Lavoro e avidità

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Oggi voglio parlarvi del lavoro ma anche dell’avidità. Perché, benché possano sembrare cose completamente diverse, in realtà sono molto collegati.

Partiamo dal lavoro. Allora abbiamo addirittura una costituzione che dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Bene, fantastico, meraviglioso: ma, che senso ha?

Questo articolo aveva un senso nel momento in cui l’Italia, uscita da una guerra disastrosa, che aveva distrutto completamente tutto quello che c’era, giustamente aveva bisogno di lavoratori per ricostruire.

Però come al solito noi ci dimentichiamo dell’ambiente, del momento, di tutto l’ambito in cui vengono sviluppate certe cose, come per esempio l’articolo della costituzione in questione.

L’Italia è una fonte Repubblica fondata sul lavoro, ma… perché? Per permettere a qualcuno che ci paga uno stipendio, il più delle volte tra l’altro estremamente limitato, di arricchirsi, e quindi di prendere un sacco di soldi, e quindi di essere una persona veramente ricca alla quale noi vendiamo non il nostro lavoro ma il nostro tempo, e non poco?

Si, perché se, oltre alle otto ore di lavoro, ci mettiamo anche il tempo che ci impieghiamo ad andare a lavorare, tempo che con la globalizzazione va aumentando sempre di più, la faccenda inizia a diventare improponibile; una volta si lavorava sotto casa, vicino a casa o comunque a distanza ragionevoli dalla propria abitazione; oggi ci si fa come minimo mezz’ora, un’ora di macchina. Se facciamo il conto, alla fine partono 10 o 12 ore di vita, per andare a fare otto ore di lavoro, per le quali veniamo pagati con uno stipendio che ci serve per che cosa? Ci serve per comprare delle cose che ci piacciono, quando siamo fortunati.

Ma nella maggior parte dei casi questo stipendio serve per comprare le cose che invece corrispondono ai nostri bisogni primari: un affitto, per avere un tetto sopra la testa, del cibo per mangiare, dei vestiti per coprirci, e un’auto, moto o motorino: ovvero quello che serve… per andare al lavoro, ancora una volta!

Perché di fatto, se noi non andassimo al lavoro, quell’auto magari ci servirebbe molto meno, o quantomeno ne servirebbe una molto piccola, che non saremo costretti a cambiare così spesso, perché faremmo molto meno chilometri, perché i quelli che faremmo sarebbero dedicati a ciò che ci piace; e quindi qui passiamo a parlare dell’avidità.

Noi che cosa desideriamo nella vita? Desideriamo “cose”, non “essenza”! Noi desideriamo l’auto più bella, collegata, connessa con tutte le possibili minchiate che non sono altro che un sistema per aumentare il costo dell’auto; un’auto di fatto è un motore con delle ruote, un volante, una carrozzeria e dei freni: tutto il resto non ha nessun senso. Quello che ci aggiungono, è solo per soddisfare la nostra avidità; se non è avidità materiale, è l’avidità di apparire, di essere uno Stato simbolo, o comunque di possedere uno status symbol.

Stesso discorso vale per il telefono: abbiamo bisogno un telefono per comunicare, mandare messaggi, magari fare delle belle foto o delle belle riprese, ma è finita lì; che bisogno hai di un telefono che costa € 900 (che poi ti fregano dandotelo insieme all’abbonamento in modo che lo paghi “solo” € 50 al mese ma poi vai a vedere quanto ti costa con un finanziamento che paragonato al costo di un telefono acquistato in contanti non ha proprio senso).

Noi andiamo dalla volontà di qualcosa di materiale ai mezzi per potercelo procurare. E torniamo un’altra volta al lavoro, questa incredibile fesseria che ci hanno piantato a forza nel cervello per cui se non lavori, tu sei un cretino.

Ma non solo: nel peggiore dei casi (l’Italia), se guadagni troppo sei un furbo, perché se lavori e guadagni poco allora fa il vero lavoro. Quante volte sui social si leggono commenti del tenore “…vai a zappare che è vero lavoro”, è vero; è vero lavoro zappare com’è vero lavoro fare il medico. Ma se il medico prende di più del contadino fa un falso lavoro? No, queste sono le minchiate moralistiche degli italiani. Ma torniamo a noi: il lavoro è qualcosa che dobbiamo imparare ad usare, non da cui farci usare.

Il lavoro è qualcosa per cui veniamo pagati con del denaro che dovremmo poter usare per vivere, non per pagare le rate di tutte quelle cose che avremmo voluto avere ma che di fatto non possiamo permetterci e che di fatto non abbiamo perché sono di proprietà della finanziaria, dalla banca o di quant’altro.

Noi lavoriamo l’intera vita per soddisfare dei bisogni del tutto indotti, del tutto falsi, che in realtà sono fuori dai bisogni primari, quindi ancora una volta: avidità.

Se non ci fosse avidità da parte nostra, il lavoro lo considereremmo in un altro modo, ovvero quella cosa che ci dà i soldi per fare davvero quello che vogliamo, per fare davvero ciò che importa. Per esempio: studiare, divertirci, andare a farci un giro..

Certo uno dice: ma dopo quando vado in pensione queste cose le posso fare… Quando va in pensione… cosa?

A settant’anni va in pensione cosa fai? Non tromberai di certo come quando ne avevi 30, ammesso che ti riempi di Viagra, no? (e soprattutto devi trovarla, a settant’anni, una che te la da!)

Quindi cosa fai, vai sui pattini a rotelle? Vai a correre? Fai dei viaggi? Sì, certo puoi fare tutto questo: con calma e ammesso che ci arrivi a farlo!

Quindi alla fine della fiera il lavoro è la più grande fregatura se viene inteso nel modo in cui intendiamo oggi.

Ma se noi lo intendessimo come il mezzo con cui procurarci quello che ci serve per vivere davvero la nostra vita, basata su ciò che davvero conta e quindi non solo apparire ma sull’essere, sarebbe decisamente un mondo diverso… O no?

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