Ogni tanto qualcuno mi chiede consigli sui social, dunque eccomi qui… niente di che, non tirerò in ballo statistiche o altre noiosità varie, solo qualche consiglio derivante dal buon senso, dall’osservazione e dall’esperienza personale. Quello di cui parlerò si applica prevalentemente a Facebook, Instagram, Whatsapp ma credo possa essere facilmente adattato anche ad altri circuiti.
Prima di tutto: è tutto gratis… com’è possibile? Semplice: non lo è! Noi paghiamo a caro prezzo tutto quello che usiamo, dallo spazio alle chiamate, ai messaggi. Solo che invece che pagare in Euro, lo facciamo con le informazioni.
Partiamo dai social, Facebook in primis. FB conta più di due miliardi di utenti attivi (nel 2017, fonte Facebook, quindi molto approssimativo come numero), il che significa, anche solo immaginando un post al giorno pubblicato (non condiviso) a testa, una quantità spropositata di spazio su disco. Poi c’è la banda: due miliardi di persone che scaricano video, foto, testi… consumano una quantità di banda spaventosa. Queste per FB sono due voci di costo ovviamente tra le più importanti. Poi c’è il resto.
La domanda dovrebbe giungere spontanea: dove prende i soldi? Se pensate che li raccolga dalle inserzioni o dai contenuti sponsorizzati (che poi è lo stesso), siete fuori strada. Come dimostrato ampiamente da diversi “scandali” recenti, la realtà è un’altra, ovvero che FB non vende pubblicità ma bacini d’utenza. E lo fa grazie al fatto che riesce a costruire dei profili estremamente precisi dei propri utenti.
E come crea questi profili? Ancora più semplice: monitorando tutto, ma proprio tutto quello che l’utente fa prima, durante e dopo l’utilizzo delle sue pagine. Viene registrato il tempo di permanenza sul sito, la provenienza da quale altro sito, dove va l’utente, cosa clicca, cosa guarda, persino su quali contenuti esita quando scrolla la pagina. Con quali persone condivide i propri contenuti e di quali altri utenti condivide i post. Dove mette i “Like”, dove commenta, cosa scrive e quanto ci mette. Quanto guarda di un video, eventualmente su quali parole lo abbandona… cosa mangia, beve e dove va in vacanza, con chi e quando.
Questa è solo una parte dei dati che vengono raccolti e solo dalla applicazione per computer. Dalla parte dell’app mobile si aggiungono migliaia di informazioni: posizione, spostamenti, in quali luoghi ci si ferma, dove si va a fare spese, con chi si parla, quanto e a che ora. Tramite Whatsapp (e chi crede davvero che le informazioni non vengano raccolte è un inguaribile ingenuo, per essere gentili), con chi si chatta, quando e cosa si dice. Quali sono i contatti con cui si ha più a che vedere, dove vivono e cosa fanno, sia come lavoro che nel tempo libero. Con Instagram (che è sempre Facebook, esattamente come Whatsapp), le immagini, la forma fisica, dove si va, con chi ci si trova, a che ora e per fare cosa.
Ad esempio: un solo video di 15 secondi su Instagram in cui ballate, dice di voi, ovviamente a livello probabilistico:
Tenore sociale (vostro o delle persone che frequentate)
Età
Gusti musicali (la musica su cui ballate)
Abitudini di moda (quello che indossate),
Capacità fisica (se ballate bene oppure no) e quindi la vostra forma fisica al di là dell’aspetto, comprese eventuali patologie muscoloscheletriche a seconda di come vi muovete
Gusti in fatto di arredamento (i mobili sullo sfondo)
Amore per la pulizia (dallo stato del pavimento)
Note caratteriali (dalle espressioni del viso e dal linguaggio del corpo in movimento)
Tenore economico
Capacità contributiva
Eventuali prestiti (se avete un televisore da 6.000 euro e il resto dei mobili ha 20 anni è probabile che lo abbiate preso con un finanziamento).
La lista sarebbe ancora lunga, ma mi pare sufficiente per capire che i dati raccolti sono ben di più di quello che si crede e l’uso che ne può essere fatto va ben oltre la semplice “influenza commerciale”, come dimostra il recente scandalo “Datagate” che sta rischiando di travolgere FB.
