Leggevo ieri il solito articolo da “spazzatura scientifica” su “La Stampa”, in cui si definisce un’operazione condotta sui ratti da un manipolo di cosiddetti scienziati, come la spiegazione scientifica delle esperienze di pre-morte umane.
Perdonatemi il francesismo: la ritengo una cazzata immane!
In buona sostanza nell’articolo si descrive un esperimento in cui alcuni ratti, ammazzati per l’occasione, sono stati monitorati con i più moderni strumenti. Nel corso di tale (peraltro estremamente barbaro) esperimento gli strumenti avrebbero rilevato un’iperattività cerebrale dei soggetti per oltre 30 secondi dopo l’arresto cardiaco che, secondo gli autori dell’esperimento, spiegherebbe le esperienze di pre-morte raccontate da molti esseri umani, quelle visioni ed esperienze che alcuni riportano dopo aver subito un arresto cardiaco o un qualsiasi altro evento per cui hanno rischiato di morire “definitivamente”.
Ora, dato che mi pare ovvio che i ratti protagonisti di questa scempiaggine non hanno raccontato proprio nulla di quello che possono aver vissuto in quei 30 secondi, risulterebbe evidente a chiunque dotato di raziocinio che nessuno ci dice che un’esperienza di pre-morte sia stata effettivamente vissuta dai poveri animali.
Quand’anche questo fosse possibile, comunque, mi piacerebbe sapere come si possa sostenere che quello che avviene ad un topo ed alla sua eventuale coscienza di sé possa essere messo in relazione con quello che avviene in un essere umano, dato che le due specie mi pare abbiano caratteristiche decisamente distinte.
Dulcis in fundo, anche solo da un punto di vista di speculazione mentale, vorrei capire come sia possibile sostenere di raccogliere informazioni sulla vita procurando la morte (peraltro orribile, dato che alcuni di questi ratti sono stati soffocati).
La scienza cerca disperatamente da decenni di dare una spiegazione “scientifica” alle esperienze di pre-morte, il che non sarebbe necessariamente un male, se non fosse che lo fa con l’intento semidichiarato di provare che… si tratta di allucinazioni o immagini indotte dal cervello in condizioni critiche. Il che, in buona sostanza, implica delegittimare il fatto che si tratti invece di percezioni di qualcosa che sopravvive al corpo fisico e che si sta trasferendo “altrove”.
Lo fa con gli strumenti che ha a disposizione, ovviamente, arrivando a misurare l’attività atomica ed elettrica del cervello in ogni pur minimo particolare e supponendo che questa sia la spiegazione di quanto viene vissuto dalla persona in arresto cardiaco. Niente di meno scientifico, oltretutto secondo lo stesso metodo omonimo, in quanto in realtà non esiste la benché minima possibilità di prova definitiva che quanto vissuto dalla persona sia realmente la conseguenza di quello che viene misurato dagli strumenti, perchè quello che viene vissuto può essere conosciuto solamente tramite il racconto del diretto interessato e per giunta a posteriori, cioè non in tempo reale; è quindi impossibile metterlo in collegamento con le misure condotte al di fuori della persona, se non tramite una labile quanto del tutto non misurabile connessione temporale.
In altre parole è come avere una scatola chiusa il cui contenuto non è accessibile per postulato e sostenere di sapere cosa c’è all’interno sulla base di quello che si può rilevare sulla sua superficie.
La mappa non può in alcun modo essere il territorio, al massimo lo può rappresentare più o meno in modo particolareggiato: studiare la mappa di un deserto non ha nulla a che vedere con il vivere in esso.
Dunque perchè tanto accanimento, tanta ansia di dimostrare che ciò che si sperimenta in un’esperienza di pre-morte non ha nulla a che vedere con qualcosa di sottile o non materiale?
Io credo che la risposta sia da cercare in realtà nell’ansia materialista di questa epoca così oscura. Nello stesso istante in cui si scoprisse che esiste qualcosa al di là della portata delle possibili misurazioni strumentali, la scienza dovrebbe ammettere di avere un limite oltre il quale potrebbe esistere di tutto (e intendo letteralmente) e quindi che il suo tanto sbandierato metodo, secondo il quale se una cosa non è misurabile allora non esiste, sia in reltà quanto di più errato si possa immaginare.
