Aspetti opposti della globalizzazione: velocità di diffusione da un lato e dimenticatoio facile. Soprattutto il secondo, che è un fenomeno estremamente frequente e in preoccupante aumento.
Oggi noi possiamo accedere ad una quantità di informazioni davvero spaventosa, grazie alla rete ed alla quantità di sapere in essa ritrovabile. Certo, molto spesso si tratta di informazioni del tutto inique, superficiali, quando non false o comunque fuorvianti ma, per contro, ce ne sono anche tantissime reali, utili, profonde e, soprattutto, facilmente fruibili.
Molto tempo fa l’istruzione, il sapere erano appannaggio dei ricchi, quei pochi che potevano permettersi libri ed insegnanti. Poi, con la diffusione della stampa, ecco che le idee hanno cominciato a circolare più rapidamente, a raggiungere un sempre maggior numero di persone. L’ignoranza grazie a cui è sempre possibile controllare una popolazione ha cominciato a diminuire sempre più rapidamente e l’accesso ad una cultura migliore non è più stato riservato a così pochi.
Anche la circolazione delle idee, citata sopra, è un aspetto di cui tenere gran conto, soprattutto in un mondo in cui lo sviluppo mentale era abbastanza basso. Parliamo ovviamente del medioevo e dintorni. Tuttavia questo processo di diffusione continua a crescere e arriviamo in un attimo ai nostri giorni in cui, almeno in teoria, trovare l’informazione che cerchiamo o procurarci un sapere ecco che diventa questione di pochi click e di un minimo di dimestichezza con lo strumento informatico.
Testi antichi, intere tradizioni letterarie, culturali e di vario genere diventano rapidamente fruibili, a volte direttamente, a volta con un acquisto che, comunque, è alla portata della gran parte della popolazione.
Questa è la parte migliore della faccenda, l’ottava alta se vogliamo. Ma… c’è sempre un ma!
Se è reale la fruibilità e la disponibilità dell’informazione sono altrettanto reali almeno un paio di fatti.
Da un lato la logica della rete, anch’essa basata come tutto il resto di questo mondo impazzito sull’avidità e su logiche strettamente commerciali. Ecco quindi che i contenuti più facilmente rintracciabili non sono affatto quelli più profondi, affidabili o utili ma quelli che “vanno per la maggiore” o che comunque promettono maggiori guadagni da parte di chi li piazza in pubblico.
E questa è una cosa tremenda perchè innesca un circolo vizioso che porta le informazioni di scarsa qualità ad essere sempre più quelle che si trovano per prime: i motori propongono contenuti commerciali per primi, il consumatore si accontenta di questi e la sua cultura, ammesso che così possa essere chiamata, non può che diventare sempre più superficiale, sempre più scadente. Da ciò deriva la ricerca di altri contenuti a loro volta ancora più scadenti e così via.
Dall’altro lato abbiamo quel tremendo “bulimismo” del sapere che si osserva in maggior modo sui Social Network, di certo non considerabili neppure all’origine come vettori di profondità ma che, col passare del tempo, diventano sempre più vettori di vuotezza.
Oggi su un qualunque social, un contenuto di una qualunque profondità non minima, ha una vita media brevissima. Primo perchè affogato nel mare magnum di sciocchezze, banalità, slogan e citazioni che vengono continuamente pubblicate da un pubblico sempre più svuotato di qualunque profondità critica o culturale, secondo perchè oggi il tempo che tale contenuto ha a disposizione per farsi leggere sono quei pochissimi minuti immediatamente seguenti la pubblicazione.
E in questo, la responsabilità maggiore è condivisa tra le logiche algoritmiche che determinano la posizione di contenuti in un social ma, purtroppo e soprattutto, dalla superficialità con cui qualunque contenuto viene letteralmente “divorato” da un pubblico sempre più bulimico, che si ingozza di nozioni senza conoscenza, senza sperimentazione, nel disperato quanto vano tentativo di riempire un vuoto che, consapevolmente o no, sente sempre più crescere all’interno.
Ed ecco che l’articolo, il pensiero, una storia o una poesia, vengono letteralmente fagocitati dal pubblico facoceronte (incrocio tra facocero e rinoceronte, termine testé coniato) che se ne riempie la mente per quel breve tempo necessario a gratificarsi di essersi messo in testa qualcosa di nuovo.
Subito dopo però il contenuto di cui sopra potrebbe anche avere un minimo di effetto, un significato che potrebbe minare, anche solo per il fatto di essere riuscito a superare il livello della disattenzione comune, la tranquilla vita di idiozia incoerente del lettore medio. Allora scatta il vomito: l’idea viene dimenticata, il pensiero perso, la storia cancellata o adattata ai propri iniqui parametri di vita semisenziente e la poesia relegata a semplice “suono” di parole che sparisce via, dissolto nel costante chiacchiericcio mentale come una scoreggia nella nebbia.
