Tempo perso al telefono e dintorni

– Pronto? Pronto mi senti? – pausa. Poi ancora:

– Mi senti? Io ti sento e tu? – pausa.

– Va bene se mi senti metti giù che ti richiamo… – pausa.

– Ah, ma allora mi senti? Ok allora per stasera che si fa? – pausa

– Cavolo non capisco niente. Dai ti richiamo tra un po’. Ciao ciao. – click

Tempo trascorso al telefono per non concludere assolutamente nulla: 31 secondi circa. Costo con tre operatori: (controllare pure per i miscredenti…):

Vodafone, tariffa “6 libero” (meglio non chiedersi di fare cosa): 22 centesimi

Tim tariffa “base” (quella che se sei un nuovo utente te la cucchi d’ufficio): 16 centesimi

Wind Tariffa “4”: 21 centesimi

Quante volte ci è capitato di assistere o essere protagonisti di pantomime quali quella sopra citata? Sicuramente molte, ma probabilmente nessuno si ferma a farsi i conti in tasca, e soprattutto all’utilità di quei 31 secondi.

Sono 31 secondi buttati via, nel tentativo di non perdere l’eterico aggancio emotivo con qualcuno di cui ci dovrebbe interessare qualcosa, ma di cui il più delle volte non ce ne può fregar di meno.

Cosa spinga un uomo o una donna, nell’anno del Signore 2008 a sacrificare il proprio stipendio sul tecnologico altare della noncuranza conversazionale, è cosa che ancora dopo lunghe ed approfondite indagini riesce pienamente a sfuggirmi.
Capisco quando la distanza è tale, e gli impegni pure, da impedire o render comunque poco applicabile il contatto fisico; allora il telefono assurge improvvisamente a mezzo di collegamento indispensabile; avvicina al cuore tramite l’orecchio la persona amata, e sostituisce pur palliativamente l’emozione di una carezza. Ma qui stiamo già parlando di conversatori fuoriclasse. Nel novanta per cento dei casi ciò cui assistiamo, se ci facciamo l’occhio e l’orecchio, sono le interminabili serie di:

– Si, si… no certo, non intendevo… ma appunto, è quello che dico anche io, non ti pare? – che tanto mi richiamano alla mente la Proiettiana satira, nella spettacolare rappresentazione teatrale del Gigi nazionale, e qualche risata, lo confesso mi sfugge.

Ma poi mi squilla il cellulare. Lo guardo con malcelato schifo, mentre estraggo la specie di citofono ambulante di cui mi servo professionalmente (posseggo un Comunicator, va bene?), e mi accingo alla stessa identica serie di balbettii.

Ma perchè mi dico io, perchè cado in questa belante commedia dell’arte oratoria al negativo? Perchè non ce la faccio ad esprimere quei due sintetici:

“No, non me ne frega niente!” e “Si, va bene, facciamo così. Ciao!” Che poi alla fine sono la conclusione ultima, recondita e segretamente sperata di quasi tutte le conversazioni?

E allora mi ascolto, riavvolgo la moviola mentale, intercettatore di me stesso, e scopro l’arcano.

Alla gente non frega mediamente niente di ascoltare. Alla gente interessa parlare. Interessa ascoltarsi, sentire la propria voce e le proprie parole rimbombare nello spazio mentale, abitualmente tristemente vuoto, della propria autocoscienza (per usare parola grossa).

Al sistema operativo umano, facendo un comodo paragone informatico, mancano a volte i parametri. Perchè il chiacchiericcio mentale è talmente forte da colmare ogni misura ed ogni angolo di silenzio, senza pietà alcuna per anche solo il tubare di una colomba (che pure a Milano può fare un po’ schifo…) .

– Hai visto? –
– No, cosa? –
– Elisabetta Canalis che attraversa la strada in minigonna e tacchi a spillo! Cribbio! Ma ti è passata a un metro! –
– No, guarda stavo pensando ad altro. Oggi è una di quelle giornate… –

Ma quali “quelle giornate”? Quale “oggi”? Quale “domani”?

Chi ha aperto e firmato un contratto col Padreterno con scadenza e garanzia di morte certa alzi la mano, e giuro gli dedico un anno di apprendimento serrato.

Oggi è oggi. Domani no. Domani non si sa se arriva. Non si sa neppure se parte. Potresti schiattare preda di un attacco cardiaco subito dopo la pubblicità della nuova Micra, e non avresti nemmeno la soddisfazione di sapere chi ha vinto quell’immondezzaio del Grande Fratello 8.192. E togliete tutti subito le mani da lì… non sta bene toccarsi e nemmeno toccare il proprio vicino, che poi la CEI vi punisce…
Ma questa consapevolezza, quella della morte che non si sa quando arriva, pur ben abbarbicata alla mente di ogni uomo o donna, viene evitata con energia inversamente proporzionale all’età, salvo poi non poterla più schivare, spinti da quel forte dolore al petto ed al braccio, e all’asfalto che si precipita contro, atto finale di un biglietto di sola andata appena scaduto definitivamente.Parlare riempie il silenzio, ed allontana il vuoto. Quel vuoto immane e terrorizzante che ogni essere umano non può che sentire dentro di sè tutte le volte che per caso si forma una pausa nell’irrinunciabile e mortifero gorgheggio del pensiero automatico. Quel vuoto che tutte le volte che per caso si presenta alla coscienza scatena improvvisi attacchi di panico, depressioni, disturbi psichici e quant’altro. Quel vuoto che se ascoltato, renderebbe subito tutti allerta ed attenti sull’incontrovertibile verità della propria non-esistenza.

Quel vuoto riempiendo il quale si sacrificano migliaia di parole sull’altare della conversazione educata, e del “Politically Correct”, quando tanto ci piacerebbe invece poter liberamente urlare un singolo, maestoso e potentissimo:


VAFFANCULO!

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3 Commenti
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thehighlander

Quello che più mi preoccupa è che queste cose la testa le sa, le capisce, si sente anche in giro “la vita è breve bisogna godersela”, “carpe diem” bla bla bla. Però due secondi dopo (a volte anche meno) si viene risucchiati nel problema del momento che poi quasi sempre non è neanche lontanamente un problema ma rientra nella categoria “seghe mentali”. Se posso esprimere un desiderio vorrei che ogni cellula del mio corpo si rendesse conto che tra mezzora potrebbe essere tutto finito e che questa consapevolezza permanesse ad ogni click del mouse, ad ogni grattata di naso, ad ogni telefonata.

morgana

E’ vero la vuotaggine di certe conversazioni fa riflettere e, a quanto pare induce a considerazioni sul vuoto esistenziale (versione elegante della suddetta vuotaggine) e sull’impermanenza dell’umano vivere (o non vivere), ma diciamolo, poi, se ti nessuno ti telefona… sei morto!

petalo rosa

franz sei un grande…