Quarta dimensione, percezione e spazio di esperienza.

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La real­tà è quel­la che è. Nes­su­no può con­fu­ta­re que­sta asser­zio­ne. Il pro­ble­ma nasce quan­do si par­la di “per­ce­zio­ne” del­la real­tà. Se la per­ce­zio­ne non coin­ci­de con essa, allo­ra la nostra visio­ne di ciò che è rea­le e di ciò che non lo è cam­bia. E si entra nel mon­do del­le opinioni.

D’al­tron­de non può esse­re diver­sa­men­te; non poten­do acce­de­re alle cau­se del­la real­tà, se non in modo par­zia­le, noi pos­sia­mo solo per­ce­pir­ne gli effet­ti. Ma dato che, come è noto, da un effet­to non è pos­si­bi­le risa­li­re alla cau­sa (dal­la cene­re in un piat­to si può dedur­re la pre­sen­za di una siga­ret­ta nel pas­sa­to, ma non è pos­si­bi­le ricrea­re la siga­ret­ta in toto), la nostra per­ce­zio­ne del­la real­tà, fin­tan­to che non può inclu­der­ne le cau­se, è sem­pre limitata.

Pos­so­no esi­ste­re altis­si­mi livel­li per­cet­ti­vi a mano a mano che la nostra con­sa­pe­vo­lez­za inclu­de livel­li di cau­se sem­pre più dila­ta­ti ma l’e­si­sten­za di un’ul­te­rio­re cau­sa esclu­sa dal­la nostra con­sa­pe­vo­lez­za ne garan­ti­sce la relatività.

Tut­ta­via esi­sto­no dei momen­ti, come una sor­ta di “pas­sag­gi”, in cui qual­co­sa al nostro inter­no pro­du­ce un sal­to e tut­ta una serie di effet­ti, e quin­di di pez­zi di real­tà, va a for­ma­re qual­co­sa di orga­ni­co. E’ il momen­to del­la com­pren­sio­ne, quel­lo in cui per un feno­me­no cono­sciu­to come “insight”, si rea­liz­za qualcosa.

In quel pre­ci­so istan­te, tut­to ciò che sta al di sot­to del­la cau­sa che abbia­mo com­pre­so, in qual­che modo spa­ri­sce per cam­bia­re aspet­to. Non vedia­mo più i sin­go­li effet­ti, ma la loro som­ma più la cau­sa che li ha generati.

L’in­sight è quel feno­me­no per cui, media­men­te, uno si pic­chia una mana­ta in fron­te ed escla­ma “Ades­so ho capi­to!”, e tut­te quel­le cose che pri­ma vede­va come sle­ga­te una dal­l’al­tra, improv­vi­sa­men­te entra­no a far par­te di un insie­me organico.

Ciò che pro­du­ce que­sto pas­sag­gio, que­sto “cam­bio di visua­le”, ci fa pas­sa­re dal­la visio­ne di sin­go­li par­ti­co­la­ri distin­ti ad una visio­ne del­la cosa nel suo insieme.

Quel­lo che acca­de nel­la nostra con­sa­pe­vo­lez­za in que­sti casi è esat­ta­men­te rap­pre­sen­ta­to da un’o­pe­ra­zio­ne mate­ma­ti­ca di cui ho par­la­to in altri post: l’in­te­gra­le (guar­da caso si chia­ma pro­prio così: si dice “inte­gra­re un’espressione”)

E’ un po’ come guar­da­re un cer­chio dise­gna­to su un foglio di car­ta. Se il nostro pun­to di vista è a qual­che deci­mo di mil­li­me­tro dal foglio, vedre­mo dei pun­ti­ni, le goc­ce di inchio­stro, sepa­ra­ti tra loro. Man mano che il nostro pun­to di vista si allon­ta­na, il cam­po visi­vo si allar­ga e i pun­ti­ni ten­do­no ad unir­si, fino a che non si vedo­no più. Al loro posto è com­par­so un cerchio.

Anche la nostra com­pren­sio­ne segue que­sto per­cor­so. Fin­tan­to che la nostra capa­ci­tà visi­va è limi­ta­ta ad un oriz­zon­te ristret­to, vedre­mo dei par­ti­co­la­ri sen­za sen­so, a cui sarà faci­le attri­buir­ne uno del tut­to inven­ta­to. Con l’au­men­ta­re del­la com­pren­sio­ne, il nostro oriz­zon­te si allar­ghe­rà, il nostro “cam­po di com­pren­sio­ne” abbrac­ce­rà uno spa­zio mag­gio­re e il sen­so di ciò che vedia­mo, obbli­ga­to­ria­men­te, cambierà.

Fin­tan­to che, di col­po, la figu­ra del cer­chio appa­ri­rà e i pun­ti­ni non saran­no più visi­bi­li. E’ arri­va­ta la com­pren­sio­ne, l’in­sight. Da quel momen­to i pun­ti­ni e tut­to il sen­so che ave­va­mo loro attri­bui­to, non esi­sto­no più.

Ora imma­gi­nia­mo di ave­re due dimen­sio­ni inve­ce che tre. Abbia­mo lar­ghez­za e pro­fon­di­tà, ma ci man­ca l’al­tez­za. In altre paro­le il nostro spa­zio, bidi­men­sio­na­le, è una super­fi­cie. Per esem­pio un foglio di car­ta su cui è sta­to dise­gna­to un cerchio.

