La magia del suono: cosa serve per praticare
Usare il suono della voce, sia nella pratica dei mantra che nell’uso del suono <em>tout-court</em>, implica diversi aspetti da tenere presenti.
Innanzitutto non cantare! Il canto è una cosa, l’uso del suono un’altra. Cantare implica quasi sempre muoversi in un ambito con regole che seguono un concetto di armonia musicale, in cui l’evoluzione dei suoni prodotti segue rapporti specifici e precisi; possiamo definire il canto come una sorta di narrazione, una storia vera e propria con un incipit, uno svolgimento e una conclusione.
Quando usiamo il suono, tutto ciò non è necessario, anzi è a volte addirittura deleterio. Ad esempio, nel canto la classica “ingolatura” del suono produce quasi sempre risultati sgradevoli, ed è proprio una di quelle cose da non fare. Nell’uso del suono invece, può essere un aspetto fondamentale, specialmente nella generazione di diplofonie o triplofonie, come nel caso delle diverse forme di canto armonico. Quindi la prima cosa da imparare, specialmente per chi magari ha studiato proprio l’arte del “bel canto”, è che la voce in questo campo.… si suona. Cantare è un’altra cosa.
Quando usiamo il suono lo facciamo per scopi che vanno oltre l’allietamento dell’udito, o la produzione di sentimenti in chi ascolta. Usare il suono significa voler cambiare qualcosa, al nostro interno o all’interno di chi ci ascolta o ancora nell’ambiente in cui ci troviamo.
Il primo aspetto fondamentale è quindi l’intento con cui ci muoviamo. Dobbiamo avere un intento, che in questo caso va considerato nell’accezione di “volontà di produre qualcosa”. Sia esso uno stato di attenzione, di centratura, o anche semplicemente una condizione di ascolto e di apertura. Ma dobbiamo avere un intento che costituirà il leit motiv, il filo conduttore della nostra pratica.
Il che non significa agire per uno scopo preciso; singnifica sapere che vogliamo muoverci in una determinata direzione. Questo produrrà una costante nell’osservazione, una sorta di congruenza nella nostra energia, essenziale per una pratica efficace.
Altro aspetto fondamentale è la pazienza. Come per tutte le pratiche, anche il suono richiede tempo. Tempo per entrare in concentrazione, perchè la respirazione si rilassi e si dilati, soprattutto per quanto concerne la fase di espiro… tempo. Un tempo diverso per ognuno di noi e che varia a seconda delle nostre condizioni interne ma anche di quelle esterne, di rumore ambientale, etc. etc.
Non dobbiamo avere fretta in nessun modo. Anche perchè la percezione temporale è così variabile che potremmo aver praticato per pochi minuti ed avere la sensazione che il tempo trascorso sia molto di più, e viceversa.
Ultima arma da affinare nella pratica del suono è l’esercizio. Vi sono suoni particolari per i quali è necessario insistere, insistere, provare e riprovare, fino a che non si riesce. I tentativi vanno prodotti ad intervalli abbastanza ravvicinati nel tempo, perchè il nostro centro motore non si dimentichi di quello che ha fatto la volta prima. Il centro motore, per quanto strano possa sembrare, ha molto a che fare con il suono, e questo perchè la regolazione della posizione delle pareti della gola, della bocca e della lingua non è propriamente semplicissima. E dato che queste parti del nostro corpo si trovano in punti che è molto difficile osservare direttamente, tocca fare in modo che si crei all’interno del nostro centro motore una chiara impressione su quello che deve essere fatto. Se facciamo passare troppo tempo tra una pratica e l’altra, il centro motore tenderà a scartare tutti i risultati non consolidati, constringendoci così a ricominciare sostanzialmente daccapo, dato che il nostro corpo non si ricorderà più di quello che deve fare.
Quindi occorre fare esercizio: quanto? Dipende da noi e da quanto tempo desideriamo impiegare prima di arrivare a dei risultati che abbiano un qualche valore. L’ideale sarebbe un esercizio quotidiano, ma anche dedicare un paio d’ore alla settimana divise in quattro “sessioni” può essere già qualcosa, quantomeno un inizio.
Tutto questo può essere visto come il “corredo minimo” per chi si accinge alla pratica del suono. Quello che serve sostanzialmente è tutto qui: intento, pazienza, esercizio e… non cantare.
Vi sono poi altri aspetti connessi alla pratica, ma che attengono più ad una sfera interiore e che analizzeremo nei prossimi articoli.
La pratica del suono è qualcosa di davvero bello, che può regalare concentrazione, benessere, entratutra in stati coscienziali particolari. A volte, con la fortuna del principiante, si può anche incontrare questi stati alle prime pratiche, e mantenerli a lungo oppure perderli subito dopo per rincontrarli magari dopo settimane, mesi o anni.
Ma non dobbiamo pensare a questo. Dobbiamo pensare al suono.
Il resto viene da sé, giuro.