Il fotografo e l’inquadratura
Oggi ho incontrato per strada un mio amico fotografo.
È un uomo decisamente brillante; le sue foto, rigorosamente in bianco e nero, esprimono con forza e vitalità tutto ciò che il suo essere desidera narrare e che si esprime, quasi con prepotenza, attraverso le inquadrature.
Il personaggio invece, con barba e capelli lunghi e abbigliamento piuttosto trascurato, vuole rappresentare l’artista del tipo “genio e sregolatezza“.
Un po’ genio lo è sicuramente e un po’ sregolato anche ma tuttavia qualcosa stona.
Nel senso che tanto sono limpide le sue fotografie nel loro significato, tanto tortuoso e complicato è l’autore.
Il punto è CHI c’è dietro all’oculare? CHI esegue lo scatto?
L’uomo che si incontra per strada o con cui si beve una bibita al bar è contorto, polemico, a volte scontroso e ha la tendenza a giudicare molto, molto pesantemente le vicende altrui quasi lui fosse immune dalle debolezze umane.
Una difesa continua; è sempre in retroguardia e quella massa di barba e capelli sembra stare lì, con la scusa dell’originalità che lui vorrebbe rappresentare, piuttosto a mettere a nudo tutte le sue barriere, steccati e sbarramenti.
Mi domando da anni come in lui l’essere riesca a valicare quella recinzione costruita con tanta tenacia facendosi strada fra pregiudizi, identificazioni, convinzioni, orgoglio, paure, per esplodere con tale limpidezza in immagini dall’espressione così pulita, nitida, essenziale.
Oggi ho avuto la risposta da lui stesso quando, appunto, l’ho incontrato.
Mi ha detto, indicando la macchina fotografica appesa al collo:
“Sono stato in bosco fino adesso a fare fotografie. Dopo giorni di troppi pensieri sono riuscito a liberare un po’ questa testa e finalmente le idee sono arrivate”.
Non so come ci riesca, non sono neppure sicura che lui sia veramente consapevole che la sua creatività è tutta contenuta lì, in quello spazio mentale che evidentemente egli, in particolari condizioni, sa liberare naturalmente.
Ma tant’è, ed è davvero una bella trasformazione!