E via, la timeline che scorre rapida, a segnare non di certo la scansione temporale della nostra vita quanto quella dell’illusione, della dispersione e della superficialità, sempre più i veri valori di questi pazzi tempi.
Cosa fare? Beh, mi pare semplice. Prendetevi il tempo di pensare. Pensare a ciò che leggete, agli effetti che il sapere sortisce e poi concedetevi il lusso di sperimentare, mettere in pratica quello che imparate. Non confondete il sapere, per quanto nobile, con la Conoscenza: è come scambiare un film pornografico per un vero amplesso: imparare una nuova tecnica amatoria non significa metterla in atto ne goderne i risultati.
Concedetevi il tempo di cercare quegli argomenti che vi interessano ma non fermatevi alle prime ricerche: proseguite, cercate ancora e poi confrontate quello che trovate in posti diversi, integrandolo se necessario e poi riflettendo, sulle parole o sui pensieri, in modo che abbiano il tempo di germogliare nella mente e produrre un minimo di effetto. E se la cosa è su un Social Network, non limitatevi a quei puzzolenti “Mi Piace” che sembrano quasi una nuova valuta per quanto sono ricercati. Condividete gli articoli che trovate utili, discuteteli con l’autore e con altre persone.
E non abbiate timore dire chiaramente quello che pensate. Smettetela di avallare la menzogna, la bufala, la sciocchezza, solo per il timore di essere mal visti da quei pochi o tanti contatti racimolati nel tempo.
Un Social Network potrebbe servire a molto di più che ad un’orgasmica, solipsistica esibizione autoriferita, ma fintanto che continuerete ad usarlo come tale, non ci sarà mai la benché minima speranza che diventi altro. Prendete coscienza del fatto che il mondo è quello che noi determiniamo con le nostre scelte e con la nostra visione, più o meno bacata.
Se è vero che tutto viene venduto è anche vero che ciò che non si vende sparisce. Quindi qui abbiamo il potere di fare qualcosa: chiedete contenuti profondi, idee vere, parole pensate, pesate e significative. Se continueremo a chiedere solo quelle, prima o poi a qualcuno verrà in mente di proporle.
E il mondo inizierà ad essere un posto un po’ più decente di quello che è oggi.
La bulimia dell’informazione: prima si divora e poi si vomita
Aspetti opposti della globalizzazione: velocità di diffusione da un lato e dimenticatoio facile. Soprattutto il secondo, che è un fenomeno estremamente frequente e in preoccupante aumento.
Oggi noi possiamo accedere ad una quantità di informazioni davvero spaventosa, grazie alla rete ed alla quantità di sapere in essa ritrovabile. Certo, molto spesso si tratta di informazioni del tutto inique, superficiali, quando non false o comunque fuorvianti ma, per contro, ce ne sono anche tantissime reali, utili, profonde e, soprattutto, facilmente fruibili.
Molto tempo fa l’istruzione, il sapere erano appannaggio dei ricchi, quei pochi che potevano permettersi libri ed insegnanti. Poi, con la diffusione della stampa, ecco che le idee hanno cominciato a circolare più rapidamente, a raggiungere un sempre maggior numero di persone. L’ignoranza grazie a cui è sempre possibile controllare una popolazione ha cominciato a diminuire sempre più rapidamente e l’accesso ad una cultura migliore non è più stato riservato a così pochi.
Anche la circolazione delle idee, citata sopra, è un aspetto di cui tenere gran conto, soprattutto in un mondo in cui lo sviluppo mentale era abbastanza basso. Parliamo ovviamente del medioevo e dintorni. Tuttavia questo processo di diffusione continua a crescere e arriviamo in un attimo ai nostri giorni in cui, almeno in teoria, trovare l’informazione che cerchiamo o procurarci un sapere ecco che diventa questione di pochi click e di un minimo di dimestichezza con lo strumento informatico.
Testi antichi, intere tradizioni letterarie, culturali e di vario genere diventano rapidamente fruibili, a volte direttamente, a volta con un acquisto che, comunque, è alla portata della gran parte della popolazione.
Questa è la parte migliore della faccenda, l’ottava alta se vogliamo. Ma… c’è sempre un ma!
Se è reale la fruibilità e la disponibilità dell’informazione sono altrettanto reali almeno un paio di fatti.
Da un lato la logica della rete, anch’essa basata come tutto il resto di questo mondo impazzito sull’avidità e su logiche strettamente commerciali. Ecco quindi che i contenuti più facilmente rintracciabili non sono affatto quelli più profondi, affidabili o utili ma quelli che “vanno per la maggiore” o che comunque promettono maggiori guadagni da parte di chi li piazza in pubblico.
E questa è una cosa tremenda perchè innesca un circolo vizioso che porta le informazioni di scarsa qualità ad essere sempre più quelle che si trovano per prime: i motori propongono contenuti commerciali per primi, il consumatore si accontenta di questi e la sua cultura, ammesso che così possa essere chiamata, non può che diventare sempre più superficiale, sempre più scadente. Da ciò deriva la ricerca di altri contenuti a loro volta ancora più scadenti e così via.
Dall’altro lato abbiamo quel tremendo “bulimismo” del sapere che si osserva in maggior modo sui Social Network, di certo non considerabili neppure all’origine come vettori di profondità ma che, col passare del tempo, diventano sempre più vettori di vuotezza.
Oggi su un qualunque social, un contenuto di una qualunque profondità non minima, ha una vita media brevissima. Primo perchè affogato nel mare magnum di sciocchezze, banalità, slogan e citazioni che vengono continuamente pubblicate da un pubblico sempre più svuotato di qualunque profondità critica o culturale, secondo perchè oggi il tempo che tale contenuto ha a disposizione per farsi leggere sono quei pochissimi minuti immediatamente seguenti la pubblicazione.
E in questo, la responsabilità maggiore è condivisa tra le logiche algoritmiche che determinano la posizione di contenuti in un social ma, purtroppo e soprattutto, dalla superficialità con cui qualunque contenuto viene letteralmente “divorato” da un pubblico sempre più bulimico, che si ingozza di nozioni senza conoscenza, senza sperimentazione, nel disperato quanto vano tentativo di riempire un vuoto che, consapevolmente o no, sente sempre più crescere all’interno.
Ed ecco che l’articolo, il pensiero, una storia o una poesia, vengono letteralmente fagocitati dal pubblico facoceronte (incrocio tra facocero e rinoceronte, termine testé coniato) che se ne riempie la mente per quel breve tempo necessario a gratificarsi di essersi messo in testa qualcosa di nuovo.
Subito dopo però il contenuto di cui sopra potrebbe anche avere un minimo di effetto, un significato che potrebbe minare, anche solo per il fatto di essere riuscito a superare il livello della disattenzione comune, la tranquilla vita di idiozia incoerente del lettore medio. Allora scatta il vomito: l’idea viene dimenticata, il pensiero perso, la storia cancellata o adattata ai propri iniqui parametri di vita semisenziente e la poesia relegata a semplice “suono” di parole che sparisce via, dissolto nel costante chiacchiericcio mentale come una scoreggia nella nebbia.
E via, la timeline che scorre rapida, a segnare non di certo la scansione temporale della nostra vita quanto quella dell’illusione, della dispersione e della superficialità, sempre più i veri valori di questi pazzi tempi.
Cosa fare? Beh, mi pare semplice. Prendetevi il tempo di pensare. Pensare a ciò che leggete, agli effetti che il sapere sortisce e poi concedetevi il lusso di sperimentare, mettere in pratica quello che imparate. Non confondete il sapere, per quanto nobile, con la Conoscenza: è come scambiare un film pornografico per un vero amplesso: imparare una nuova tecnica amatoria non significa metterla in atto ne goderne i risultati.
Concedetevi il tempo di cercare quegli argomenti che vi interessano ma non fermatevi alle prime ricerche: proseguite, cercate ancora e poi confrontate quello che trovate in posti diversi, integrandolo se necessario e poi riflettendo, sulle parole o sui pensieri, in modo che abbiano il tempo di germogliare nella mente e produrre un minimo di effetto. E se la cosa è su un Social Network, non limitatevi a quei puzzolenti “Mi Piace” che sembrano quasi una nuova valuta per quanto sono ricercati. Condividete gli articoli che trovate utili, discuteteli con l’autore e con altre persone.
E non abbiate timore dire chiaramente quello che pensate. Smettetela di avallare la menzogna, la bufala, la sciocchezza, solo per il timore di essere mal visti da quei pochi o tanti contatti racimolati nel tempo.
Un Social Network potrebbe servire a molto di più che ad un’orgasmica, solipsistica esibizione autoriferita, ma fintanto che continuerete ad usarlo come tale, non ci sarà mai la benché minima speranza che diventi altro. Prendete coscienza del fatto che il mondo è quello che noi determiniamo con le nostre scelte e con la nostra visione, più o meno bacata.
Se è vero che tutto viene venduto è anche vero che ciò che non si vende sparisce. Quindi qui abbiamo il potere di fare qualcosa: chiedete contenuti profondi, idee vere, parole pensate, pesate e significative. Se continueremo a chiedere solo quelle, prima o poi a qualcuno verrà in mente di proporle.
E il mondo inizierà ad essere un posto un po’ più decente di quello che è oggi.
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