Sofferenza volontaria e sofferenza inutile 2
Faccio seguito al precedente post, parlando in questo caso della pretesa di controllare.
La vita, almeno fino a prova contraria, si fa i cavoli suoi. Il controllo è una pura illusione. Pensare di controllare gli eventi che ci possono occorrere è una completa follia.
Non è possibile controllare la vita, perchè la vita non è un essere vivente con cui puoi fare due chiacchiere ogni tanto o con cui puoi discutere su quello che ti accade.
Ovvio che evitare di cacciarsi nei guai inutilmente è una pratica saggia, ma un conto è evitare di attraversare a piedi un’autostrada durante l’esodo di Ferragosto, un conto è non attraversare nessuna strada per evitare di essere investiti.
Tante volte le persone si cacciano in situazioni che poi gli pesano tremendamente sulle spalle proprio per il tentativo di evitarle.
Non ricordo in quale film ci fosse questa frase, che secondo me sintetizza perfettamente il concetto:
“E’ proprio quando cerchi di evitare il tuo destino che fai di tutto per andargli incontro”
La trovo estremamente saggia in se’. Efficace e lineare.
Questo è proprio un esempio di quello che intendo per sofferenza inutile.
Ma la sofferenza volontaria cambia effetto a seconda del motivo per cui la si cerca.
Il martirio della carne, tanto caro a molti estremisti religiosi, vedi cilicio o altro, non ha alcun senso se lo si mette in atto “perchè così ci ricordiamo che dobbiamo morire”.
Ma se chi desidera sottoporvisi lo fa con l’intento di ricordare a se’ stesso che la carne ed il dolore sono illusioni… beh, allora la faccenda cambia. Non condivido di certo la pratica in questione, ma riconosco che per qualcuno può esere un mezzo, una via per andare oltre qualcosa.
Praticare l’astensione sessuale per qualche misterioso editto religioso è una sofferenza del tutto inutile e assurda.
Ma praticare la stessa cosa perchè si desidera concentrare la propria energia, focalizzarla in qualcos’altro… beh, anche in questo caso la cosa cambia.
Quindi alla fine non è la sofferenza che conta, quanto il motivo dell’atto volontario.
La sofferenza volontaria è moneta di scambio, valuta corrente per la crescita personale, ma non intesa come negli esempi precedenti, come qualcosa che martirizza l’essere umano, quanto un atto che lo porta oltre un limite.
Nel post precedente ho suggerito l’esperimento di provare a non rimandare nulla per qualche giorno.
Provate. E’ divertente. Improvvisamente si scopre quante cose si rimandano perchè ci va di fare qualcos’altro. Gli esempi sono tanti.
“I piatti li lavo domani mattina adesso vado a letto” “Prima mangio poi mi faccio la doccia” “Mi scappa la pipì ma il programma mi interessa troppo” sono tutti esempi di qualcosa che rimandiamo in favore di qualcos’altro.
Il giochetto è davvero interessante, perchè richiede innanzitutto una buona dose di onestà con se stessi nel riconoscere cosa viene rimandato e cosa no. Per fare un esempio, nella frase “I piatti li lavo domattina perchè ora ho sonno e voglio dormire”, se laviamo i piatti stiamo rimandando il sonno, se andiamo a dormire stiamo rimandando l’atto di lavare i piatti.
Quindi occorre una notevole presenza per capire, per ogni atto, se lo stiamo facendo perchè aveva veramente la precedenza o al posto di qualcosa’altro.
Provate. E’ veramente divertente. Ma attenti a non bloccarvi come l’asino di Buridano.
E poi mi piacerebbe ricevere le vostre impressioni.
Questa rabbia, questa zona d’ombra che non voglio vedere,se ne sta là.. se ne sta là, laggiù dentro di me, ferma sul fondo, smarrita come un bambino.
(E’ proprio quando cerchi di evitare il tuo destino che fai di tutto per andargli incontro)
La sofferenza che impedisce di cicatrizzarsi.. non la chiamo inutile,egoistigamente sofferenza involontaria! : ..
