le proprie emozioni e osservare i propri pensieri (a quale livello non importa: di fatto, più profonda è la capacità, maggiore sarà il successo).
Si comincia come nel secondo modo, ovvero lasciandosi attraversare dalla musica. Al contrario di quanto detto in quel caso però, una parte di noi rimane vigile, distaccata, mentre il resto della struttura emotiva si lascia andare agli stimoli prodotti dal brano in ascolto.
Man mano che il tempo passa, si osservano le variazioni emotive interne (il che significa che non solo si provano le emozioni come chiunque altro, ma anche che le stesse sono spesso amplificate, in quanto più libere di permanere alla soglia della consapevolezza).
Con l’ausilio della mente, nel frattempo, si procede all’ascolto sia d’insieme del brano, quindi facendo attenzione al brano nella sua interezza e alle sensazioni relative, che ad isolare ogni singolo strumento o sezione strumentale (ad esempio, se stiamo ascoltando l’Inno alla Gioia, si pone l’attenzione prima alle sensazioni prodotte dal coro nel suo insieme, poi a quelle prodotte dalle voci maschili e quindi da quelle femminili).
Le emozioni che si sviluppano dietro stimolo della musica divengono molto chiare, quasi puntuali nella loro esplicazione. Osservarne tutto il ciclo vitale può portare a comprenderne l’origine. Il che significa, in soldoni, che ascoltando musica si può andare molto nel profondo di noi stessi, usando le emozioni come una sorta di “cartina tornasole”, un veicolo per l’osservazione (anziche una tomba per la consapevolezza), che in molti casi mi ha portato a scoprire aspetti della personalità di cui neppure sospettavo l’esistenza.
All’inizio è un po’ un casino, lo ammetto; o smetti di seguire la musica per correre dietro alle emozioni, oppure ti perdi nei pensieri e nelle immagini evocate.
Però con un po’ di pazienza e di volontà, con il proseguire dell’esercizio, tutto si stabilizza e l’esperienza diventa davvero partecipativa.
Contrariamente a quello che può sembrare, quando si diventa un po’ più esperti in questo metodo, l’effetto della musica è molto più forte che con tutti gli altri, perchè l’atto di osservare diventa naturale e le emozioni, a quel punto, sono così libere di manifestarsi che a volte ti arrivano contro con la forza di un treno in corsa.
Ovviamente la scelta del brano non può essere qualunquista: sarà difficile infatti osservare qualcosa con un pezzo “trance” o “house”.
Se qualcuno volesse cimentarsi suggerisco di iniziare con brani monostrumentali: chitarra classica, organo da chiesa, ma anche flauto o violino, per poi proseguire con brani eseguiti da formazioni più complesse; quartetti o quintetti, ad esempio, e poi via complicandosi la vita fino alle orchestre sinfoniche.
Ho citato solo la musica classica ma è ovvio che qualunque genere si adatta. Ad esempio amo ascoltare in questo modo le composizioni di Steve Vai, isolando mentalmente solo la chitarra (non è così difficile, tutto sommato).
Anche Pat Metheny si presta benissimo. Molte volte utilizzo il concerto di Colonia di Keith Jarrett.
Poi, ad un certo punto, tutto fa brodo. Allora anche Beyonce o la voce cristallina di un’illustre sconosciuta diventano perfette allo scopo.
Insomma: provare per credere!
:chehers:
(non trovando l’emoticon per “Applausi”)
…Bellissimo …
…praticamente una Vipassana con Musica…
Si, anche se non limiterei il desiderio di vedere le cose per quello che sono ad un singolo momento…