Questi sono dati incredibilmente preziosi, molto di più di quello che le persone non capiscono, perchè ovviamente vengono utilizzati per comprendere non solo i gusti di una persona ma le sue tendenze politiche, sociali, filosofiche, le sue abitudini alimentari, salutistiche, sportive, di lettura, di film e di vita in genere. Da “comprendere” a “vendere” il passo è pressoché inesistente. E il cliente può essere chiunque, dalla concessionaria d’auto alla finanziaria che deve decidere se concedere o meno un prestito, dalla banca al datore di lavoro, per non parlare di organi governativi spesso non solo del paese a cui si appartiene o in cui si vive.
Quando di fronte a questo, le persone rispondono “ma io non ho nulla da nascondere“, mi viene da rispondere:
“No, idiota! Non hai nulla che tu POSSA nascondere o semplicemente tenere per te stesso. E’ la tua libertà che stai vendendo in cambio della gratificazione di vedere 100 persone a cui piace il tuo gatto! Almeno fatti pagare, o sommo imbecille!”
Detto questo, vediamo come FB gestisce e dirige l’aggregazione delle persone attorno ai contenuti, ovvero come crea microgruppi e piccoli ecosistemi informativi (il perchè, dato quanto detto prima, mi pare ovvio: diventa più facile raccogliere dati ancora più precisi sulle persone).
L’algoritmo secondo cui ci vengono mostrati contenuti sulla “home” innanzitutto è completamente differente che si usi il cellulare o il computer. Poi, FB fa in modo di mostrare i nostri contenuti sempre alle stesse persone o quasi, scelte tra coloro con cui interagiamo di più tramite i “Like”, le “Reazioni”, i “Commenti” e le “Condivisioni”, in ordine inverso di importanza.
Quindi un contenuto verrà mostrato a più persone in proporzione a quante volte viene, nell’ordine: condiviso, commentato, etc. etc. Ma le persone sono sempre di più quelle a diretto contatto con l’utente che ha originato il contenuto. Ecco che quindi la diffusione “virale” diventa sempre più difficile ma, soprattutto, controllata.
Il modo di controllare la diffusione di un contenuto, di fatto è molto semplice: si fa leva sulla pigrizia e sulla disattenzione. Se ci facciamo caso, le impostazioni di “privacy” di default, quindi quelle che, a meno di un intervento dell’utente, vengono applicate, sono quelle per cui il contenuto è visibile solo agli “amici” di chi lo pubblica. Ovvio quindi che, se qualcuno lo condivide, sarà comunque sempre visibile solo a quei contatti che il secondo ha in comune con il primo.
Ed ora passiamo dalle spiegazioni ai consigli:
Primo: non regaliamo la nostra vita.
Cerchiamo di pubblicare il meno possibile contenuti (di qualunque tipo) che possano parlare di noi, al di là delle informazioni più generiche. Pubblicare foto dei figli, ad esempio, è una cazzata immane: perchè stiamo diffondendo non solo informazioni su qualcuno che non si può opporre ma perchè ne stiamo mostrando non solo lo stato ma l’evoluzione nel tempo, il che rende quella persona (il figlio) soggetto ad una profilazione ancora più spietata di quella che riguarda un adulto, perchè permette di prevedere quali saranno i suoi gusti una volta divenuto tale. E, tramite il reaggruppamento in microgruppi, estremamente pilotabile sulle scelte commerciali ma anche sociali, politiche e di pensiero. Insomma: fare vedere a tutti quanto è bello il nostro pargolo che, ad esempio, impara ad andare a cavallo, lo rende un futuro schiavo più che se lo avessimo venduto, in cambio solo della dubbia soddisfazione dell’approvazione dei nostri contatti.
Allo stesso modo, qualunque contenuto pubblicato ripetutamente, ci identifica in una corrente di pensiero, in uno schema. Quindi ogni volta che pubblichiamo qualcosa dobbiamo chiederci: cosa sto rivelando al mondo di me? Il problema è che non solo è difficile da capire ma anche più complesso in quanto i nostri profili vengono elaborati sulla scorta di un fitto controllo incrociato di informazioni, proveniente non solo da FB ma, per fare solo l’esempio di casa Zuckerberg da Whatsapp, Instagram e Messenger.
Secondo: non usiamo app esterne
In modo particolare evitiamo i test psicologici, i giochini in cui qualcuno si propone di indovinare la nostra età, che aspetto avremo da vecchi etc. etc. Sono apparentemente gratuiti ma nell’istante in cui li usiamo la nostra identità viene collegata non solo al risultato (il più delle volte del tutto casuale) ma soprattutto alle risposte che abbiamo dato alle varie domande. E come ha dimostrato lo scandalo della raccolta dati operata da Cambridge Analytica tramite cui sono state in parte pilotate le scelte politiche di milioni di persone, questi sono dati che valgono più oro di quanto pesi il nostro PC!
Terzo: usciamo dal microgruppo
Quando pubblichiamo un contenuto (ma il discorso vale anche per le condivisioni di contenuti altrui), facciamo attenzione alle impostazioni di “Privacy”. Se vogliamo che un contenuto venga visto dal maggior numero possibile di persone, ricordiamoci di renderlo visibile a “Tutti” e non solo ai nostri amici. Se invece vogliamo che resti privato… non pubblichiamolo! Usiamo altri modi: telefono, Telegram, Signal…
Quarto: scegliamo il momento giusto.
Le persone accedono a FB e social vari in momenti specifici della giornata: prima di andare a lavorare, durante la pausa caffè, durante il pranzo, mentre tornano a casa, dopo cena. Quindi, se vogliamo che un contenuto sia visibile al maggior numero di persone, pubblichiamolo in uno di questi momenti. Condividere un post interessante a mezzanotte lo renderà pressoché invisibile.
Quinto: prendiamo il controllo di quello che vediamo e che pubblichiamo
UNO Facebook vuole decidere cosa farci vedere per cui, in assenza di una nostra azione, deciderà cosa, come, quando e quanto mostrarci. Per evitare (pazialmente) questo abuso, occorre andare sul profilo delle persone che ci interessano, passare il mouse sul tasto “AMICI” e poi flaggare la voce “Ricevi le notifiche”.
Per le pagine, quando mettiamo un like, andiamo poi sulla pagina, clicchiamo sulla voce “PAGINA SEGUITA” e poi sull’icona a forma di matita a fianco alla voce “NOTIFICHE” e, nel riquadro che si apre, mettiamo il segno di spunta accanto alla voce “STANDARD”. Altrimenti sarà Facebook a decidere cosa mostrarci e, per giunta, solo di quei contenuti che l’amministratore della pagina ha messo in evidenza (vale a dire pagato).
DUE
cerchiamo di uccidere la pigrizia. Se le persone che seguiamo hanno un sito o un blog, andiamo su quel sito e iscriviamoci alle loro newsletter. Altrimenti lasciamo ancora una volta ai Social il compito di dirci quello che vogliamo leggere.
TRE
aprire un piccolo sito o un piccolo blog è facilissimo. Non facciamo la cazzata di pubblicare i nostri contenuti solo su Facebook, perchè il giorno in cui decidono di chiuderci il profilo, tutto quello che abbiamo costruito, magari negli anni, sparisce per restare solo in mano a Facebook e noi non abbiamo più un posto da cui far sentire la nostra voce.
Usiamo i social per diffondere i nostri contenuti ma facciamo in modo che rimangano nostri e visibili nonostante le scellerate politiche censorie dell’iniquo staff di Facebook.
Sesto: non facciamoci tracciare
Cerchiamo di usare il cellulare per quello che è: uno strumento di comunicazione. Non teniamo (e non usiamo) per quanto possibile le versioni mobile delle varie app. Provate a disinstallare FB e Messenger dal cellulare e vedrete quanto ne siete diventati dipendenti nel tempo (parlo per esperienza). Non solo: vedrete che la batteria del cellulare dura un bel 20-30% in più, e che il vostro collo farà meno male perchè passerete meno tempo con la testa china sullo schermo.
Buttate nel cesso Instagram che altro non è se non la fiera della vanità tramite cui i sistemi di riconoscimento facciale fanno la festa e le agenzie pubblicitarie mirano le offerte commerciali sulla nostra forma fisica o sul gruppo di persone con cui ci troviamo più spesso.
Buttate parimenti nello scarico anche Whatsapp. Se dovete comunicare con le persone piuttosto usate Telegram o Signal. E se i vostri contatti si lamentano perchè non avete whatsapp, ditegli di chiamarvi, oppure di mandarvi un SMS oppure di uscire dall’abitudine e dalla pigrizia e installare una delle applicazioni alternative di cui sopra. Non sono di certo gestite da gruppi di santi, ma almeno siamo certi che non condividono le loro informazioni con il gruppo di Zuckerberg.
