L’esperienza – un racconto di Liam

In una fredda giornata di dicembre, sotto un cielo straordinariamente azzurro, siedo su una panchina nell’estremità baciata dal sole che si fa strada fra i muri del municipio, e l’antico palazzo dell’Orologio.

Pochi mi fanno compagnia in questa pausa fra le antiche mura, al di fuori di questo cono di luce la differenza di temperatura non induce a troppo rilassamento.

Mi sento un privilegiato per quanto riguarda il luogo e mi lascio trasportare dai suoni ovattati di qualche artista ambulante che suona nella piazza alle spalle, dal rumore dei passi affrettati di qualche infreddolito concittadino e dal chiacchiericcio che avanza, mi sfiora e si allontana come le onde di un mare calmo in assenza di vento.

Mi lascio coinvolgere totalmente e mi concedo ai raggi del sole sollevando il capo per esporre il viso al tepore che mi scalda le guance.
Da principio riesco a riconoscere le situazioni esterne nonostante gli occhi chiusi, poi tutto comincia a diradarsi fino al silenzio totale, una pace assoluta.

Mi rendo conto della posizione che ho assunto ma non ho la percezione del tempo, sto bene, nulla mi infastidisce e quindi non ci sono motivi per interrompere questo stato di benessere.

Qualcosa mi tocca una scarpa una volta, due volte: riapro gli occhi e vedo un modellino di auto, di quelli a molla, ormai non più in voga, che si ostina a cercare un varco fra i miei piedi.

Seduto a terra a gambe incrociate c’è un bambino che mi guarda con un sorriso dolcissimo mentre mi racconta dei particolari tecnici del modellino:

“Ciao zio, ti piace la mia auto? E’ un modello raro, sai? Noo! Non il tipo, proprio questo modellino, ha parecchi anni…ormai non se ne trovano più.
Perché ti chiamo zio? Dai non scherzare, io lo so che tanti ti chiamano zio Willi, anche il barista, quindi perché proprio io no?”

“Tu non mi conosci? Forse non ti ricordi più di me ma mi conosci, sicuro! Vuoi sapere il mio nome? Sei stupito del fatto che io sia qui?
Allora qualcosa sta arrivando. No, non c’è nulla di cui spaventarsi, anzi non mi sembri affatto preoccupato. Il mio nome? Te ne dico uno che ti aiuterà di
sicuro: Timeless”.

Timeless è una parola composta che sinceramente mal si accomuna con la nostra abitudine ai nomi, pronunciarla però con un tono di voce rilassato produce un’onda di calma e di tenerezza. Non riesco a vedere con chiarezza nulla ma sono cosciente che nella mente stanno passando, in una sorta di rassegna composita, immagini, azioni, dialoghi. Non era mai successo, forse tutto ciò dovrebbe inquietare, non so, in realtà è tutto estremamente piacevole e come dire…rassicurante.

“Dai, vieni con me che ti faccio vedere una cosa bellissima! Non ti preoccupare, torni dopo a riprenderlo, ora non ti serve.”

Mi alzo, mi sento leggero, lo seguo prendendolo per mano e dietro l’angolo mi ritrovo in una grande prateria al sorgere del sole. L’erba alta, verde, ondeggia sotto la spinta di una brezza che procura brividi, ma non di freddo.

Il sole ad est ha cominciato ad illuminare l’orizzonte e poco a poco il suo allegro disco si affaccia. Sono a cavallo e avanzo verso la luce mantenendo un’andatura veloce ma non esasperata. Lo sguardo fisso ad est non è disturbato dal bagliore, avanzo sicuro verso la verità e colgo l’essenza di questo istante; io sono cavalcatura e cavaliere, il cavallo è l’entità fisica e il cavaliere la mente che domina e coordina l’azione e i pensieri.

E’ meraviglioso avanzare verso la luce anche se sembra che la destinazione finale non sia mai un po’ più vicina. Ovunque ci si trovi, c’è sempre il modo di dirigersi verso est, verso il sorgere del sole, verso tutto quello che cerchiamo senza saperlo.

“Fermati Matteo !! Quante volte devo dirti di non correre?”

Riapro gli occhi e mi ritrovo sulla mia panchina, fra i palazzi e le voci della città.

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