Il vuoto e la mente

Il vuoto, per la mente, è e non può che rimanere un concetto. La mente “ordinaria” è soggetta ai vincoli del pensiero “ordinario” che, a sua volta, è soggetto a quelli di ciò che lo produce: la materia grigia.
Ma, grigia o no, la materia è sempre materia. Energia a vibrazione lenta. In più, nel mondo della materia, il vuoto è un fenomeno sconosciuto. Non è possibile produrre un vuoto assoluto, per definizione e, per buona misura, in natura il vuoto assoluto non esiste. Per quanto vuota, una certa porzione di spazio conterrà sempre qualcosa, non fosse altro che una minuscola, infinitesima particella o radiazione, nemmeno nelle sperdute distese degli spazi intergalattici è possibile sperimentare il vuoto assoluto.
Per questo un organo composto di materia difficilmente può davvero rappresentare in modo percettivo il vuoto. O meglio, può farlo ma sempre “circondato” da una forma. E, al contempo, il vuoto che la nostra mente può fornirci è sempre un vuoto non percepito. Un concetto, appunto.
Il vuoto assoluto è una condizione, uno stato di percezione. O meglio, di non percezione. Poichè dove vi è percezione non vi può essere il vuoto (la percezione è pur sempre qualcosa).
Per quella che è l’unica mia esperienza in merito, il vuoto può solo essere sperimentato come stato di coscienza (fatta salva l’eccezione creata dal cervello di alcuni esseri umani, ma questo è un altro paio di maniche).
Quando si sperimenta il vuoto? Non credo che esista una sola risposta a questa domanda. Credo che questo accada fondamentalmente in due casi: come risultato fortuito di eventi accidentali oppure come conseguenza di pratiche meditative condotte per il tempo necessario e sul percorso opportuno.
Il vuoto può essere toccato, per quanto paradossale possa sembrare questa affermazione. Poi però, al pari di tutte le esperienze realizzative, i casi sono due: o si permane nello stato oppure se ne esce. Nel qual caso, da quel momento in poi, si ha un “ricordo” che con lo stato corrispondente c’entra quanto una fotografia con l’originale. Per giunta una fotografia che tende a sbiadire nel tempo.
Confondere il ricordo dell’esperienza con l’esperienza stessa è un errore madornale, specialmente quando l’esperienza in questione esula dai parametri della percezione ordinaria. Si finisce infatti per vivere il ricordo al posto dell’esperienza, ritrovandosi così di nuovo immersi in un’illusione forse ancora peggiore di quella “normale”. Come dire che si vive in un sogno in cui si ha la perfetta illusione di essere svegli (ma in realtà il sonno è ancora più profondo del solito).
E’ possibile però ricordare il percorso che si è compiuto per arrivare all’esperienza. Allora, a volte, è possibile ripercorrerlo per tentare di ritornare allo stesso stato. Se si è abbastanza (molto) fortunati e la vita ce lo permette, potremmo davvero ritornare lì dove eravamo già stati. Uno stato di meditazione, ad esempio, può essere riprodotto, dopo che lo si è esperito un certo numero di volte, molto più velocemente che nei primi tentativi fatti. In questo, il ricordo del percorso, prodotto da un presenza lucida e consapevole, è di inestimabile valore.
Un’ultima considerazione prima di congedarmi: il vuoto di cui ho parlato finora non ha nulla a che vedere con lo stato psicologico che va sotto lo stesso nome. La differenza è la stessa che passa tra il giorno e la notte.
Nel caso dello stato psicologico infatti, il vuoto va inteso come “mancanza di“. Vale a dire come un buco lasciato da qualcosa che prima c’era (forse) e adesso non c’è più. In altre parole non si tratta di uno stato a se’ stante, ma del risultato della trasformazione di una condizione di “pieno” precedente.
La differenza è sottile ma estremamente pregnante: il vero vuoto è qualcosa che ha a che vedere con la verità, con la vita, mentre il vuoto conseguente al venir meno di un pieno è qualcosa che ha a che vedere fondamentalmente con la morte stessa.
queste tue parole mi toccano e so che mi aiuteranno nella mia meditazione…
Grazie Franz!