Ricordo di Benares

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Benares, 2006 (o giù di lì… ).

L’uomo è sul tuk tuk davanti a me, insieme ad altri di noi. La strada, incredibilmente affollata di auto, motorini, Apecar, tricicli, è immersa nell’odore acre dello smog di benzina mal raffinata. Insieme, c’è il fumo del cibo cotto ai lati della strada, nei baracchini che offrono la versione indiana della “stigghiola siciliana”, le interiora di animale arrostite e infilzate su uno spiedino, che si mescola con quello onnipresente di spezie, specie coriandolo e cumino, esposte in mucchi a cono su altre bancarelle.

E’ una miscela olfattiva esplosiva ma che non può mai essere dimenticata. A fianco a me la mia compagna quasi non riesce a respirare, mentre io  (forse perchè ancora fumo) non ho grossi problemi: un po’ come diceva mia madre, probabilmente “filtro” l’aria attraverso la sigaretta.

Attorno a noi un fiume in piena di esseri umani si muove senza sosta, riservando nella memoria il ricordo di colori che sfumano gli uni negli altri. Qui e là compare un sorriso di denti bianchissimi, un lampo dello sguardo di occhi color nocciola intenso, circondati e sottolineati dal Kajal: sono quegli sguardi che incroci per un attimo, ma qui le persone ti guardano negli occhi anche senza motivo; figurati se sei un occidentale vestito in modo strano.

Attimi, istanti di un contatto antico quanto il pianeta, che vanno a toccare corde profonde della coscienza. Attimi che si concatenano gli uni agli altri, creando una presenza meno frammentata, anche se non continua, che raccoglie impressioni a velocità sempre più elevata, a frequenza sempre maggiore mentre dentro il silenzio scende sempre più profondo, apparente controsenso in mezzo a uno dei più intensi bailamme sensoriali che si possano immaginare.

E’ così che il silenzio, guidando la presenza, mette in secondo piano il giovane “io” di questa vita, mentre altri tempi riaffiorano alla memoria. Non sensi, solo impressioni, senza forma ma estremamente precise. Non è ricordo quanto “ricordo di sé”.

Quanta fatica per mantenerlo a casa, impossibile non mantenerlo qui: si presenta da solo.

Il calore del giorno sta appena iniziando a calare, passando da “forno” a “graticola” ma non me ne accorgo. Anzi, il metallo che c’è in me si scioglie, si fonde, e io mi crogiolo in quel calore, sempre più familiare, che lascio entrare, che attiro avidamente e che mi pompa il sangue nelle vene, mentre sotto la giacca di cotone percepisco la maglietta che continua ad intridersi ed asciugarsi allo stesso tempo. Un pensiero passa, veloce, nella mente: “Ricordati che devi bere”. Non è mio, ma di qualcuno sul tuk tuk davanti. Vedo un fratello portare una bottiglietta d’acqua alle labbra e bere due lunghi sorsi. Faccio lo stesso: sarà pure il pensiero di un altro ma è più che sano!

Intanto siamo usciti dal traffico principale; il bagno sensoriale è solo di una frazione meno intenso. I tuk tuk su cui viaggiamo rallentano, davanti a noi una torma di ragazzini e ragazzine, bambini, adolescenti si lancia verso i nostri veicoli. In quello davanti a me, il primo della fila, il conducente bestemmia in tre diversi dialetti e mette mano al bastone.

Intuisco, più che vedere, il gesto pacato con cui l’uomo solleva appena una mano e la appoggia sul braccio del conducente. Un gesto dolce ma sufficiente a calmarlo. Anche la mia vista si è in parte risvegliata e vedo il fumo della rabbia del guidatore sollevarsi in aria e dissolversi proprio come il fumo degli spiedini di interiora, in alto. Nella mia percezione sento il contatto della pelle dell’uomo con il tessuto sul braccio del guidatore, la leggera stretta di ringraziamento e lo “stop” mentale che la segue.

Adesso siamo fermi. Quasi tutti affondiamo le mani nelle tasche, che abbiamo riempito di monete prima di partire dall’albergo. Le monete passano rapide di mano, scintillando nel silenzio mentre come al rallentatore passano nelle mani dei bambini; le vedo passare e veicolare dolcezza da qualcuno, anche amore da una sorella che da queste parti ha passato ben più tempo di me. Il denaro non è sporco in sé: è solo il veicolo dell’intenzione e della traenza del potere ma in questo momento, in questo tramonto appena iniziato, è veicolo di Amore. Non può essere altro.

Davanti a me sfilano sorrisi e occhi bianchissimi, mentre nell’aria si manifesta la piccola gioia dei loro proprietari, scoppiettanti luci azzurre e dorate, come piccoli fuochi d’artificio.

Scendo dal tuk tuk, siamo comunque abbastanza vicini alla meta e proseguirei volentieri a piedi. Poco più avanti, percepisco anche l’uomo scendere.

La sua aura divampa, di più, molto di più del solito, e so che è solo quella piccola parte che lui permette sia visibile, forse solo l’eterico e l’emotivo. Non lo so e non mi interessa. Luce è Luce, da qualsiasi piano provenga.

Davanti a lui una decina di bimbi saltellanti con le mani tese. Ma lui ne guarda uno in particolare, uno che non salta, che non tende la mano ma lo fissa, come ipnotizzato da quell’uomo dagli occhi verdi che in quel momento, come nel mio primo ricordo, sono di un azzurro intenso.

Inevitabile per me girare la testa e fissare tutti gli occhi: qualcosa sta accadendo e, anche se le profondità sono fuori dalla mia portata, percepisco ugualmente il silenzio che cala.

Contatto.

Gli altri bambini si spostano, la loro naturale sensibilità li rende immediatamente consapevoli e si allontanano rispettosi a un paio di metri dai due. Non altrettanto fanno alcuni fratelli che sono un po’ distratti da tutto il contorno. E posso anche capirli! Ma poi anche loro vedono e si spostano. Fanno largo e alcuni anche un perimetro un po’ colorato di preoccupazione, mentre i loro cuori naturalmente si concatenano a protezione. Dentro di me un lampo di un sorriso nasce e muore in meno di un istante: in questo momento non ce n’è proprio bisogno.

L’uomo allunga una mano, con dolcezza e rispetto la appoggia in una carezza sul capo del bimbo silenzioso. Lascia la mano immersa in quei capelli nerissimi, per una frazione di secondo. Nel silenzio l’aria tra l’uomo e il bimbo sembra illuminarsi dall’interno. Qualcosa scende dall’alto, forse ne vedo le frange luminescenti ma forse è solo trasliterazione della percezione.

Dura un attimo, uomo e bimbo due statue di sale, occhi negli occhi, immerse in un bagno di Luce. Poi l’uomo stacca la mano, l’ombra accennata di un sorriso, e la mette in tasca. Ne toglie una banconota da 50 dollari, prende con delicatezza una mano del bimbo, gli poggia la banconota sul palmo e gli chiude la piccole dita attorno ad essa, racchiudendo l’intera minuscola mano tra le sue, ben più grandi.

Il bimbo sta tremando ora; un po’ (per altri motivi) anche io.

Il fermo immagine si dissolve, l’aria torna ad essere normalmente luminosa, la torma di bambini si disperde e il bimbo schizza via insieme agli altri.

Tempo finito: l’uomo risale sul tuk tuk e così anche noi per i prossimi, pochi, minuti di strada.

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