Come si riconosce un Maestro? E un Insegnamento?

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Per il riconoscimento del Maestro, la risposta non è semplice. Diciamo che per la maggior parte dei casi, non si può. Questo perchè un Maestro non è semplicemente “qualcuno che insegna” ma un Essere dalla così elevata realizzazione spirituale da essere davvero poco descrivibile in termini umani e soprattutto non riconoscibile come tale se non dai suoi pari.

Ci sono delle eccezioni. Per esempio se Lui decide di manifestarsi nella sua Essenza. Oppure quando a livello interiore, qualcosa scatta e… riconosce. Può succedere ad esempio a causa di memorie di vite precedenti, oppure quando si incontra colui che è, o è stato, il proprio Maestro.

Ma parliamo di casi di grande rarità. In tutti gli altri casi come detto prima, non è possibile. Quello che si può riconoscere, sempre se qualcosa scatta a livello interiore, è che chi ci sta di fronte ha una levatura particolare. Il che non deve essere confuso con qualunque altro tipo di riconoscimento. Quando scatta un sentire di questo tipo, la sensazione è estremamente peculiare, tale da non lasciare alcun dubbio. Scevro da rilievi emotivi (che poi si manifesteranno ma non immediatamente), quello che si manifesta è un sentire che potrei solo definire “esatto”. Non mi viene un’altra definizione.

La verità però è che sapere se uno è un Maestro oppure no non ha la benché minima importanza, se non quando con quell’Essere si dovesse instaurare un rapporto ben più particolare, che però presuppone un tale stato di avanzamento dell’allievo da rendere inutile parlarne.

Alla fine però, quello che davvero importa è se un Insegnamento è valido oppure no.

E come si fa a capirlo? Questa è semplice: non si può, quantomeno fino a che non lo si mette in pratica, nei modi e nei tempi in cui viene fornito. E anche lì c’è da pensarci bene: ci sono Insegnamenti che si realizzano in una manciata di secondi, altri in giorni, altri in anni e altri… in tutta una vita o anche più di una. E non dipende da quanto sono importanti. Possiamo realizzare un Insegnamento elevatissimo in un attimo e decollare come dei missili fuori dalle dimensioni dell’illusione e Insegnamenti molto meno “elevati” ma che impiegheremo anni a realizzare.

Non c’è una regola, soprattutto quando uno è all’inizio di un cammino di apprendimento. In questa fase, non possiamo contare sul nostro sentire, perchè non siamo ancora in grado di percepirlo; quello che sentiamo, a meno di fortuiti casi (che in quanto fortuiti sono del tutto inaffidabili), non è altro che il riflesso dei nostri bisogni, condizionamenti, paure e piaceri. Poi, più avanti, quando avremo strutturato una capacità di ascolto, allora si che il nostro sentire ci potrà fare da guida ma, per esperienza personale e per quanto scritto praticamente ovunque nella letteratura, quel punto si raggiunge dopo parecchio cammino.

Ad esempio, il Maestro D.K., nell’introduzione a tutti gli scritti della Bailey, dice: “Se un insegnamento suscita una risposta della mente illuminata e fa brillare un lampo d’intuizione, può essere accettato, ma non altrimenti. Se quanto vi si afferma finirà per essere corroborato e apparire vero alla luce della Legge di Corrispondenza, sarà bene, ma se ciò non avverrà, lo studioso non accetti quanto vi si dice.”

Questa affermazione contiene una parola che fa letteralmente la differenza. La parola è “illuminata” riferito alla mente di chi apprende. Se la mente non è illuminata (non parliamo dell’Illuminazione con la “I” maiuscola ma di una mente che è stata posta correttamente al servizio dell’individuo che la possiede), allora tutto questo non vale per nulla.

Il Maestro Interiore esiste. Il problema è che, prima di un discreta distanza percorsa sul cammino della Ricerca, non è possibile ascoltarlo. Lui magari parla anche, ma noi siamo sordi alle sue parole.

Quindi, direte voi, come faccio a fidarmi? Se non posso riconoscere un Maestro, come faccio a fidarmi del fatto che quello che dice chi mi insegna ha un senso?

Ancora una risposta semplice: non dovete fidarvi; dovete mettere in pratica. Un Insegnamento si può solo sperimentare, non può essere in alcun modo valutato, quanto meno prima. Deve essere messo in pratica, esattamente come viene proposto, fino a che non rivela la propria natura, del tutto o in parte.

E’ ovvio che il cervello, nel frattempo, deve essere collegato. Certe cose si possono richiedere ad un allievo solo da un certo punto in poi. Se qualcuno vi dice di buttarvi dal balcone, perchè così come siete con voi non può fare nulla, i casi sono due: o è un pazzo furioso, oppure si chiama Babaji (e anche in quest’ultimo caso, credo proprio che non sarebbe possibile avere dubbi).

Una volta che si comincia ad applicare un insegnamento, che sia con la “i” minuscola o con la “I” maiuscola, se lo stesso è oggettivo, produrrà dei cambiamenti in chi lo applica. Cambiamenti a volte (rare) istantanei, altre (molto più frequenti) progressivi. Quindi prima di emettere il minimo giudizio o considerazione sugli stessi occorre aver raggiunto almeno la minima capacità di osservazione di sé sufficiente a cogliere i cambiamenti indotti.

Il nocciolo fondamentale della questione è che un vero insegnamento deve produrre dei cambiamenti a livello oggettivo, reale. E d’altronde, il desiderio di cambiare la propria vita in qualche modo, deve essere presente nel ricercatore. Se non li produce, i casi sono tre: non è un vero insegnamento, non lo stiamo applicando nel modo corretto, non è adatto a noi.

La terza ipotesi è molto pericolosa, se fatta da chi apprende, perchè un insegnamento vero andrà sempre a cambiare qualcosa al nostro interno, portandoci fuori da una meccanicità e questo viene sempre percepito come qualcosa che produce disagio. Se un insegnamento ci lascia uguali a come eravamo prima, non sta apportando un cambiamento oggettivo e quindi ritorniamo ai tre casi del punto precedente. Ma se ci cambia, dobbiamo stare attenti alla mente la quale è contro il cambiamento per antonomasia e facilmente tenderà a cercare di convincerci che quel cambiamento non è adatto a noi.

D’altronde, se chi insegna sa il fatto suo, saprà anche che non tutti gli insegnamenti sono adatti a tutti gli allievi, ed agirà di conseguenza. Ecco perchè, detto tra di noi, insegnare a qualsiasi livello nel campo della ricerca interiore, non è affatto una cosa semplice.

Per finire, c’è l’errore di questi tempi: discutere un insegnamento prima ancora di averlo messo in pratica dove per “discutere” non intendo l’eventuale richiesta di chiarimenti o spiegazioni a livello tecnico quanto una serie di atteggiamenti “mentaloidi” del tutto inutili.

Ad esempio c’è quello che “ha capito” perchè ha letto questo o quel libro sull’argomento. Quindi da un lato scambia il sapere per conoscenza, e si ritiene un esperto senza peraltro aver mai sperimentato sul campo, e dall’altro si ritiene in dovere di discutere e/o confutare quello che gli viene insegnato (senza sperimentarlo).

Oppure, sempre sulla scia dell’esempio precedente, c’è quello che decide, prima ancora di aver sperimentato, che quell’insegnamento non è adatto per lui/lei, senza rendersi conto che questa sua decisione non è altro che il risultato di un ego che non vuole uscire da quella che viene oggi definita “comfort zone”.

Si, perchè se c’è una cosa tipica di un vero insegnamento è che tenderà a trascinarti fuori dal tuo campo d’azione per lanciarti in una zona sconosciuta. E altrimenti come potrebbe chiamarsi “insegnamento”?

Ci si vede in giro!

P.S. Nel video cito il Maestro H.K. ma in realtà avrei dovuto citare il Maestro D. K. Nello scritto ho corretto ma nel video, ovviamente, questo non è possibile. Chiedo venia!

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