Il materialismo, scientifico o no, è oggi lo strumento cognitivo di punta dell’oscurantismo spirituale in cui ci troviamo immersi. Un oscurantismo che ha i suoi motivi di esistere, che trova la sua ragion d’essere nella totale inconsapevolezza in cui noi esseri umani abbiamo finito per arrivare a vivere.
E’ qualcosa che va difeso a spada tratta dalla scienza ufficiale, altrimenti l’ordine costituito (che ad un occhio anche pur minimamente consapevole risulta peraltro null’altro che rumore disordinato) crollerebbe in un nanosecondo; dimostrare che non esiste qualcosa oltre la morte del corpo è fondamentale: convinci qualcuno che la sua vita cesserà con la morte del suo corpo e avrai ottenuto una persona il cui unico interesse è la materia. Ovvero, la perfetta vittima sacrificale per il sistema attuale. L’esistenza del mondo non materiale è il più grande pericolo per una società basata sull’avidità!
Come, esiste qualcosa che non si può comprare con il denaro? Come, esiste qualcosa là fuori che sfugge completamente ai nostri metodi di indagine?
E’ questo il problema: la scienza non fa, nella maggior parte dei casi, assolutamente nulla per cercare la verità qualunque essa sia ma persevera in tutti i modi possibili nel cercarne una che si adatti alle proprie teorie materialistiche.
Qualunque fenomeno non materiale, se abbastanza vicino vibratoriamente alla materia, ha dei risvolti materiali: sostenere che tali risvolti siano l’unica cosa che esiste è come sostenere che il mare non è reale, partendo dall’analisi dell’acqua del rubinetto.
E’ lo stesso errore di Tolomeo, quando sosteneva che il sole gira attorno alla terra sulla base di un errato sistema di riferimento. La scienza oggi segue lo stesso errore, riassumendo in sé, per buona misura, anche quello della Chiesa dei tempi giusti, che bruciava al rogo chiunque sostenesse il contrario.
Un giorno, forse, la scienza riprenderà a cercare la verità, anziché voler a tutti i costi crearne una.
Nel frattempo, fate attenzione a quello che leggete sui giornali.
Tutta quest’ansia di dimostrare che la vita dopo la morte non esiste
Leggevo ieri il solito articolo da “spazzatura scientifica” su “La Stampa”, in cui si definisce un’operazione condotta sui ratti da un manipolo di cosiddetti scienziati, come la spiegazione scientifica delle esperienze di pre-morte umane.
Perdonatemi il francesismo: la ritengo una cazzata immane!
In buona sostanza nell’articolo si descrive un esperimento in cui alcuni ratti, ammazzati per l’occasione, sono stati monitorati con i più moderni strumenti. Nel corso di tale (peraltro estremamente barbaro) esperimento gli strumenti avrebbero rilevato un’iperattività cerebrale dei soggetti per oltre 30 secondi dopo l’arresto cardiaco che, secondo gli autori dell’esperimento, spiegherebbe le esperienze di pre-morte raccontate da molti esseri umani, quelle visioni ed esperienze che alcuni riportano dopo aver subito un arresto cardiaco o un qualsiasi altro evento per cui hanno rischiato di morire “definitivamente”.
Ora, dato che mi pare ovvio che i ratti protagonisti di questa scempiaggine non hanno raccontato proprio nulla di quello che possono aver vissuto in quei 30 secondi, risulterebbe evidente a chiunque dotato di raziocinio che nessuno ci dice che un’esperienza di pre-morte sia stata effettivamente vissuta dai poveri animali.
Quand’anche questo fosse possibile, comunque, mi piacerebbe sapere come si possa sostenere che quello che avviene ad un topo ed alla sua eventuale coscienza di sé possa essere messo in relazione con quello che avviene in un essere umano, dato che le due specie mi pare abbiano caratteristiche decisamente distinte.
Dulcis in fundo, anche solo da un punto di vista di speculazione mentale, vorrei capire come sia possibile sostenere di raccogliere informazioni sulla vita procurando la morte (peraltro orribile, dato che alcuni di questi ratti sono stati soffocati).
La scienza cerca disperatamente da decenni di dare una spiegazione “scientifica” alle esperienze di pre-morte, il che non sarebbe necessariamente un male, se non fosse che lo fa con l’intento semidichiarato di provare che… si tratta di allucinazioni o immagini indotte dal cervello in condizioni critiche. Il che, in buona sostanza, implica delegittimare il fatto che si tratti invece di percezioni di qualcosa che sopravvive al corpo fisico e che si sta trasferendo “altrove”.
