Cambio di percezione, capogiri, déjà vu e nuova vista
Supponiamo che stiamo iniziando un lavoro su noi stessi. Un lavoro che implica un aumento o anche “solo” un cambio qualitativo di consapevolezza., ad esempio, supponiamo che stiamo cercando di imparare ad ascoltare.
Ora, quello che dobbiamo tenere presente è che il nostro modo di percepire la realtà non è quello che pensiamo. Ne ho parlato in diversi post nel passato, ma fornirò qui un riassunto e in fondo all’articolo un elenco di quelli già scritti sull’argomento.
Iniziamo dalla prova finale: se in un qualsiasi momento cerchiamo di ricostruire tutto quello che abbiamo fatto, detto e pensato da quando ci siamo alzati ad ora, a meno che non siano passati solo pochi minuti, avremo la sensazione di ricordare tutto ma, non appena cercheremo di entrare nei dettagli del ricordo… ecco che troveremo molti pezzi mancanti, vaghi, o di cui ricorderemo solo che… sono avvenuti.
Senza voler entrare nel dettaglio di questo meccanismo, la verità è che noi vediamo la realtà come continuamente percepita, mentre i momenti di vera percezione sono solo alcuni, intervallati da lunghi periodi di “presenza virtuale” in cui ci perdiamo in pensieri, emozioni, fantasticherie etc,. etc,.
Possiamo vedere la nostra abituale consapevolezza come un film: tanti fotogrammi che, proiettati uno dopo l’altro in un certo numero, danno l’illusione di una continuità.
Peccato che di quei fotogrammi, solo pochi sono vere “fotografie”. La maggior parte sono prodotti dalla nostra mente per riempire il vuoto tra un momento di presenza e quello successivo. Quindi la realtà che ci circonda è, per lo più, immaginata, anche se con un buon grado di approssimazione.
Aumentare la propria presenza significa aumentare il numero di fotografie “vere” fino a rendere impossibile alla mente il fabbricarne di false.
Ma immaginiamo che, per un qualche motivo, noi si inizi un lavoro su noi stessi (ad esempio che si voglia imparare ad usare il cuore, come nel post di pochi giorni fa).
Allora il lavoro che faremo andrà a creare come una sorta di “seconda macchina da presa” che per un po’ affiancherà quella ordinaria. Una macchina da presa che, per sua natura, scatterà molte più “fotografie vere” della realtà, per giunta con una pellicola molto più sensibile, in grado di catturare più luce, più colori, emozioni sempre più raffinate etc. etc.
Quindi avremo due modalità di presenza, che esisteranno contemporaneamente, proprio come se le stesse scene venissero riprese da due telecamere allo stesso tempo. La prima, quella ordinaria, che scatterà, per fare un esempio, si e no 3 fotogrammi al secondo. La seconda che, sempre per fare un esempio, ne scatterà magari 10 o 20 all’inizio per poi accelerare progressivamente e arrivare magari anche a 100 o più.
Ecco che nella nostra mente si riverseranno contemporaneamente due filmati, uno tutto a scatti, poco colorato e per giunta sfuocato, l’altro che, al confronto del primo, è in tre dimensioni, technicolor, dolby sorround e Full HD.
Non so se ho reso l’idea, ma l’impatto tra i due si può capire che può anche essere violento. Solo che all’inizio, il filmato più evoluto si manifesta in modo istantaneo, ovvero riesce ad “irrompere” nella nostra mente in un singolo istante.
Ora però il tempo che vive il nostro cervello è uno solo. Quindi il poveretto si ritrova a vivere, nello stesso arco di uno o due secondi, da una parte il risultato del suo solito meccanismo di percezione, dall’altro quello della nuova percezione che andiamo costruendo al nostro interno.
Ecco che il contrasto tra le due percezioni, una lenta ed illusoria, l’altra velocissima ed al confronto praticamente fulminante, diventa insostenibile.
E noi proviamo una sensazione come di capogiro (ma non di vertigine), un istante “strano”, in cui il mondo sembra perdere parte della sua abituale identità (in realtà è esattamente il contrario: in quei momenti il mondo l’acquista).
Non è successo nulla: semplicemente stiamo sperimentando contemporaneamente due diverse velocità percettive, di cui una terribilmente diversa dall’altra. Ma, dato che quella più veloce ripropone comunque lo stesso “spezzone” di realtà di quella più lenta (solo molto più elaborato e particolareggiato), la nostra mente, che viaggia ad una sola velocità, tende ad elidere la percezione più veloce, perchè segue la linea di minor resistenza.
Risultato: noi abbiamo la sensazione di aver già visto quella scena. In realtà è proprio così, ma la nostra mente non è ancora pronta ad accettare una velocità più alta.
Se a qualcuno, a questo punto, viene in mente la definizione di “déjà vu” che viene data in Matrix… beh, direi che ha ragione!
Gli altri post sulla percezione:
Dilatazione quantica dell’intervallo di percezione
Beh, grazie!
:bye: