De Cubertain era un perdente…
…E come tale ha scritto un motto che tutti i perdenti si infilano in bocca per non realizzare che sono tali.
“L’importante non è vincere ma partecipare”
E’ veramente il motto di chi perde. Un po’ come quelli che sostengono che entrare in possesso di una montagna di soldi li renderebbe solo più poveri “dentro” e quindi a loro non interessa.
BALLE!!!
Se sei ricco, ma veramente ricco, ti togli di mezzo un bel po’ di rogne che ti rendono la vita difficile e ti ritrovi di colpo con un sacco di tempo a disposizione per fare ciò che preferisci, per lottare per quello che veramente conta per te e non solo per arrivare alla fine del mese.
Allo stesso modo, se partecipi ad una gara, l’importante è vincere, non partecipare, perchè se cominci a dirti che se perdi non è un problema, allora sarà molto dura trovare al tuo interno quella spinta che fa la differenza tra un campione e tutti gli altri; e se per un caso fortuito dovesse succedere che non vinci, avrai ancora l’energia per riprovarci e riuscire e non ti troverai ad accontentarti di arrivere “dopo”.
De Cubertain era un perdente. E come tale è diventato l’autore dell’inno di tutti i “secondi” del mondo.
E dirò di più: non solo è importante vincere ma, soprattutto, come si vince; la vittoria deve essere netta, chiara, indiscutibile.
Per fare passare la voglia ai secondi di riprovarci.
Per citare Altieri:
“Terminazione con estremo pregiudizio”
De Cubertain parlava del gioco. Ma la vita non è affatto un gioco. Non esistono secondi o terzi nella vita. Esistono quelli che vincono. Tutti gli altri perdono.
Ma anche nel gioco, chi si avvicina ad una sfida sportiva senza la necessaria determinazione, è destinato a perdere, perchè se parte pensando che l’importante è partecipare non troverà mai la focalizzazione e la determinazione necessarie a vincere.
Quindi… fottiti De Cubertain!
Evvai Franz!
Dici che sia l’inno dei perdenti, Franz?… Lo penso anch’io, e penso anche che sia l’inno di coloro che non hanno voglia/testa di impegnarsi per eccellere 😕
Ci voleva ‘sto post…bendetto e benfatto Franz!
Bel colpo Franz! L’ho sempre pensato anch’io.Antoine.
Lo sapete che se tutto il blog si schiera in una direzione io sento un imulso irrefrenabile ad andare dall’altra? E quindi…
Io credo che il pensiero secondo il quale De Cubertain viene citato e lo si porta ad esempio, non sia così banale. Premetto che sono d’accordo col fatto che il denaro serve e migliora la vita e che più ne hai e meglio stai. Chi dice il contrario o mente o sbaglia. Però io credo che quando si disputa una competizione (e giustamente la vita rienta in tale categoria a tutti gli effetti), lo devi fare col solo obbiettivo di vincere. E questo è un punto. Resta però l’importanza di saper affrontare la sconfitta con la dignità necessaria a saper stimare senza invidie il vincitore, a saper sorridere con sincerità davanti alla sconfitta e a saper investire la sconfitta come capitale su cui costruire la prossima competizione. Perché ogni volta che ho visto qalcuno incapace di vivere la sconfitta ho percepito quella persona come una persona meschina. E la meschinità è davvero una delle caratteristiche più pietose, per me. Credo che vada in questa dirzione, chi plaude il pensiero di De Cubertain, nella necessità di restare ancorati alla dignità, all’onore ed a quella maestosità d’animo che, mi rendo conto, è per pochi.
A parte il fatto che non sempre vai contro corrente… in tutto il tuo ragionamento c’è una pecca.
La sconfitta, semplicemente, non esiste. E’ solo la vittoria che si è fermata a bere un caffè.
Non so se mi sono spiegato, come disse il paracadute cieco…
Rispondere all’intervento di Franz non è semplice:
1° l’argomento è complesso
2° bisogna essere concisi, dato il mezzo di comunicazione
3° la sua “potrebbe” anche essere una provocazione ad arte.
Ci provo comunque.
Innanzitutto – partiamo da un fatto secondario – la frase «l’importante è vincere non partecipare» non è proprio del barone di Coubertin ma di un vescovo della Pennsylvania, che la pronunciò durante una predica. Pierre de Coubertin, facendola propria, la rese famosa.
Poi, dobbiamo capire di cosa parliamo: di una gara sportiva? della realizzazione nel lavoro? della ricchezza? dell’essere famosi ed essere al centro dell’attenzione? della produzione nel campo artistico? della realizzazione nella sfera dell’amore, dell’amicizia? dell’armonia con noi stessi? della capacità di dare soluzione al problema della nostra vita spirituale?…
Sicuramente tutto richiede impegno e ciò che riesco a realizzare in un campo in modo eccelso, in genere mi preclude la possibilità di essere primo da un’altra parte. Non solo. Sono costretto a dedicare buona parte, se non tutta la vita a quello scopo, a scapito di tutto il resto. (Poi la sera, quando sarò solo con me stesso, non so quanto questo mi basterà e mi farà sentire realizzato!)
Non esiste infatti uomo che possa dirsi completo, o comunque completo ai massimi livelli. Dante, Michelangelo, Leonardo, Shakespeare, Mozart, Einstein, Pelè, per fare solo alcuni nomi che generalmente vengono riconosciuti come geni, avevano una serie di manchevolezze in altri campi.