Lo fa con gli strumenti che ha a disposizione, ovviamente, arrivando a misurare l’attività atomica ed elettrica del cervello in ogni pur minimo particolare e supponendo che questa sia la spiegazione di quanto viene vissuto dalla persona in arresto cardiaco. Niente di meno scientifico, oltretutto secondo lo stesso metodo omonimo, in quanto in realtà non esiste la benché minima possibilità di prova definitiva che quanto vissuto dalla persona sia realmente la conseguenza di quello che viene misurato dagli strumenti, perchè quello che viene vissuto può essere conosciuto solamente tramite il racconto del diretto interessato e per giunta a posteriori, cioè non in tempo reale; è quindi impossibile metterlo in collegamento con le misure condotte al di fuori della persona, se non tramite una labile quanto del tutto non misurabile connessione temporale.
In altre parole è come avere una scatola chiusa il cui contenuto non è accessibile per postulato e sostenere di sapere cosa c’è all’interno sulla base di quello che si può rilevare sulla sua superficie.
La mappa non può in alcun modo essere il territorio, al massimo lo può rappresentare più o meno in modo particolareggiato: studiare la mappa di un deserto non ha nulla a che vedere con il vivere in esso.
Dunque perchè tanto accanimento, tanta ansia di dimostrare che ciò che si sperimenta in un’esperienza di pre-morte non ha nulla a che vedere con qualcosa di sottile o non materiale?
Io credo che la risposta sia da cercare in realtà nell’ansia materialista di questa epoca così oscura. Nello stesso istante in cui si scoprisse che esiste qualcosa al di là della portata delle possibili misurazioni strumentali, la scienza dovrebbe ammettere di avere un limite oltre il quale potrebbe esistere di tutto (e intendo letteralmente) e quindi che il suo tanto sbandierato metodo, secondo il quale se una cosa non è misurabile allora non esiste, sia in reltà quanto di più errato si possa immaginare.
Il materialismo, scientifico o no, è oggi lo strumento cognitivo di punta dell’oscurantismo spirituale in cui ci troviamo immersi. Un oscurantismo che ha i suoi motivi di esistere, che trova la sua ragion d’essere nella totale inconsapevolezza in cui noi esseri umani abbiamo finito per arrivare a vivere.
E’ qualcosa che va difeso a spada tratta dalla scienza ufficiale, altrimenti l’ordine costituito (che ad un occhio anche pur minimamente consapevole risulta peraltro null’altro che rumore disordinato) crollerebbe in un nanosecondo; dimostrare che non esiste qualcosa oltre la morte del corpo è fondamentale: convinci qualcuno che la sua vita cesserà con la morte del suo corpo e avrai ottenuto una persona il cui unico interesse è la materia. Ovvero, la perfetta vittima sacrificale per il sistema attuale. L’esistenza del mondo non materiale è il più grande pericolo per una società basata sull’avidità!
Come, esiste qualcosa che non si può comprare con il denaro? Come, esiste qualcosa là fuori che sfugge completamente ai nostri metodi di indagine?
E’ questo il problema: la scienza non fa, nella maggior parte dei casi, assolutamente nulla per cercare la verità qualunque essa sia ma persevera in tutti i modi possibili nel cercarne una che si adatti alle proprie teorie materialistiche.
Qualunque fenomeno non materiale, se abbastanza vicino vibratoriamente alla materia, ha dei risvolti materiali: sostenere che tali risvolti siano l’unica cosa che esiste è come sostenere che il mare non è reale, partendo dall’analisi dell’acqua del rubinetto.
E’ lo stesso errore di Tolomeo, quando sosteneva che il sole gira attorno alla terra sulla base di un errato sistema di riferimento. La scienza oggi segue lo stesso errore, riassumendo in sé, per buona misura, anche quello della Chiesa dei tempi giusti, che bruciava al rogo chiunque sostenesse il contrario.
Un giorno, forse, la scienza riprenderà a cercare la verità, anziché voler a tutti i costi crearne una.
Nel frattempo, fate attenzione a quello che leggete sui giornali.
Altri articoli sul genere: