Si dice spesso che il nostro pensiero è energia e dunque, come tale, può interagire con la materia. Vero ma non troppo: per fortuna infatti la materia non è così responsiva al pensiero focalizzato (men che meno a quello casuale), altrimenti tutti gli ipocondriaci sarebbero già morti di qualunque malattia purchè orribile.
Ma se il pensiero è comunque capace di influenzare la nostra realtà, quanto più è la responsabilità delle nostre parole?
In realtà le persone non ci pensano spesso, quando parlano, a quello che dicono. Men che meno all’effetto che quelle parole produrranno in chi, eventualmente, le sentirà. Non pensano all’effetto delle parole ma nemmeno a quello del suono usato per pronunciarle e, magari, quando dette di fronte alle persone a cui ci si rivolge, a quello del linguaggio del corpo corrispondente.
Eppure questa dovrebbe essere una preoccupazione davvero continua, qualcosa da studiare, da tenere continuamente presente.
Quello che diciamo, come lo diciamo, il momento in cui scegliamo di farlo… tutti fattori sui quali dovremmo soffermarci un attimo, prima di passare all’azione, ovviamente nei limiti del possibile.
Ma resta il fatto che più una persona è “influente” (come ad esempio un personaggio pubblico) e più dovrebbe prestare attenzione a quello che dice e a come lo fa.
Proprio ieri, ho registrato un video: di quelli un po’ caustici, di quelli in cui le parole si presentavano a fiotti letteralmente, tanta era la passione che le generava. Come sempre l’ho trascritto per permettere alle persone di leggerlo, qualora non abbiano voglia o possibilità di vedere il video o ascoltare il podcast.
E proprio nell’ascoltare le mie parole mi sono scoperto a mettere in pratica un vecchio insegnamento (non so di chi sia, credo del Buddha ma non ne sono sicuro) chiedendomi: “A chi servirebbero queste parole?”. Dopo un po’ di rapida analisi mi sono accorto che potevano esserci due categorie di persone che avrebbero potuto essere raggiunte: quelli a cui non sarebbe fregato nulla e che avrebbero semplicemente ritenuto le mie come parole prive di significato e quelli che invece quelli che quelle cose già le sapevano. Dunque la risposta è stata “a nessuno”.
Poi mi sono chiesto: “a chi creerebbero sofferenza inutile queste parole?”. La risposta, molto più rapida, è stata: “probabilmente a tutti coloro a cui, per un caso fortuito, queste parole potrebbero essere utili, rendendole non solo inutili ma anche dannose”.
Alla fine video, post e podcast non avevano nessun senso; avrebbero costituito unicamente una fonte di sofferenza, e sarebbero stati del tutto inutili per chiunque. Dunque: archiviati in sola scrittura (leggi: eliminati).
Per l’amor del cielo: mi rendo conto che il mio “cerchio di influenza” non è affatto vastissimo, anzi, neppure vasto. Eppure la passione questa volta mi stava facendo dimenticare i motivi per cui scrivo e pubblico.
Oggi le persone starnazzano spesso il proprio pensiero anche solo per il gusto di farlo, di sentire la propria voce o di leggere il proprio scritto. Tutto sommato è per questo che i social “prendono” tanto, perchè danno la possibilità di una gratificazione egoica a tutti anche se, come dice qualcuno, essere famosi su facebook è come essere ricchi a monopoli.
Nessun problema, non ci vedo nulla di male. Quello che vedo di male è nell’inconsapevolezza con cui le persone parlano, a volte anche di argomenti particolarmente importanti, spesso senza preparazione, basando il proprio dire sul pettegolezzo, o sui contenuti riportati proprio dai social, ormai patria delle più becere panzane, lanciate sul mercato per raccogliere qualche monetina.
Persone che non solo non sanno quello che dicono ma neppure ci pensano e manco sanno di non farlo. Persone che non sanno usare la parola se non per la grazia ricevuta di possedere un paio di corde vocali, senza un minimo senso di responsabilità e senza la benché minima capacità critica di farsi venire almeno un piccolo dubbio sull’effetto che produrranno in chi li ascolta o legge.
Ecco, per favore… la prossima volta che pubblicate qualcosa, ma anche che dite qualcosa a qualcuno… pensateci! Pensate a quello che produrrete, a come farete sentire le persone. Non potrete prenderci al 100% ma anche solo pensarci rappresenterà un bel passo avanti sul sentiero della responsabilità. E renderà questo mondo un minimo più gentile, sono pronto a scommetterci.
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La responsabilità delle nostre parole
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Si dice spesso che il nostro pensiero è energia e dunque, come tale, può interagire con la materia. Vero ma non troppo: per fortuna infatti la materia non è così responsiva al pensiero focalizzato (men che meno a quello casuale), altrimenti tutti gli ipocondriaci sarebbero già morti di qualunque malattia purchè orribile.
Ma se il pensiero è comunque capace di influenzare la nostra realtà, quanto più è la responsabilità delle nostre parole?
In realtà le persone non ci pensano spesso, quando parlano, a quello che dicono. Men che meno all’effetto che quelle parole produrranno in chi, eventualmente, le sentirà. Non pensano all’effetto delle parole ma nemmeno a quello del suono usato per pronunciarle e, magari, quando dette di fronte alle persone a cui ci si rivolge, a quello del linguaggio del corpo corrispondente.
Eppure questa dovrebbe essere una preoccupazione davvero continua, qualcosa da studiare, da tenere continuamente presente.
Quello che diciamo, come lo diciamo, il momento in cui scegliamo di farlo… tutti fattori sui quali dovremmo soffermarci un attimo, prima di passare all’azione, ovviamente nei limiti del possibile.
Ma resta il fatto che più una persona è “influente” (come ad esempio un personaggio pubblico) e più dovrebbe prestare attenzione a quello che dice e a come lo fa.
Proprio ieri, ho registrato un video: di quelli un po’ caustici, di quelli in cui le parole si presentavano a fiotti letteralmente, tanta era la passione che le generava. Come sempre l’ho trascritto per permettere alle persone di leggerlo, qualora non abbiano voglia o possibilità di vedere il video o ascoltare il podcast.
E proprio nell’ascoltare le mie parole mi sono scoperto a mettere in pratica un vecchio insegnamento (non so di chi sia, credo del Buddha ma non ne sono sicuro) chiedendomi: “A chi servirebbero queste parole?”. Dopo un po’ di rapida analisi mi sono accorto che potevano esserci due categorie di persone che avrebbero potuto essere raggiunte: quelli a cui non sarebbe fregato nulla e che avrebbero semplicemente ritenuto le mie come parole prive di significato e quelli che invece quelli che quelle cose già le sapevano. Dunque la risposta è stata “a nessuno”.
Poi mi sono chiesto: “a chi creerebbero sofferenza inutile queste parole?”. La risposta, molto più rapida, è stata: “probabilmente a tutti coloro a cui, per un caso fortuito, queste parole potrebbero essere utili, rendendole non solo inutili ma anche dannose”.
Alla fine video, post e podcast non avevano nessun senso; avrebbero costituito unicamente una fonte di sofferenza, e sarebbero stati del tutto inutili per chiunque. Dunque: archiviati in sola scrittura (leggi: eliminati).
Per l’amor del cielo: mi rendo conto che il mio “cerchio di influenza” non è affatto vastissimo, anzi, neppure vasto. Eppure la passione questa volta mi stava facendo dimenticare i motivi per cui scrivo e pubblico.
Oggi le persone starnazzano spesso il proprio pensiero anche solo per il gusto di farlo, di sentire la propria voce o di leggere il proprio scritto. Tutto sommato è per questo che i social “prendono” tanto, perchè danno la possibilità di una gratificazione egoica a tutti anche se, come dice qualcuno, essere famosi su facebook è come essere ricchi a monopoli.
Nessun problema, non ci vedo nulla di male. Quello che vedo di male è nell’inconsapevolezza con cui le persone parlano, a volte anche di argomenti particolarmente importanti, spesso senza preparazione, basando il proprio dire sul pettegolezzo, o sui contenuti riportati proprio dai social, ormai patria delle più becere panzane, lanciate sul mercato per raccogliere qualche monetina.
Persone che non solo non sanno quello che dicono ma neppure ci pensano e manco sanno di non farlo. Persone che non sanno usare la parola se non per la grazia ricevuta di possedere un paio di corde vocali, senza un minimo senso di responsabilità e senza la benché minima capacità critica di farsi venire almeno un piccolo dubbio sull’effetto che produrranno in chi li ascolta o legge.
Ecco, per favore… la prossima volta che pubblicate qualcosa, ma anche che dite qualcosa a qualcuno… pensateci! Pensate a quello che produrrete, a come farete sentire le persone. Non potrete prenderci al 100% ma anche solo pensarci rappresenterà un bel passo avanti sul sentiero della responsabilità. E renderà questo mondo un minimo più gentile, sono pronto a scommetterci.
Ci si vede in giro!
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