Interpolazione sociale: la globalizzazione vista da dietro
In gergo informatico, interpolare significa dedurre qualcosa sulla base di ciò che sta attorno.
Facebook, Twitter, Diggit, Stumble Upon. E poi blog, youtube, google wave, buzz. E tanti altri “luoghi” virtuali di aggregazione reale.
Ognuno di questi software rappresenta un nodo concentratore di una rete pluriconnessa.
La presenza di ognuno di noi all’interno di questi nodi genera, all’interno degli stessi, delle sottoreti, dei grafi pluriconnessi, rappresentati dalle nostre azioni nei confronti deinostri contatti.
Tutto ciò che scriviamo, i filmati che pubblichiamo, i commenti che lasciamo sugli account di altri, alla fine parla di noi, di chi siamo, chi conosciamo e a quale livello.
L’analisi semantica è alle prime armi? Non è affatto vero. Lo è solo per il pubblico. Nei sistemi degli apparati di Intelligence l’analisi semantica è implementata a livello informatico molto più profondamente ed efficientemente di quanto non si creda.
Basta pensare all’esperienza, alla logica ed alla capavità di un profiler dell’FBI per comprendere che questa possibilità, sebbene meno profondamente, può comodamente essere imitata da strumenti informatici basati su reti neurali (Intelligenza artificiale), il cui sviluppo non è affatto agli albori.
Le informazioni lasciate in giro sulla rete possono essere facilmente raccolte, confrontate ed iterate per costruire un profilo psicologico, umano e professionale di ognuno di noi. Il resto viene dedotto tramite la cosiddetta “interpolazione sociale”, ovvero incrociando i dati e riempiendo i punti con poche informazioni in modo statistico.
In paesi a completa magliatura informatica, come gli Stati Uniti, questo è particolarmente facile da parte delle varie agenzie governative.
Ma non pensate che in Italia possa essere meno fattibile.
Conti bancari, movimenti di denaro, carta di credito, tessera fedeltà del supermercato, fedina penale, estratto conto dell’INPS… sono tutte informazioni computerizzate e, quindi, raggiungibili da chi può.
Basterebbe questo per costruire un profilo psicologico umano e professionale di chiunque.
Ma in caso di particolare bisogno, si può sempre contare su altri nodi concentratori: il barista, il giornalaio, i vicini di casa, i pettegoli di quartiere.
L’interpolazione sociale non è qualcosa che si basa solo sull’informatica. E’ una scienza che affonda le sue origini in una scienza primeva, irriducibile: quella del pettegolezzo.
L’informazione passata da persona a persona, sussurrata mentre si beve il caffè (e che il barista esperto è abilissimo nel raccogliere e schedare nella propria memoria). La conversazione telefonica che, prima ancora che con mezzi elettronici, viene captata da tutte le persone che incrociamo mentre, ad alta voce e completamente distratti da dialogo/monologo, inconsapevolmente teniamo a livelli di volume vocale elevati.
Chi pensa di poter rimanere fuori da questo sistema è solo un illuso. Non avere un account su facebook non implica essere fuori dal sistema. L’interpolazione sociale sostituisce efficacemente quella fonte di informazione con la deduzione in base a tutte le altre.
E a chi dice che almeno così non proprio tutti sanno cosa facciamo, io rispondo che questo sposta ma non modifica la prospettiva.
Le informazioni che possiamo condividere su di noi non possono comunque essere interpolate dalla gran parte delle persone, mentre quelle che cerchiamo di lasciare nel privato di certo non le condividiamo.
Ma sono queste ultime che vengono cercate e infallibilmente trovate da chi ha i mezzi tecnici per farlo.
Facebook o no.
We all are fucked?
Yeah! From behind!