Il sentire e il maestro interiore: trappole (e fregnacce) dei nostri giorni

Cominciamo dal sentire. Tutti usano la parola sentire, spesso riferita al fatto di provare emozioni. Ora, fermo restando che di emozioni ce ne sono di tipi molto diversi e di livelli ancora più diversi, il provare emozioni non ha nulla a che vedere con il vero sentire, ovvero quella che potremmo definire come la voce del nostro vero Essere, di quella parte più vera di noi che tanti (quantomeno a parole) dicono di cercare ma che pochi sono disposti a darsi da fare per cercare.
Come dicevo poco fa su FB in uno stimolante scambio di opinioni sul post di un amico, il vero sentire nulla ha a che vedere con l’emozione, anche con le più rarefatte. Potremmo definire il sentire come l’atto della percezione del nostro sé. Quanto sia vero il sé che percepiamo, dipende unicamente dal nostro livello di consapevolezza: maggiore il livello, più profonda (e oggettiva) la percezione del nostro sé.
Ma per la maggior parte delle persone, il sentire coincide con la percezione delle proprie emozioni, dato che, al massimo la consapevolezza non riesce ad andare oltre. Il problema è che l’emotivo non ha nulla di vero ma, dato che è comunque molto profondo, le persone tendono a prenderlo per tale.
Possiamo affermare, senza esagerare, che la maggior parte delle persone non ha la benché minima idea di cosa si intende per “sé” e di conseguenza di cosa si intenda per “sentire”, per il semplice motivo che… non ha mai incontrato nessuno dei due. E’ logico quindi che l’emotivo profondo sia scambiato per qualcosa di reale, più profondo appunto, ma che non è tale.
Nei vari commenti ho fatto il seguente esempio, che riporto anche qui perchè lo ritengo un’efficace metafora: immaginiamo una rosa in un giardino, a 100 metri dalla finestra di una cucina. Immaginiamo di aver preparato in quella cucina (senza una cappa aspirante e a finestre chiuse) un fritto misto in tre portate successive per 40 persone. Cogliere il proprio sentire dietro le emozioni è più difficile che sentire il profumo della rosa suddetta dall’interno della cucina di cui sopra.
Questo perchè dietro le emozioni ci sono gli istinti, poi c’è l’inconscio, l’animico e dopo ancora inizia finalmente il terreno del sé. Anche ammesso che si riesca ad andare oltre tutti gli strati citati, comunque, l’ultimo passo, quello di entrare in contatto con il “sé” non è affatto scontato… perchè bisogna avere degli strumenti ad hoc per fare ciò (per inciso, la meditazione è il maggiore di tali strumenti).
Quindi quello che le persone scambiano per “seguire il proprio sentire”, nel più fortunato dei casi altro non è che seguire una qualche ombra proiettata dalla mente. La mente (quella inferiore, quindi la struttura di pensiero creatasi negli anni sotto l’impulso degli stimoli esterni), proietta se stessa sulle emozioni. E quello che vediamo noi, con la nostra limitata capacità di discernimento è l’ombra creata appunto dalle emozioni. Quindi alla fine chi crede di seguire il proprio sentire, altro non fa nel 99,999999999 per cento dei casi che assecondare i propri bisogni, più o meno travestiti da aspetti piacevoli o meno, secondo la linea di minor resistenza, pur credendo di fare il contrario.
Il vero Sé, ovvero il sentire, è fuori portata dalla percezione comune, e proprio per questo, quando lo dici alle persone, queste non capiscono. All’inizio di un percorso di ricerca è per questo che tocca fidarsi di qualcuno: perchè siamo troppo immersi nella nostra bolla di illusione per poterci muovere con le nostre gambe. Solo che quella stessa tendenza, peraltro sacra, all’individualità che da poco ha fatto capolino sul pianeta (poco più di un secolo), fa sì che, presa sull’ottava bassa, le persone credano che tutto quello che gli serve sia dentro di loro, il che è vero, solo che sta dentro una parte a cui non possono accedere.
E qui veniamo alla questione del maestro interiore. Il quale, ovviamente, non esiste. O meglio esiste nel senso che, ammesso che uno possa davvero accedere al proprio sentire, a quel punto accede alla possibilità di realizzare qualcosa. Cosa sia questo qualcosa dipende da una infinità di fattori: evoluzione, karma etc. etc.
E quando ascolti te stesso (quello vero) la prima reazione è di pensare di trovarti di fronte ad un maestro (notare la minuscola). Questo avviene perché la distanza tra la nostra parte oggettiva e quella che ci portiamo appresso tutti i giorni, è talmente enorme che ci sembra di ascoltare qualcun altro, qualcuno la cui oggettività è così forte, da farlo sembrare un essere superiore.
La realtà è che un Maestro vero, qualora si abbia la fantasmagorica fortuna di incontrarlo, sta al nostro sé quanto (anzi molto di più) il nostro sé sta a noi.
Il contatto interiore con un Maestro vero è quindi qualcosa di molto diverso, che implica un livello di evoluzione interiore di cui, onestamente, non sono in grado di parlare.
Il problema è che molto spesso si pensa di ascoltare il maestro interiore quando non solo non stiamo ascoltando alcun Maestro, ma neppure il nostro vero sé: stiamo ascoltando i nostri bisogni, travestiti in modo da sembrare qualcosa di più. In aggiunta, il fatto che sia “interiore” offre l’innegabile (quanto temibile) vantaggio di poter fare qualunque cosa, sostenendo che sia stato il nostro maestro interiore a dirci che era quello che dovevamo fare, laddove un vero Maestro ci prenderebbe solennemente a calci nelle terga.
Così… giusto per dire…