Frustate ai venditori dell’aspiratutto. Com’è possibile?
Eppure pare proprio che sia così. La vicenda dell’azienda finita sui giornali ieri, mi ha dato davvero da pensare.
Il meccanismo era un classico: operatori al call center che devono piazzare sempre più appuntamenti e venditori che devono vendere sempre di più, con traguardi talmente inarrivabili da garantire carne sempre fresca da sfruttare.
In equilibrio tra il bastone e la carota, i dipendenti venivano gratificati con quattro stronzate di poco conto e tanta, tanta gratificazione egoica, ma quando sbagliavano… uguale ma al contrario: punizioni fisiche e umiliazioni in pubblico.
Insomma il classico quadro della persuasione da quattro soldi.
Mi pare strano che possa ancora accadere, eppure, non è così improbabile, evidentemente. Il bisogno di gratificazione tiene l’essere umano legato a filo doppio a chi gliela fornisce. E in un certo senso funziona anche per il verso opposto, con l’umiliazione, che alla fine altro non è che emozione negativa, ovvero quella cosa cui, inconsciamente, quasi tutti sono molto affezionati.
La “tossicodipendenza da emozioni negative”, come la definisce un uomo molto saggio, è forse la più radicata dipendenza al nostro interno. Probabilmente ancora di più di quella da gratificazione.
Quante volte, come faceva notare Umberto in un vecchio post, ci ritroviamo di pessimo umore ma continuiamo ad ascoltare musica che non fa altro che ingigantirlo?
Le emozioni negative sono molto dense. Molto forti. Ci fanno sentire vivi, in qualche modo perverso. Ci “sentiamo” di più. Ma non è vero. Sembra di sentirsi di più, mentre in realtà ci allontaniamo da noi stessi.
La nostra essenza è alla continua ricerca del piacere. E, anche se il dolore può sconfinare nel piacere e viceversa, questo non fa altro che impedirci di sentici veramente, dirottando la nostra attenzione non già verso il bello, il raffinato, il leggero ma verso il pesante, la sofferenza, il rozzo.
Un’opera al nero, quella delle emozioni negative, da cui stare attentamente alla larga.
La dimostrazione è proprio in episodi come quello dell’azienda di cui sopra. Chi accettava di rimanere all’interno, oltre che dal bisogno di denaro indubbiamente, lo faceva anche per la doppia e quindi quasi irrinunciabile attrazione che veniva dalla gratificazione personale da una parte e da un strano, perverso bisogno di sofferenza dall’altra.
Altrimenti… perchè sarebbero rimasti?
il piacere della sofferenza.… ottimo spunto di riflessione!! thanks
Un’altra chiave di interpretazione è quella di vedere persone ad esempio di 50 anni con un curriculum impresentabile, che sanno di non avere nessunissima possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro dopo averlo perso, che siccome devono comunque pagare la casa, le bollette, il cibo e magari si trovano anche figli o genitori anziani o altri a carico, mandano giù badilate di merda in quanto è quello che passa il convento.
Non esiste più l’amor proprio,nè l’orgoglio di definirsi Uomini
Comunque caro Veronesi toppi alla grande asserendo ciò. “Mandar giù badilate di merda”
ti posso assicurare che non ha età,ho visto tanti “giovani” che con la scusa di cui parli non pensano lontanamente a lottare per drizzare la schiena.Sono convinto che è una cosa che hai dentro e l’età non centra nulla!
:warrior: