Facebook non è un’istituzione di beneficenza, questo credo dovrebbe essere chiaro a tutti. Quello che forse è meno chiaro è il modo in cui il social network più popolato al mondo introita denaro in cambio dei suoi servizi.
Innanzitutto sfatiamo un mito: il core business di FB non è la pubblicità (gli Ads, come ormai vengono chiamati) ma… gli utenti.
Per anni Zuck & Co. hanno fatto in modo di creare una platea di persone che guardano, leggono e ingurgitano “notizie” (le virgolette sono d’obbligo, visto il ciarpame quasi omnipervadente che si incontra), alla massima velocità resa possibile dal pollice sullo schermo del cellulare (o dal medio sulla rotella del mouse). La stessa platea di persone ogni tanto cambia lato della barricata e invece di leggere ciarpame si cimenta nello scriverlo. Tuttavia, quando le persone scrivono qualcosa (ciarpame o no) a FB non viene in tasca nulla. Lo stesso quando leggono. E dato che questi due atti sono i più compiuti sul sito, com’è possibile, dirà qualcuno, che il core business siano gli utenti?
Semplice, perchè nello scrivere, condividere, leggere fermandosi un po’ di più su un post che su un altro, mettendo “Like” a questa o quella notizia, e così via spiando, qualunque utente mostra delle preferenze. Preferenze che corrispondono a gusti, ideali, idee politiche o sociali, nonché a gruppi di persone che condividono un qualunque aspetto della vita, dalla conoscenza personale all’attrazione, al lavoro, alle tendenze di ogni tipo. Tutto quello che un utente fa sul sito di FB viene analizzato fin nella più nascosta componente. Persino i movimenti del mouse, anche quelli involontari vengono presi in considerazione.
Sul cellulare poi vengono letteralmente “sfilate” informazioni di ogni tipo, da quelle lecite (ogni quanto si accede all’app, in quale posizione geografica lo si fa…) a quelle un po’ meno tali (che musica si ascolta in quel momento, quali sono i suoni sullo sfondo oppure, come ha denunciato un utente non molto tempo fa, cosa si dice durante una chiamata vocale, checché ne dica FB). Con l’acquisizione di Whatsapp poi FB ha aggiunto tutta una serie di possibilità con l’accesso alla rubrica e all’analisi semantica delle conversazioni (che loro sostengono di non monitorare).
Tutta questa incredibile mole di dati viene raccolta in tempo reale, analizzata, elaborata e messa in connessione con la persona che agisce creandone il vero profilo: una serie di dati di grandissimo valore in un mondo in cui conoscere quello che può volere l’utente, come si comporta, quali siano le sue traenze (anche quelle di cui magari non sa neppure lui l’esistenza) è la chiave per vendere di più.
Le inserzioni su FB portano sicuramente un certo fatturato ma a giudicare da quante poche persone le condividano (e quindi in buona sostanza da quante le trovino interessanti), e da altri fattori, di certo non può essere quella la forma di guadagno che permette a FB di pagare la bolletta (mostruosamente salata) dei propri sistemi, server, personale e quant’altro.
Recentemente FB sta strizzando l’occhiolino agli inserzionisti maggiori, ovvero le testate giornalistiche ed editoriali le quali trovano su FB il bacino d’utenza perfetto per propagare i propri contenuti, mirandone la diffusione proprio grazie ai dati profilati dal social (cosa per la quale investono davvero cifre astronomiche). Quindi, se non ci fossero gli utenti “ingurgitatori di contenuti”, non ci sarebbe la platea che invece FB ha saggiamente costruito (e fidelizzato all’inverosimile) nel corso degli anni.
Gli utenti sono quindi il vero core business di Zuck & Co., e questo è chiarito. La domanda sorge spontanea: cosa se ne fa di così tanti utenti se questi ultimi disperdono la loro attenzione non solo sui contenuti di chi paga ma anche su gattini, fake, post indignati su questo e su quello e, ogni tanto, contenuti che hanno un valore ma che non generano un income diretto se non ai fini della profilazione? La risposta è semplice: niente!
