Armonia e disarmonia: entrambe contagiose
Armonia: per definizione si parla di proporzione, disposizione. Per provenienza partiamo dal greco (Armozein) con il significato di connettere, collegare. L’armonia è qualcosa che investe i sensi (non solo quelli materiali) con un impatto che potremmo definire “estetico” ma anche sostanziale.
Una cosa armonica in se’ è in genere proporzionata (al di là del gusto comune o del senso estetico). L’armonia è qualcosa di oggettivo che può essere sperimentato anche solo con la sensibilità
Quando una casa o un qualunque altro luogo sono “armonici”, ce ne accorgiamo subito. Da cosa?
Dal semplice fatto che ci influenzano, rendendo armonici anche noi. Non è difficile accorgersene. Basta andare in un bosco. Man mano che ci addentreremo tra gli alberi, avvertiremo le nostre tensioni sciogliersi, le nostre emozioni negative calare, e così via.
Questo perchè la natura è armonia per antonomasia e, pertanto, esercita su di noi un influsso che tende ad armonizzarci.
Purtroppo, lo stesso vale per la disarmonia. Entrare in un ambiente disarmonico, ad esempio caotico o rumoroso, all’inizio può produrre un senso di fastidio, una reazione di rifiuto. Quello è già un segno di disarmonia. Perchè implica che qualcosa ha alterato il nostro stato in senso negativo (infatti ci ha prodotto emozioni negative).
Permanendo in un ambiente di questo tipo senza produrre qualcosa a nostra volta, ci porterà inevitabilmente ad un certo livello di disarmonia.
E’ il concetto di “campo”. Noi siamo immersi costantemente in una serie di campi: elettrici, magnetici, gravitazionali, solo per fare esempi vicini alla nostra abitudine.
Ma non esistono solo campi energetici di questo tipo. Tutto è vibrazione e dunque tutto è considerabile un “campo”, ovvero una regione di spazio caratterizzata da qualcosa.
Nel nostro caso, possiamo ad esempio accorgerci di un forte campo elettrico (ci si rizzano i capelli in testa o i peli delle braccia) o di un forte campo sonoro (ci assordiamo, iniano a fischiarci le orecchie, etc. etc).
Un po’ più difficile è accorgersi di campi di natura più “sottile” rispetto alle energie più abitualmente prese in considerazione. La rabbia, la tensione, l’insoddisfazione, o altri sentimenti poco nobili, in particolare, tendono ad avere su di noi una presa molto veloce.
Questo perchè il nostro “cambiare colore” rispetto all’ambiente in cui ci troviamo, avviene per risonanza, per similitudine. In altre parole, le emozioni negative, universalmente conosciute per essere più “affascinanti” da provare, che risiedono al nostro interno, si mettono a vibrare in risonanza con il campo in cui ci immergiamo con molta più facilità rispetto a quelle positive.
Accorgersi di tutto ciò è la prima cosa da fare per poter cambiare la nostra passività di fronte ai cambiamenti esterni.
Una volta che ci rendiamo conto che, per fare un esempio, il nostro nervosismo all’entrare in ufficio è prodotto in gran parte dal campo di tensione nervosa (determinata dalla somma di incazzature, noie, insoddisfazioni e quant’altro ci possiamo trovare) presente in quel luogo, possiamo iniziare a fare qualcosa.
Diventa una sorta di battaglia: da un lato un campo esterno a noi, dall’altra… noi.
E diventa anche una questione di quantità (determinata da volontà e capacità di concentrazione) di energia. Per noi, singoli individui, si tratterà di mettere in campo una certa quantità minima di energia per sortire due effetti possibili: il primo, quello di non essere più influenzabili dal campo in questione. Il secondo, lo step successivo, quello di cambiare il campo stesso.
Non è difficile come sembra. Ma prima di tutto occorre riuscire a rendersi impermeabili a quello che accade al nostro esterno.
Il modo migliore, il più immediato è quello di: osservare. Osservare quello che accade intorno a noi, ma soprattutto al nostro interno.
Il solo fatto di mettere in campo un’osservazione di questo tipo, inizierà a creare un distacco, una distanza tra noi e quello che osserviamo. Già questo “non atto” (che poi in realtà è l’atto fondamentale) produrrà una subitanea diminuzione della presa che l’ambiente ha su di noi. L’osservazione non può che influenzare ciò che osserviamo, anche solo per il fatto che lo stiamo facendo.
Persino in fisica Heisenberg ce lo garantisce.
Ora, se manteniamo abbastanza a lungo questa osservazione, avvertiremo chiaramente che al nostro interno qualcosa si calma, si ferma, diventa più stabile. Da quel momento in poi, tutto quello che non riuscirà a spostarci, sarà ciò di cui saremo divenuti “senzienti”.
E’ solo l’inizio ma… funziona. Eccome se funziona!
Provare per credere!
Leggevo un articolo che parlava di come il benessere partendo proprio dalle calzature..(scarpe da ginnastica stivali di gomma ecc)..ci abbia scollegato da Gaia e che solo xche non camminiamo piu a piedi nudi o molto meno di un tempo non riusciamo a scaricare negatività ‚onde magnetiche,corrente elettrostatica…non permettendo al nostro corpo di collegarsi con la terra e accumulandole fino a sfociare in ansie, attacchi di panico, isterismi e a volte in malattie decisamente invalidanti… stesso discorso x ambienti che non vengono mai aerati xche ci sono i condizionatori e quindi il circolo dell’aria.A ragion di questo sono daccordo con il tuo pensiero Franz di osservare qualcuno o qualcosa x staccarci dalla sensazione di malessere ma consiglierei anche tutti veramente di spogliarsi nudi e di correre nel bosco per purificarsi e ripulirsi e lasciare andare ‚ridonare alla terra permettere che il flusso continui senza interruzzioni…sarebbe tutto molto piu in armonia.… piu leggero. :hat:
ehm… non vorrei sembrare sgarbato ma… per osservazione non intendo esattamente quello che dici tu… parlo di un’osservazione di ciò che avviene al nostro interno e non di guardare altro… mi sa che mi sono spiegato male… :bye:
No Franz non ti sei spiegato male anzi…sei stato molto chiaro…sono io che cerco le porte x entrare nel mio interiore e non le trovo…c’è la nebbia!!!!Buondi;°) 😀
Tranquilla Manu, è una caratteristica di tutti, fino ad un certo punto, andare a cercare “fuori” le soluzioni ma soprattutto le responsabilità di ciò che ci accade. Specialmente se ci accade qualcosa di non piacevole.
Le questioni nodali sono due, per cominciare: la prima è visibile nella frase “quel che ci accade”, che presuppone una posizione passiva e non determinante del nostro futuro, o se così vogliamo chiamarlo, destino.
La seconda è la difficoltà, come dicevo insita in ogni essere umano, a guardarsi dentro.
Per mille motivi, uno per tutti il panico feroce, inconscio ma presente, di “vedere” dentro di noi, qualcosa che non solo potrebbe non piacerci, ma che a quel punto ci metterebbe totalmente in gioco senza lasciarci la possibilità di applicare “ammortizzatori”.
Sembra paradossale ma è così.
In tutto questo tremendo quadro, ci sono fortunatamente, dei barlumi di luce in fondo al tunnel 😉
Perchè c’è chi ci può aiutare.
Chi ha percorso la via prima di noi.
A evitare le buche ed a rialzarci quando cadiamo, a indicarci la direzione nel fitto della boscaglia, a spronarci quando sembra che tutto sia perduto.
Ma non bisogna dimenticare che, comunque, la scelta, la determinazione e l’energia è solo ed unicamente nostra.
Buona fortuna