Solo che noi abbia­mo due dimen­sio­ni. Non pos­sia­mo allon­ta­nar­ci dal foglio per vede­re il cer­chio, che quin­di ci appa­ri­rà come… una linea ret­ta. Pos­sia­mo gira­gli attor­no ma, dato che si trat­ta di un cer­chio, con­ti­nue­re­mo a vede­re una linea ret­ta sem­pre uguale.

Cosa dedur­re­mo? Che c’è una stra­na riga nera che con­ti­nua a gira­re ver­so di noi.

Sol­tan­to allon­ta­nan­do­ci dal foglio, quin­di acqui­sen­do una dimen­sio­ne in più, la ter­za, avre­mo la pos­si­bi­li­tà di capi­re che si trat­ta di un cer­chio. E potre­mo tran­quil­la­men­te sal­ta­re den­tro e fuo­ri di esso.

Ora por­tia­mo l’e­sem­pio “in su” di una dimensione.

Imma­gi­nia­mo di vede­re una sfe­ra. Noi sia­mo vin­co­la­ti a tre dimen­sio­ni. La stes­sa sfe­ra, nel momen­to in cui doves­si­mo acqui­si­re una quar­ta dimen­sio­ne, non ci appa­ri­rà più come una super­fi­cie soli­da con­ti­nua ed inva­li­ca­bi­le, ma come qual­co­sa da cui sia­mo libe­ri di entra­re ed usci­re in qual­sia­si momento.

Un esse­re qua­dri­di­men­sio­na­le, visto da una per­ce­zio­ne tri­di­men­sio­na­le, appa­ri­reb­be incom­pren­si­bi­le. E fareb­be mira­co­li, come spa­ri­re da un luo­go per ricom­pa­ri­re istan­ta­nea­men­te in un altro, ad esempio.

Dal suo pun­to di vista qua­dri­di­men­sio­na­le, avreb­be maga­ri sem­pli­ce­men­te fat­to un gesto, un pas­so, ma da quel­lo ridot­to, tri­di­men­sio­na­le… si sareb­be teletrasportato.

Se a que­sto pun­to vi sie­te pic­chia­ti una mano in fron­te… ave­te avu­to un insight!!

Buo­na giornata!

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Il Veronesi

Qual­co­sa del gene­re (ossia il gesto qua­dri­di­men­sio­na­le che sul­le 3 dimen­sio­ni risul­ta esse­re ciò che defi­nia­mo “tele­tra­spor­to”) è alla base del­l’e­spe­ri­men­to di Phi­la­del­phia, se non sba­glio… Comun­que in un cer­to sen­so noi già usia­mo ragio­na­re su 4 dimen­sio­ni, se voglia­mo con­si­de­ra­re il tem­po una dimen­sio­ne. P.S. Ma quin­di “Insight” è un po’ come una “epi­fa­nia”? E dopo la mana­ta in fron­te si può escla­ma­re “ηὕρηκα”?
:wow:

Il Veronesi

“Eure­ka”! L’ho scrit­to in gre­co per­fa­re il figo, così…

Andrea G

Gran­de arti­co­lo Franz!
Tro­vo mol­to pre­ci­sa la descri­zio­ne del­l’in­sight e la con­di­vi­do pie­na­men­te, non solo da un pun­to di vista teo­ri­co ma anche esperienziale.
E’ una descri­zio­ne che secon­do me resti­tui­sce al ter­mi­ne “intui­zio­ne” il suo vero signi­fi­ca­to, così “alto” e pro­fon­do, libe­ran­do­lo da quel­lo che inve­ce di soli­to gli vie­ne attri­bui­to: una vaga sen­sa­zio­ne, spes­so inge­nua e poco affi­da­bi­le (in quan­to pri­va di atten­di­bi­li­tà e pro­ve) carat­te­ri­sti­che pecu­lia­re del­le men­ti un pò “sem­pli­ci” o del­la men­ta­li­tà dei popo­li “pri­mi­ti­vi”.
Tro­vo inve­ce che lavo­ra­re per acce­de­re con­sa­pe­vol­men­te ad un “livel­lo” dif­fe­ren­te che per­met­ta l’a­per­tu­ra di nuo­ve pos­si­bi­li­tà cono­sci­ti­ve sia quan­to di più impor­tan­te per com­pie­re un sal­to evo­lu­ti­vo inte­rio­re, pri­ma di soc­com­be­re ad un’e­vo­lu­zio­ne tec­no­lo­gi­ca sem­pre più acce­le­ra­ta e peri­co­lo­sa­men­te al di fuo­ri del­le nostre pos­si­bi­li­tà di gestione.

franco magnani

mi son tira­to una mano in fron­te, per sal­ta­re, per capi­re, e ho capi­to: dal­l’ef­fet­to non si giun­ge alla cau­sa. Solo a ciò arri­va, in que­sto pre­ci­so istan­te, la mia com­pren­sio­ne. Il gior­no che mi tire­rò la mana­ta in fron­te sen­za sfor­zo chissà…