Primo dunque in letteratura o in arte o in musica o nel campo scientifico o nel calcio. E poi? L’uomo non è solo un letterato o un artista o un musicista o uno scienziato o un calciatore. L’uomo è qualcosa di più. È un uomo, appunto.
Dunque, poiché possiamo eccellere in una cosa ed essere delle schiappe in un’altra, saremmo tutti perdenti. E questo, per il semplice fatto di essere imperfetti e di essere continuamente sulla strada della ricerca, dall’avanzamento e del miglioramento.
Franz dice che «la vita non è affatto un gioco. Non esistono secondi o terzi nella vita. Esistono quelli che vincono. Tutti gli altri perdono».
Su questa affermazione ci sono almeno due cose da dire.
– Proprio perché la vita non è un gioco, dovremmo essere capaci di fare una scala di valori e capire su cosa concentrare essenzialmente la nostra attenzione e man mano dare tempo e spazio alle nostre esigenze vere, non a quelle indotte.
– Inoltre, il ragionamento di Franz porta direttamente alla “competizione”, da cui scaturiscono antagonismo, concorrenza, rivalità, invidia. Altra cosa invece è parlare di “prova” la quale ci mette in gara con noi stessi e ci spinge (o dovrebbe spingerci) a cercare di superarci.
Comunque, nell’un caso (la competizione) e nell’altro (la prova) va sempre tenuto presente il giusto mezzo, affinché la cosa non diventi esasperante. Allora rischieremmo di ammalarci di esaurimento e/o di depressione (Di casi se ne contano tantissimi).
Dunque la vita non è una gara ma una prova, un’opportunità che ci viene data per progredire ed emanciparci. Il livello che raggiungeremo è direttamente proporzionale a tutta una serie di fattori: il punto di partenza personale (fisico, intellettivo e psichico), l’ambiente nel quale siamo nati e cresciuti, l’ambiente in cui ci muoviamo, le esperienze, gli incontri spesso fortuiti, il nostro impegno, la volontà, lo studio e la cultura, i nostri desideri, le nostre necessità, le nostre scelte …
Questo discorso comunque nulla toglie che ci si debba e possa confrontare e misurare con l’altro,
che bisogna avere quel pizzico di sana ambizione che ci serve da stimolo e da molla e ci permette di dare sempre il meglio di noi. Ma il primus sarà solo primo in un piccolo frangente, in un frammento di vita. Quelli che Franz chiama “perdenti” e “fottuti” sono in quel piccolo frangente e frammento di vita solo secondi e terzi e ultimi. Rimangono comunque uomini.
Ognuno nel suo piccolo partecipa alla composizione dell’universo, è una tessera del puzzle, ha una funzione, anche se spesso sconosciuta o non precisata nei contorni. Dovrebbe bastare la coscienza di questo fatto a farci sentire tutti importanti e vincenti. Il resto è solo polvere.
Sul fatto che la vita “sia” qualcosa, obbietto.
Per quello che ho potuto sperimentare, la vita é. Punto. Non è “questo” o “quello”. E’ e basta. E’ ciò che è. Eccellere in una cosa ed essere schiappe in un’altra, ha poco senso.
In senso assoluto intendo.
Io non parlavo di eccellere, quanto di essere.
Vincere la vita in questo senso. Non c’entra la competizione. Non c’entra l’eccellenza in una cosa o in un’altra.
C’entra vivere al 100%. Tutto lì. Se vivi al 100% non puoi perdere. A quel punto non esiste sconfitta. Non più.
Oh… non che io ci sia riuscito, sia chiaro.
Si tratta solo di qualcosa con cui da un po’ vado misurandomi; un senso diverso di ciò che vivo al mio interno.
Franz, ammetto che il tuo post mi aveva un po’ confusa, mi sembrava un po’ “assolutista” stile marine americano che se il figlio non vince la sua partitina di rugby al campetto del quartiere è un perdente, inetto per nulla degno di suo padre. Ma evidentemente non era questo il senso delle tue parole.
Se il senso di “vincere” è vivere appieno la vita allora si, mi associo. La vittoria più difficile, e secondo me l’unica vera vittoria.
Krishna si rivolge ad Arjuna dicendo: “O Arjuna da dove viene la tua debolezza in questo difficile momento? Essa è indegna di un ario e non conduce al cielo”.
Ma più oltre dice anche: “E’ la sola azione quella che ti concerne, mai i suoi frutti; non dipendere dal frutto del karma e neanche devi attaccarti alla non azione”.
Non girarmela sul mistico :)))
Parole sante! :muah:
…il resto è la vita tutta…
No. La vita è tutto. Compreso il resto. :muah:
indubbiamente.
:party:
Bel colpo Franz!
Caro Franz, se avessi integrato il post con quanto hai scritto come risposta al mio commento, la comunicazione sarebbe passata ed io mi sarei risparmiato un’ora di lavoro.
In realtà, parlando di soldi e gare, hai messo il lettore (mi pare non solo me) su una falsa pista, soprattutto chi non ti conosce o non ha la facoltà di leggere il pensiero.
E comunque, se parliamo di vivere la vita al 100%, non scomoderò certo De Coubertin ma, come novello Diogene, mi munirò di lanterna e andrò in giro per cercare l’uomo!
Sono spiacente per la tua grave perdita di tempo… :coffee:
Grande Franz, come sempre :beer: