Luci ed ombre del ritorno
Il tornare… uno di quei pensieri che ben offrono considerazioni opposte. Se guardiamo da un punto di vista di ottava bassa, il ritorno è una delle più grosse fregature che l’uomo abbia inventato.
Il concetto in sé, nell’accezione comune, ha ben poco senso. Andare ha un senso… ma “tornare”… in realtà significa andare nuovamente in un posto in cui si è già stati. Solo che c’è una significativa differenza tra “tornare” e “andare di nuovo”.
La distanza sta nel concetto emotivo, nella sensazione. Ritornare è la versione meccanica di “andare di nuovo”.
Se diciamo “Vado a Parigi per la seconda volta”, la frase echeggia in sé un’inesperienza di quella città, una esplorazione che continua dalla volta precedente, senza alcun concetto di appartenenza.
Se diciamo “Ritorno a Parigi” ecco che stiamo attribuendo a Parigi un’essenza di città domestica. Si ritorna da dove si parte e, dunque, noi proveniamo da Parigi. E scatta l’appartenenza.
Le due frasi hanno esattamente lo stesso significato letterale ma la seconda implica così tanti sottintesi emotivi che il solo pensarci fa paura.
Ma non esiste un vero “ritorno”. Si ritorna a casa, certo. Ma cosa è “casa”? Anche questo un concetto che risale ad origini animali, con la connessione al concetto di “tana” che poi è molto semplicemente dove si risiede quando non si è altrove.
Ed ecco che in questo modo arriviamo all’ottava alta del ritorno.
Si ritorna al luogo da cui si origina, in realtà. Il ritorno è la copia carbone un po’ sbiadita di un principio di appartenenza, dove il “ritorno a casa” implica il recupero di una dimensione interiore originale, in contrapposizione con una esteriore del tutto fallace, financo illusoria.
Ma noi torniamo in un luogo anche quando ci andiamo per la seconda volta, in un’ottava bassa oppure, in una più alta, ricongiungiamo il nosto presente con un passato che mai è stato tale, in quanto la distanza tra le due illusioni non è altro che una convenzione, quella necessità che ci porta a correre nella nostra mente dimentichi di un cuore perfettamente stabile.
Di certo sovviene il “losco periglio dell’andare per mari”, dove per navi erano silenti tombe e non altro come per dimenticati inchini che passavano per l’antro di un chiuso cuore mentre tutt’intorno una vita cangiante si beava del sole splendente.
Di fatto ritornare a casa può significare proprio l’uscita da un buio antro per tornare a congiungerci con i nobili in compagnia dei quali siamo nati.
E forse alla fine per colui per cui era dolce naufragare in un certo mare, ecco che può essere anche dolce il ritorno.
A patto che non sia davvero solamente l’andare via per la seconda volta.