E infatti la manovra, già iniziata da parecchio, comincia ad essere evidente, dato che sul feed principale (la “home” per intenderci), finiscono progressivamente post sempre più selezionati e sponsorizzati e sempre meno “normali”. Il che significa che, in buona sostanza, FB si sta trasformando (molto lentamente per non perdere il suo bacino d’utenza) in una gigantesca televendita a livello planetario. E poco importa quello di cui vanno cianciando i suoi quadri dirigenti su “qualità dell’informazione”, “controllo delle fonti” e via blaterando; quello che conta è sempre più una sola cosa: il denaro di chi paga per rendere visibili i propri contenuti, di qualunque livello siano.
Ne sanno qualcosa alcuni paesi la cui massa ha dimostrato una scarsa consapevolezza critica (parliamo a livello globale, non individuale) come Sri Lanka, Bolivia, Slovacchia, Serbia, Guatemala e Cambogia, i quali nelle ultime settimane hanno visto il feed principale popolarsi esclusivamente di contenuti sponsorizzati (la notizia è battuta in primis dalla Reuters in questo articolo) mentre i contenuti abituali sono stati dirottati in un altro feed, ovviamente molto meno visibile.
Perciò il mio suggerimento è semplice; fin che siete in tempo, prendete nota di quei siti che offrono contenuti che vi interessano e che li condividono su FB. Fintanto che trovate questi contenuti sul social il problema non si pone, ovviamente, ma quando inizierete a non vederli più, andate sul sito originale (di cui avrete salvato i link nei preferiti) e leggeteli/guardateli/ascoltateli lì. (Oppure salvatevi la “timeline” di quegli utenti i cui contenuti vi interessano davvero). La “home” di FB diventerà sempre meno utile se non a Zuck & Co.
In altre parole, prendetevi la responsabilità di cercare i contenuti che vi interessano e smettete di derogarne la scelta a chiunque altro, social compresi! E’ l’unico modo per ritornare ad usare la rete in un modo sensato.
Diversamente, starete solo subendo l’ennesima coercizione e l’ennesimo condizionamento, a vostro indiscutibile e inderogabile danno.
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Facebook diventerà un gigantesco spot pubblicitario, ma…
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Facebook non è un’istituzione di beneficenza, questo credo dovrebbe essere chiaro a tutti. Quello che forse è meno chiaro è il modo in cui il social network più popolato al mondo introita denaro in cambio dei suoi servizi.
Innanzitutto sfatiamo un mito: il core business di FB non è la pubblicità (gli Ads, come ormai vengono chiamati) ma… gli utenti.
Per anni Zuck & Co. hanno fatto in modo di creare una platea di persone che guardano, leggono e ingurgitano “notizie” (le virgolette sono d’obbligo, visto il ciarpame quasi omnipervadente che si incontra), alla massima velocità resa possibile dal pollice sullo schermo del cellulare (o dal medio sulla rotella del mouse). La stessa platea di persone ogni tanto cambia lato della barricata e invece di leggere ciarpame si cimenta nello scriverlo. Tuttavia, quando le persone scrivono qualcosa (ciarpame o no) a FB non viene in tasca nulla. Lo stesso quando leggono. E dato che questi due atti sono i più compiuti sul sito, com’è possibile, dirà qualcuno, che il core business siano gli utenti?
Semplice, perchè nello scrivere, condividere, leggere fermandosi un po’ di più su un post che su un altro, mettendo “Like” a questa o quella notizia, e così via spiando, qualunque utente mostra delle preferenze. Preferenze che corrispondono a gusti, ideali, idee politiche o sociali, nonché a gruppi di persone che condividono un qualunque aspetto della vita, dalla conoscenza personale all’attrazione, al lavoro, alle tendenze di ogni tipo. Tutto quello che un utente fa sul sito di FB viene analizzato fin nella più nascosta componente. Persino i movimenti del mouse, anche quelli involontari vengono presi in considerazione.
Sul cellulare poi vengono letteralmente “sfilate” informazioni di ogni tipo, da quelle lecite (ogni quanto si accede all’app, in quale posizione geografica lo si fa…) a quelle un po’ meno tali (che musica si ascolta in quel momento, quali sono i suoni sullo sfondo oppure, come ha denunciato un utente non molto tempo fa, cosa si dice durante una chiamata vocale, checché ne dica FB). Con l’acquisizione di Whatsapp poi FB ha aggiunto tutta una serie di possibilità con l’accesso alla rubrica e all’analisi semantica delle conversazioni (che loro sostengono di non monitorare).
Tutta questa incredibile mole di dati viene raccolta in tempo reale, analizzata, elaborata e messa in connessione con la persona che agisce creandone il vero profilo: una serie di dati di grandissimo valore in un mondo in cui conoscere quello che può volere l’utente, come si comporta, quali siano le sue traenze (anche quelle di cui magari non sa neppure lui l’esistenza) è la chiave per vendere di più.
Le inserzioni su FB portano sicuramente un certo fatturato ma a giudicare da quante poche persone le condividano (e quindi in buona sostanza da quante le trovino interessanti), e da altri fattori, di certo non può essere quella la forma di guadagno che permette a FB di pagare la bolletta (mostruosamente salata) dei propri sistemi, server, personale e quant’altro.
Recentemente FB sta strizzando l’occhiolino agli inserzionisti maggiori, ovvero le testate giornalistiche ed editoriali le quali trovano su FB il bacino d’utenza perfetto per propagare i propri contenuti, mirandone la diffusione proprio grazie ai dati profilati dal social (cosa per la quale investono davvero cifre astronomiche). Quindi, se non ci fossero gli utenti “ingurgitatori di contenuti”, non ci sarebbe la platea che invece FB ha saggiamente costruito (e fidelizzato all’inverosimile) nel corso degli anni.
Gli utenti sono quindi il vero core business di Zuck & Co., e questo è chiarito. La domanda sorge spontanea: cosa se ne fa di così tanti utenti se questi ultimi disperdono la loro attenzione non solo sui contenuti di chi paga ma anche su gattini, fake, post indignati su questo e su quello e, ogni tanto, contenuti che hanno un valore ma che non generano un income diretto se non ai fini della profilazione? La risposta è semplice: niente!
E infatti la manovra, già iniziata da parecchio, comincia ad essere evidente, dato che sul feed principale (la “home” per intenderci), finiscono progressivamente post sempre più selezionati e sponsorizzati e sempre meno “normali”. Il che significa che, in buona sostanza, FB si sta trasformando (molto lentamente per non perdere il suo bacino d’utenza) in una gigantesca televendita a livello planetario. E poco importa quello di cui vanno cianciando i suoi quadri dirigenti su “qualità dell’informazione”, “controllo delle fonti” e via blaterando; quello che conta è sempre più una sola cosa: il denaro di chi paga per rendere visibili i propri contenuti, di qualunque livello siano.
Ne sanno qualcosa alcuni paesi la cui massa ha dimostrato una scarsa consapevolezza critica (parliamo a livello globale, non individuale) come Sri Lanka, Bolivia, Slovacchia, Serbia, Guatemala e Cambogia, i quali nelle ultime settimane hanno visto il feed principale popolarsi esclusivamente di contenuti sponsorizzati (la notizia è battuta in primis dalla Reuters in questo articolo) mentre i contenuti abituali sono stati dirottati in un altro feed, ovviamente molto meno visibile.
Perciò il mio suggerimento è semplice; fin che siete in tempo, prendete nota di quei siti che offrono contenuti che vi interessano e che li condividono su FB. Fintanto che trovate questi contenuti sul social il problema non si pone, ovviamente, ma quando inizierete a non vederli più, andate sul sito originale (di cui avrete salvato i link nei preferiti) e leggeteli/guardateli/ascoltateli lì. (Oppure salvatevi la “timeline” di quegli utenti i cui contenuti vi interessano davvero). La “home” di FB diventerà sempre meno utile se non a Zuck & Co.
In altre parole, prendetevi la responsabilità di cercare i contenuti che vi interessano e smettete di derogarne la scelta a chiunque altro, social compresi! E’ l’unico modo per ritornare ad usare la rete in un modo sensato.
Diversamente, starete solo subendo l’ennesima coercizione e l’ennesimo condizionamento, a vostro indiscutibile e inderogabile danno.
Ci si vede in giro!
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