Ciao Franz,
hai proposto un esperimento molto interessante… però il rischio di fare come l’asino di Buridano è davvero concreto! 🙄
Non ci vedo un gran rischio… 🙂 al massimo fai una delle due cose. :)) E stai a vedere cosa succede. :drunk:
:drunk: Non mancherò… 😀
CIAO FRANZ, COME AL SOLITO SCOVI PERLE DI UNA SAGGEZZA MOLTO PRATICA. NON POSSO CHE CONCORDARE CON QUANTO DETTO. PER QUANTO MI RIGUARDA DOVREI IMPARARE A FARE IL CONTRARIO: PROVARE A FARE DOMANI TUTTO CIO’ CHE NON MI PERMETTO DI RIMANDARE. A VOLTE DIVENTA MOLTOOOO STRESSANTE UNA VITA COSI’ ORGANIZZATA. NOTTE 🙂
E perchè no? Se non rimandi mai nulla… prova a fare il contrario… poi sappimi dire com’è andata… BUona notte a te!
BELLISSIMO.
Credo che la sofferenza volontaria sia un mezzo per trasformare la propria vita im modo “stratosferico”.
Si collega in qualche modo con l’eroicita’?
Cosa centra la sofferenza con l’eroicità ?
Un eroe non sà di esserlo,agisce per impulso,per qualcosa in cui crede fermamente,purchè non sconfini nell’esaltazione o nella follia.
Ciao Jackill.
il concetto che tu hai di eroe non coincide con il mio. Per me l’eroe è qualcuno di estremamente consapevole, capace appunto di agire per qualcosa e non demordere fino alla fine.
E molto spesso credo la follia, dove per follia intendo una sempre più rara capacità di andare al di là delle paure e della mente, sia una conditio sine qua non per l’eroismo.
Per me, eh.…
Ciao Walter. Di eroismo non so molto. Credo però che l’eroe sia strettamente collegato con il concetto di eros. Quindi il legame tra sofferenza volontaria ed eroismo c’è senz’altro, anche perchè certe volte per accettare alcune sofferenze volontariamente occorre veramente essere degli eroi. E non per un facile gioco di parole, ovviamente.
Credo che a volte lo sforzo necessario per sia davvero immenso.
Buona notte. :bye:
Ciao Franz!!! Per me la cosa è molto semplice anche se proprio semplice non è. La faccio breve: bisogna-bisognerebbe agire quando e dove c’è “attrito”, questo secondo me genera sofferenza volontaria. Cosa si intende per attrito, certo, qualche esempio: alzarsi presto quando non ne hai voglia, la pratica consapevole al digiuno, un esempio di grande attrito è ciò che spesso si genera quando devi andare al lavoro (non già direi chi prova piacere nel proprio). In definitiva andare, agire “consapevolmente” contro tutto ciò che è meccanicizzato in noi genera attrito e quindi “sofferenza volontaria”. Gli esempi possono essere talmente tanti che non basterebbero interi volumi per descriverli tutti. Spero di essere stato abbastanza chiaro perche l’argomento non si esaurisce certo in poche righe…
Un saluto a tutti, e se mi permettete “buon attrito”… 😉 :smoking:
Oh toh! C’è un volpacchiotto (nel senso di furbetto) nei dintorni!
Volpacchiotto ehh!! 😉 Insomma, un pò di “strada” l’ho fatta anch’io sai!! Scherzi a parte sono molti anni che sono su un cammino di Ricerca e credo che alcuni concetti li ho afferrati per bene, se non altro perche te li trovi a vivere e si sà non c’è migliore conoscenza che l’esperienza diretta…
Se vuoi sapere ho studiato, meditato e sperimentato a fondo gli scritti di Walter Ferrero e Andrea di Terlizzi, non è per farne un vanto ma la Loro chiarezza di pensiero, la Loro straordinaria Conoscenza sono state la mia (e non solo la mia naturalmente) àncora di salvezza… Comunque la strada è ancora lunga…
Un abbraccio e a presto, Guillermo.
:swim: :bye:
Sofferenza volontaria per conoscere se stessi e i propri limiti?
Non e’ poco…
Non vorrei che si generassero equivoci. Non sto parlando di masochismo.
Qui si parla di quella sofferenza generata dalla rinuncia alla meccanicità o quantomeno in zona.
Rinunciare a fumare, per esempio. O andare volontariamente contro una paura. Per esempio, se uno ha paura di annegare, iscrivendosi ad un corso di nuoto.
Poi c’è l’aspetto dell’accettazione volontaria della sofferenza. Allora parliamo di quella sofferenza che la vita dispensa a volte a piene mani. Si può scegliere se subirla o accettarla.
Nel secondo caso diventa sofferenza volontaria.
Certo, si può andare molto in là col sacrificio. La clausura ne è un esempio.
Non sto parlando di alzarsi al mattino e dare una craniata al muro.
Spero che così sia più chiaro.