9 Novembre 1989: cade il muro di berlino. Separazione, divisione e diversità.
Tra quattro giorni ricorre l’anniversario della caduta dell’ultimo baluardo pubblico dell’ottusità e della tirannia dell’est europeo, il Muro di Berlino.
Era il 1989, 20 anni fa. All’epoca ne avevo 25 e mi ricordo ancora che mi commossi vedendo le immagini dello smantellamento del muro trasmesse dalla televisione.
In quel momento pensai che avrei voluto essere anch’io in quel posto, prendere parte a quella storica quanto improvvisata cerimonia, in cui migliaia di persone passarono da una germania all’altra, ognuna portandosi via un pezzo di quella barriera che per 28 anni aveva separato popolazioni, famiglie, sentimenti e ideologie.
La separazione è proprio la chiave di volta del pensiero che indusse alla costruzione del muro. Semanticamente parlando, separazione e divisione, abitualmente utilizzati come sinonimi, non lo sono affatto.
Separare e dividere, pur avendo materialmente lo stesso effetto, non sono la stessa cosa.
Dividere è una parola costituita da due parti, egualmente importanti; la particella “di” che significa “in due”, “doppio” e “videre” che proviene da “video” ovvero vedere.
Divisione significa doppia visione, vedere diversamente. Da non confondere quindi diviso con diverso, che invece, composto dalla stessa particella “di” e “versus” significa letteralmente “volto altrove”, “guardare altro”
Separare è un’altra parola, con un significato completamente diverso. Composta da “Se’ ” e da “parare” compone un significato di “Porre se’ stessi” ecco che separare assume una valenza completamente diversa da dividere e ancora più da “diverso”.
Separazione implica il concetto che prima di essa vi sia l’unità e che il risultato dell’operazione sia l’osservazione speculare di se’. Separare ovvero disporre se’ stessi. L’atto della separazione implica quindi l’osservazione di se’ stessi. In certo qual modo la separazione è quell’illusoria forma di divisione che avviene, ad esempio quando ci si osserva davanti ad uno specchio. Lo specchio genera l’illusoria presenza del nostro alter ego riflesso, come separato da noi.
Ma “noi” siamo sempre unici. Il riflesso nello specchio è illusorio, non ha una sua essenza, una sua esistenza a se’ stante e cessa di esistere nel momento in cui ci allontaniamo dallo specchio.
Nella separazione è quindi compreso il concetto di riconoscimento di se’ stessi come esseri esistenti.
Nella vita umana la separazione è quasi omnipresente: la separazione alla nascita, simboleggiata dal taglio del cordone ombelicale. La separazione nei primi anni di vita, simboleggiata dall’insorgenza della parola “NO”. Una parola che il bambino impara quasi subito a dire.
Negare, dire “NO”, significa separarsi ma nel separarsi significa affermare la propia esistenza come individui.
Più tardi la separazione porta l’adolescente in contrapposizione al padre ed è una contrapposizione quasi infinita, che cessa quasi sempre solo con la morte del genitore.
E’ per questo che, in una vita meccanica, è difficile per i maschietti esser uomini fino a che il padre non muore. Perchè non si riesce a separarsi pienamente, a “parare se’ stessi” completamente.
Separazione ha dunque il significato di un atto principale nella vita. L’unico atto che consente di vedere se’ stessi, prima di riconoscere la propria appartenenza a qualcos’altro.
Tanto per cambiare… le montagne prima sono montagne, poi non lo sono più e dopo lo sono ancora.
Che meraviglia questo Uni-verso!
Universo: andare verso l’Uno?!
Quantomeno “rivolto all’unità”!
La lettura dell’articolo mi ha suggerito questo raccontino.
Saluti
DUE PAROLE
Quella mattina si alzò con un pensiero fisso. La notte non era stata tranquilla: incubi, sudori, affanno, un voltolarsi continuo nel letto avevano accompagnato il suo sonno, al limite della coscienza. E adesso rimaneva la domanda con la quale aveva aperto gli occhi. Un dubbio martellante, inchiodato, che sembrava non volerlo lasciare: “Chi sono?”.
Gli pareva una domanda stupida, banale, assurda. Cosa poteva mai rispondere se non quello che appariva evidente!? Una persona, un essere umano, un uomo … cos’altro? Eppure nulla di ciò bastava più adesso. Era come se quelle due parole avessero impresso un movimento a un meccanismo sconosciuto e incontrollato, mettendo in crisi ogni lapalissiana certezza.
Chi sono?
Entrò in bagno e si guardò allo specchio.
« Chi sei? » sussurrò, fissandosi negli occhi.
L’immagine riflessa rimase muta, immobile, fissandolo a sua volta, come se fosse lei ad aspettare da lui una risposta. Non ci fu. Da nessuna parte. Poteva mai pretendersi che fosse altrimenti? Era come dire che l’immagine allo specchio fosse altro da lui.
Altro da lui. Già!… E se anche lui …? Se anche lui fosse stato tale? Una semplice immagine, il riflesso di qualcosa?… un essere, un’essenza, un pensiero?… Un’idea troppo forte da accettare e digerire.
Lui, un riflesso!
Un riflesso che si vedeva riflesso ed era comunque in grado di riflettere sia sul riflesso allo specchio che sulla cosa che si era riflessa, riflettendosi in lui. E ancora, sulla sua riflessione. Un bel rompicapo!
Si avvicinò al water per i bisogni mattutini. Tanto bastò perché l’immagine sparisse. Liberò la vescica e tornò davanti allo specchio: eccola di nuovo! Ma era lei? Era la stessa? Pensò un attimo. Lui non era lo stesso di un minuto fa, quanto meno per il semplice fatto che aveva svuotato la vescica e ciò sicuramente aveva prodotto in lui un mutamento, anche se minimo e impercettibile.
Dunque pure l’immagine di adesso allo specchio non poteva essere uguale a quella di prima. E allora?
Levandosi dallo specchio aveva eliminato l’immagine; tornando, ne aveva prodotto una nuova. Era come dare vita e morte.
Di nuovo si allontanò dallo specchio … la morte. Tornò … la nascita. Andò via … la morte …
Era dunque quella l’esistenza? Il passaggio fugace di un’immagine allo specchio? E lui? Un’immagine labile, inconsistente e precaria? Il risultato di un capriccio, perfino?
Continuò a guardare la sua immagine. Adesso aveva quasi paura di allontanarsi dallo specchio: un senso di responsabilità, un rispetto fraterno per la vita.
Quel giorno lo attesero invano in ufficio. E pure il giorno successivo. E i giorni a seguire.
Quando entrarono in casa, dopo una settimana, lo trovarono disteso per terra, ai piedi del lavandino, in bagno.
Mai si seppe la causa di quel decesso, né lui tornò per dare risposte.
Non la diede neppure l’ombra di un’immagine allo specchio.
La storia insegna che a sottilizzare troppo si finisce per essere così sottili da diventare evanescenti.