Il suono stabile porta… “dentro”
Quando usiamo la voce per produrre un suono efficace, ci sono due aspetti fondamentali da tenere presenti: la lunghezza del suono emesso e, soprattutto, la costanza della nota.
Il nostro campo vibratorio è la somma di diverse “frequenze” che risuonano tra di loro, formando armonici, armonie (e disarmonie) che cambiano in continuazione. Ma sotto tutte queste vibrazioni ce ne sono alcune che variano poco o, se lo fanno, lo fanno secondo cicli precisi e rispondenti a leggi specifiche.
Se vogliamo entrare in risonanza con una di queste armoniche fondamentali, dobbiamo usare un suono che sia sufficientemente costante da indurre un’armonia nei nostri campi vibratori e, perchè questo avvenga, occorre tempo. Di qui l’importanza della lunghezza dell’emissione, il primo fattore. Più il suono emesso dura nel tempo, più influenzerà con la sua vibrazione il nostro campo, portandolo pian piano ad uniformarsi.
La stabilità del suono è il secondo aspetto, e sicuramente il più importante. Innanzitutto un suono costante finisce con il mettere a tacere la mente. Tutto il nostro sistema sensorio, e con esso la nostra mente “esterna”, si basano sul concetto di differenza. Il nostro modo di percepire la realtà si basa sulla variazione dei segnali che riceviamo.
Se osserviamo a lungo lo stesso oggetto tentando di non muovere gli occhi, ci accorgeremo che minuscoli micromovimenti inizieranno presto a manifestarsi; una reazione istintiva per produrre delle variazioni anche minime ma che per il nostro sistema visivo sono essenziali. Se riusciamo a mantenere gli occhi immobili per un tempo sufficiente vederemo il campo visivo mutare, restringersi e diventare piano piano sempre più “uniforme”.
Lo stesso vale per il tatto; se teniamo una parte del corpo immobile abbastanza a lungo, manderemo a pallino il sistema sensoriale tattile e ad un certo punto non capiremo più in che posizione è messa la parte del corpo mantenuta immobile.
La mente, non fa differenza: cerca sempre di muoversi, cambiare, produrre pensieri, immagini e stimoli psichici. E’ uno dei suoi modi per tenerci prigionieri.
La voce, dopo un po’ di allenamento, è in grado di produrre un suono molto stabile e, aiutata con le corrette tecniche di respirazione, anche un suono molto lungo. La concentrazione che impiegheremo all’inizio del processo per “stabilizzare” l’emissione vocale, sarà una sorta di cavallo di troia, con il quale imbriglieremo la mente.
Poi il suono, stabile, lungo e costante, inizierà a produrre una risonanza nel nostro campo. Più passerà il tempo e più il campo si uniformerà alla vibrazione indotta dal suono.
Ecco perchè il suono può diventare “efficace”. Occorre tecnica e un po’ di pazienza ma, alla fine, il risultato è garantito, perchè la specifica vibrazione prodotta dal giusto suono conseguente alla corretta respirazione va a impressionare il nostro campo vibratorio, come la luce su una pellicola fotografica.
E allora, andare “dentro” di noi è un processo quasi automatico: è il suono a portarci lì!
Qui di seguito avete un esempio di quello che intendo. Sono tre momenti della stessa pratica. Nel primo, le persone presenti si concentravano unicamente sulla stabilità della nota emessa.
Come si può notare ci sono delle dissonanze, ma nel complesso, il suono diventa molto stabile con il passare dei minuti. In questo caso, la fase è durata 8 minuti.
Fase 1: stabilità del suono.
Nella fase seguente, le persone sono state invitate ad armonizzare la propria nota con quella di chi avevano alla propria sinistra. Non è un caso la scelta della parte. Ascoltando chi abbiamo a sinistra, mettiamo in maggiore azione l’emisfero destro, deputato ad una percezione “spaziale”. (per fare un esempio: l’emisfero destro percepisce “la folla”, quello sinistro “una moltitudine di individui”).
Fase 2: ascoltare a sinistra
In realtà è un trucco, che serve semplicemente a risvegliare la percezione che serve nella fase successiva, ovvero quella del “suono in generale”. Come potrete vedere infatti, subito dopo il suono si amalgama, non ci sono più “dissonanze” e si ottiene una notevole armonia.
Fase 3: il suono in comune
Questo è il primo stadio per giungere a quello che potremmo definire un “suono impersonale”. Si perde la percezione del “proprio” suono, passando paradossalmente proprio per quest’ultimo…
Ma di questo parleremo in futuro.