I talenti e la vita
“C’è quello che la vita ti dona, e c’è quello che ne fai. Sono le due forze che ti rendono ciò che sei”.
Una frase meravigliosa trovata per caso nel solito film da cui mai ti aspetteresti una profondità. Eppure era lì.
Tutto ciò che abbiamo, quello con cui veniamo al mondo, intendo, i nostri talenti umani, l’intelligenza, l’acume, la sensibilità, la dolcezza, la caparbietà, la dignità… quelle qualità che a volte uno si può ritrovare addosso, non sono nostre; le prendiamo in prestito quando veniamo al mondo, e le restituiamo quando lo lasciamo.
I famosi talenti di evangelica memoria.
La nostra eredità, il tesoro di partenza. Poi sta a noi farne qualcosa. Quello che ci è stato dato è il capitale umano che portiamo in dote.
Lo coltiviamo, lo sviluppiamo. Oppure no. Quello che ne facciamo o non ne facciamo sono gli interessi sul capitale. Ma a differenza del denaro, ciò che maturiamo è… il nostro essere. Qualche piccola, infinitesimale briciola di evoluzione che, grazie ai crediti accumulati sul nostro conto corrente, possiamo ottenere.
Possiamo arrivare alla fine di questa esistenza con un conto corrente in attivo o in passivo, poco importa.
Alla fine sono proprio le nostre azioni a determinare il saldo finale. Quello che troppo spesso dimentichiamo è che il capitale iniziale, prima o poi, va restituito e se il nostro conto è in rosso, dovremo trovare un modo per ripagare il mancante.
Se invece è in nero, allora qualcosa ci sarà rimasto.
Forse iniziare a pensare in questi termini può sembrare strano, ma ti fa cambiare la prospettiva.
E di molto.
Ciao Franz
Dopo aver letto il tuo articolo, mi sono perso 3 minuti proprio per fare il bilancio che suggerisci.
Tempo fa qualcuno mi ha fatto notare che esiste una scala, una piramide di valori che comincia da quello che sei, continua con quello che sai fare, e termina con quello che possiedi. Quale sia l’apice della piramide, spero sia evidente. In un periodo storico in cui tutto ci spinge verso il basso (..quel che puoi comprare…) trovo importante ricordare che e’ invece verso l’altro che dovremmo rivolgerci.
Ho avuto solo ora l’occasione di leggere l’articolo di Valeria (che mi accingo a stampare ed appendere in ufficio..) (..a casa, in palestra, in piazza…) 😉
Quello che piu’ apprezzo, e condivido, dei due articoli e’ che non si tratta solo di una questione altruistica, ma anche (se vogliamo: “prima di tutto”) una necessita’ personale.
In epoche piu’ remote gli strumenti a disposizione erano decisamente minori e le condizioni di vita drammaticamente peggiori, ma a tutti era piu’ presente la propensione al miglioramento, la certezza dell’esistenza di una condizione piu’ elevata a cui propendere; la volonta’ di investirsi per ottenere di piu’ o spingere altri sperando per loro una realta’ migliore (che e’ quello che una volta facevano i genitori verso i figli…)
Oggi la convinzione di “essere il meglio”, trovo che sortisca risultati alquanto farseschi.
E torno ai due articoli… Come e perche’ investirsi, se “io sono gia’ il meglio, ed ho tutto quanto si possa desiderare” …??
🙁
Ciao AleX. Grazie mille!
Si, confermo. Oggi l’idea di migliorare se stessi, di propendere a qualcosa di più elevato, è davvero raramente contemplata se non per motivi del tutto materialistici.
Il fatto che il cambiamento di uno influisca su quello dei molti, anche senza passare per le vie della materia, è sconosciuto quanto alieno.
Le persone ignorano per lo più completamente la stretta interconnessione di ogni essere con tutto il resto; agire per gli altri diventa ad un certo punto una vera necessità personale, soprattutto nel momento in cui realizzi che non sei qui a pettinar le bambole! :bye: