Quando grazie non basta…

Nella nebbia milanese, un bimbo di cinque o sei anni e un uomo di circa sessanta passeggiano mano nella mano. Il bimbo ero io, l’uomo mio nonno. Tullio si chiamava, detto Toti. Un uomo strano, speciale anche se già malato. Ex pugile, rappresentante, commerciante, venditore di mille cose.

E c’era anche il cocker, Lucky. Una femmina vecchia e parecchio rimbambita oltre che cieca. Testarda come tutti i cani di quella razza, ad un certo punto dà uno strattone; Toti mi lascia per un attimo per riprendere il guinzaglio e io inciampo: un volo notevole e finisco con la faccia a terra. Un signore spunta dalla nebbia, ricordo la figura emergere dal vapore come il ricordo emerge dalla mia memoria mentre scrivo.

Mi acchiappa al volo lo sconosciuto, o quasi. Mi scuote il cappotto e la sciarpa, un po’ pieni di foglie secche e marce per l’umido. Mi sistema il cappello di lana sulla testa.

“Te se faà mal, nani? ” “Ti sei fatto male piccolo?” (detto in milanese).

Toti è già lì, preoccupatissimo. Al punto che ripete la stessa frase:

“Dai nani… te se faà mal?”

Due adulti di altri tempi. Io scuoto la testa. Ricordo che ero talmente infagottato di vestiti che non mi ero fatto nulla.  L’altro uomo fa per andarsene, mentre lo guardo come fanno i bambini piccoli: con un misto di timidezza e quella faccia da “chi cazzo sei tu”.

L’uomo sorride a Tullio, saluta toccandosi il cappello, ficca le mani in tasca del cappotto e inizia ad allontanarsi. Ma Tullio era un uomo speciale: approfittava di qualunque momento per spiegare a suo nipote (che poi sarei io) qualcosa della vita.

“Nani… el sciùr t’ha dumandaà se te s’è faà mal… el t’ha ciapaà su de tera… almen dighel grasie!” (“Piccolo, il signore ti ha domandato se ti sei fatto male, ti ha raccolto da terra, almeno digli grazie!”)

E il bimbo si volta nella nebbia e ringrazia. L’estraneo ha una battuta d’arresto. Si ferma al limite della visibilità, si tocca il cappello un’altra volta e poi sparisce nel nulla della sera novembrina milanese.

Toti mi fissa negli occhi, accucciato sui talloni di fronte a me. E’ serio Toti e quando parla lo fa in milanese. Ma per comodità di scrittura scrivo direttamente in italiano anche se questo toglie molta della poesia e della dolcezza che Toti usò in quel momento per fare capire una cosa così complessa ad un bimbo di pochi anni.

“Francesco… devi capire una cosa. Bisogna sempre ringraziare quando qualcuno ti fa una gentilezza. Ricordatelo quando crescerai: non perdere l’occasione di ringraziare. Ma ricordati anche che  non sempre dire grazie è sufficiente. La gratitudine, se la si prova, molte volte deve essere pratica, tangibile. Se qualcuno fa qualcosa per te, ricordati sempre di fare qualcosa per lui. Non solo a parole: ma con i fatti. La vita non è un discorso: è un fatto. Se vuoi ringraziare davvero chi fa qualcosa per te, non sempre le parole bastano. Anzi, quasi mai!”.

Come faccio a ricordare questo episodio così con precisione? Beh… non è l’unico. All’epoca… non so per quale motivo… “c’ero”. Ricordo quasi tutto, anche quello che i miei parenti (molti oggi non sono più vivi) non avrebbero voluto di certo che ricordassi.

Ma Toti… beh, lui lo ricordo così forte… così bene, che potrei dire quanti segni aveva su quel suo nasone da pugile un po’ strano, patatoso se vogliamo.

E oggi posso dire che quella lezione che mi insegnò in quel momento, la ricordo come estremamente preziosa. Quante volte capita che qualcuno faccia qualcosa per noi… e noi a malapena gli si dica grazie?

E quante volte, se quella gentilezza si ripete abbastanza a lungo, finiamo per considerarla un atto dovuto?

Se non ci viene in mente di ricambiare, se in noi non si agita qualcosa che ci spinge a capire cosa potrebbe piacere all’altro, che potremmo donargli per ricambiare… allora qualcosa in noi non sta funzionando.

Anche questo è un sintomo di quell’avidità che il mondo ormai instilla nelle persone appena può: tutto è dovuto, e noi non dobbiamo nulla.

E’ così che si perdono in sequenza il rispetto, la compassione e la capacità di dare.

Se qualcuno fa qualcosa per noi, che chieda o no qualcosa in cambio, è ininfluente; se ce lo chiede ci sta facendo un altro favore: quello di dirci cosa possiamo fare per ricambiare. Se non ce lo dice, questo non ci esonera dal dovere, prima o poi, di fare qualcosa per lui. In questo caso, semplicemente, starà a noi capire come e cosa fare.

Ma se dentro di noi non si alza il vento caldo della gratitudine… allora significa che qualcosa ha preso la strada dell’egoismo, dell’avidità.

E’ un segnale, qualcosa di importante: ignorarlo… può essere molto pericoloso.

Per noi, ma anche per il mondo in cui viviamo, in cui la gentilezza e la generosità di colui o colei a cui non abbiamo dato niente in cambio… cadono nel nulla.

E questo, davvero, è un delitto.

Cerchiamo di non rendercene colpevoli… fino a che ne abbiamo la possibilità!

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