Cinque anni in quattro giorni: viaggio nell’Opus Dei
Era da tanto che dicevo a mio padre di mettere nero su bianco la sua (fortunatamente trascorsa) esperienza nell’Opus Dei. E’ una storia particolare, a tratti dolce, a tratti terribile, anche se penso che alla fine l’effetto più forte lo possa fare a me che l’ho vissuta in differita ma solo di pochi anni.
E lui, Giuseppe Amato, finalmente si è deciso a farlo. Opus Dei – Cinque Anni in Quattro Giorni (è un ebook gratuito in PDF, lo potete scaricare da questo link) è il diario postumo di quello che un ragazzo di 17 anni (siamo nel 1955, a soli dieci anni dalla fine della guerra mondiale), vive sulla sua pelle quando entra in contatto con la prelatura personale della Chiesa.
A 17 anni oggi i ragazzi quasi non sanno come si chiamano. Ma nel 1955 a molti è toccato crescere in fretta. A 20 anni eri già un uomo, con le responsabilità che oggi molto spesso neppure a trenta ti tocca assumerti.
Siamo nell’Italia del secondo dopoguerra, il boom economico degli anni 70 è ancora lontano da venire e la classe media non esiste ancora. Esistono pochissimi ricchi e moltissimi che a malapena sopravvivono. Il lusso, le rate, il mutuo sono invenzioni sconosciute e questo trapela perfettamente dal racconto, in cui l’introspezione ha una pregnanza diversa da oggi, certo mediata dalla memoria e dalla consapevolezza della maturità ma comunque autentica (io c’ero subito dopo e lo posso garantire!).
Da lì ai 23 anni il protagonista vive quello che un uomo oggi forse non deve vivere in 20 anni. Ma lui, Giuseppe Amato, mio padre, non solo lo vive in cinque, ma lo fa nello scenario cupo e plumbeo della povertà del dopoguerra, in un’Italia annegata nel moralismo cattolico e nel perbenismo più ipocrita.
Il libro inizia dalla fine: dalla fuga. Si, perchè per andarsene dall’Opus Dei, mio padre ha dovuto letteralmente fuggire, addirittura depistando i responsabili della “casa” di Palermo perchè non potessero ritrovarlo e tentare, per l’ennesima volta, di convincerlo a restare.
Conoscevo questi episodi ma leggerli oggi, nero su bianco, riportati con il pensiero di allora, è qualcosa che mi ha letteralmente fatto rabbrividire.
Un’esperienza che ha segnato mio padre per tutta la vita. Io lo so, perchè sono nato solo tre anni dopo. Lui fuggì da Palermo nel 1961 e io venni al mondo nel 1964. E dato che all’età di due anni già “c’ero”, ricordo bene tutto quello che, per molto tempo, i miei genitori tennero accuratamente alla larga da me e che, in modo del tutto istintivo, percepivo nel loro modo di essere (a due anni la percezione del mondo non include ancora il pensiero automatico e neppure l’elucubrazione).
Nel libro mio padre racconta anche l’inizio della sua storia con mia madre, interrotta per via dei voti e poi ripresa, cinque anni più tardi, in mezzo alla povertà (nessuno dei due aveva il becco di un quattrino), e con entrambe le famiglie, completamente permeate di tutta la cecità popolare e culturale di un paese bigotto all’inverosimile, che hanno fatto di tutto per tenere separati i due ragazzi.
Ma nonostante questo i due proseguono, si sposano e mettono al mondo un figlio: il sottoscritto.
Oggi mi spiego davvero tante cose di entrambi i miei genitori e della mia infanzia, grazie a questo scritto, ma ritengo che la sua lettura sarebbe davvero utile a tanti: ai giovani adulti che oggi pensano di non potersi sposare perchè non possono comprare una casa (l’affitto esiste ancora, sapete?), agli adolescenti che non sanno da che parte sbattere la testa, vuoti di valori che, a solo due generazioni di distanza, erano invece ben presenti nel cuore delle persone e, infine ma forse soprattutto, a coloro che non sanno a cosa possono andare incontro quando delegano ad altri la responsabilità della propria vita e della propria crescita interiore e spirituale.
Oggi, il ragazzo di allora, che in cinque anni fu costretto a diventare non solo un uomo adulto ma a combattere per la propria libertà fisica e di pensiero, è un uomo di 74 anni che, finalmente, si è deciso a sputare questo tremendo rospo.
Chapeau, papà!
super.. :swim:
Grazie Francesco per questo scritto e grazie a tuo padre. Ora lo scarico e me lo leggo. Io sono stata numeraria dell’Opus Dei dal 1987 al 2000, anch’io entrata (forse meglio dire “tirata dentro”) a 17 anni. Di storie come quella di tuo padre (che peraltro è ancora più interessante perché riguarda i primi tempi dell’Opera) e come la mia ce ne sono purtroppo tantissime, ma pochi pochi sono quelli che hanno la forza di rendere pubbliche le loro testimonianze, per molti motivi, che vanno dalla paura di ritorsioni o la paura di offendere altri familiari che sono ancora dentro, alla voglia di dimenticare tutto. Leggerò con interesse questo ebook e poi ti farò sapere che cosa ne penso. Lo segnalerò anche ad altri, specialmente a un gruppo di ex-numerari con cui sono in contatto. Grazie ancora.
Grazie per la condivisione, lo metto subito in download consiglierò di fare lo stesso a più gente possibile.
Il mondo deve sapere cosa succede, al di sotto di quel posticcio alone di santità che si sono appioppati.
cresciuta in questo ambiente “culturale” fin dall’infanzia, scuole faes dalla prima elementare e attività ricreative nel pomeriggio, rientro in famiglia dove lo spirito dell’Opus Dei era quanto di meglio si potesse deisderare, in quanto eletti e privilegiati da “Dio”, milizia di eccelenza al servizio della fede. La vocazione mi è stata suggerita all’oprecchio all’età di 14 anni e così sono rimasta nell’OD dal 1984 fino 1989, anno in cui me ne sono andata. Andarsene dall’Opera non è una dipartita normale, la si programma e viene fatta in modo tale che non le altre persone all’interno dell’Opera non lo sappiano deve sembrare in tutto è per tutto la dipartita di un vigliacco che non ha saputo reggere la croce o la vocazione che “Dio” gli ha dato.
Di scritti cominciano a vedersene in Italia come in altri paesi. Grazie anche per questo, lo leggerò molto volentieri