Settimo: confondiamo le nostre tracce
Spariamo “Like” ad minchiam (attenti però ai contenuti, che se mettete un “like” su un post il cui contenuto è passibile di denuncia diventate automaticamente perseguibili pure voi), commentiamo una cosa e poi l’esatto contrario etc. etc. E se un giorno postiamo un articolo in cui diciamo che “la trippa con i fagioli ci fa schifo”, il giorno dopo postiamo una foto di un bel piatto di trippa!
Ottavo: ricordiamoci che la rete non dimentica
Ogni volta che pubblichiamo qualcosa, anche se la cancelliamo, resta sui server! Non è vero che FB cancella le nostre informazioni se cancelliamo l’account. Anche dopo il periodo di sicurezza (credo 15 giorni), tutto quello che abbiamo scritto, pubblicato, commentato e fotografato, insieme a tutti i dati di profilazione, resta sui server a disposizione di chi acquista i vari dati.
Nel dubbio, semplicemente non pubblichiamo la foto, il testo; teniamoci il commento per noi e pure il “Like” che da solo è l’artefice del 90% delle profilazioni.
Last but not least: colleghiamo il cervello e il buon senso
Sono due strumenti fantastici, gratuiti e in dotazione (fatte salve le dovute eccezioni) fin dalla nascita. Usiamoli!
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Qualche consiglio sull’uso dei social
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Ogni tanto qualcuno mi chiede consigli sui social, dunque eccomi qui… niente di che, non tirerò in ballo statistiche o altre noiosità varie, solo qualche consiglio derivante dal buon senso, dall’osservazione e dall’esperienza personale. Quello di cui parlerò si applica prevalentemente a Facebook, Instagram, Whatsapp ma credo possa essere facilmente adattato anche ad altri circuiti.
Prima di tutto: è tutto gratis… com’è possibile? Semplice: non lo è! Noi paghiamo a caro prezzo tutto quello che usiamo, dallo spazio alle chiamate, ai messaggi. Solo che invece che pagare in Euro, lo facciamo con le informazioni.
Partiamo dai social, Facebook in primis. FB conta più di due miliardi di utenti attivi (nel 2017, fonte Facebook, quindi molto approssimativo come numero), il che significa, anche solo immaginando un post al giorno pubblicato (non condiviso) a testa, una quantità spropositata di spazio su disco. Poi c’è la banda: due miliardi di persone che scaricano video, foto, testi… consumano una quantità di banda spaventosa. Queste per FB sono due voci di costo ovviamente tra le più importanti. Poi c’è il resto.
La domanda dovrebbe giungere spontanea: dove prende i soldi? Se pensate che li raccolga dalle inserzioni o dai contenuti sponsorizzati (che poi è lo stesso), siete fuori strada. Come dimostrato ampiamente da diversi “scandali” recenti, la realtà è un’altra, ovvero che FB non vende pubblicità ma bacini d’utenza. E lo fa grazie al fatto che riesce a costruire dei profili estremamente precisi dei propri utenti.
E come crea questi profili? Ancora più semplice: monitorando tutto, ma proprio tutto quello che l’utente fa prima, durante e dopo l’utilizzo delle sue pagine. Viene registrato il tempo di permanenza sul sito, la provenienza da quale altro sito, dove va l’utente, cosa clicca, cosa guarda, persino su quali contenuti esita quando scrolla la pagina. Con quali persone condivide i propri contenuti e di quali altri utenti condivide i post. Dove mette i “Like”, dove commenta, cosa scrive e quanto ci mette. Quanto guarda di un video, eventualmente su quali parole lo abbandona… cosa mangia, beve e dove va in vacanza, con chi e quando.
Questa è solo una parte dei dati che vengono raccolti e solo dalla applicazione per computer. Dalla parte dell’app mobile si aggiungono migliaia di informazioni: posizione, spostamenti, in quali luoghi ci si ferma, dove si va a fare spese, con chi si parla, quanto e a che ora. Tramite Whatsapp (e chi crede davvero che le informazioni non vengano raccolte è un inguaribile ingenuo, per essere gentili), con chi si chatta, quando e cosa si dice. Quali sono i contatti con cui si ha più a che vedere, dove vivono e cosa fanno, sia come lavoro che nel tempo libero. Con Instagram (che è sempre Facebook, esattamente come Whatsapp), le immagini, la forma fisica, dove si va, con chi ci si trova, a che ora e per fare cosa.
Ad esempio: un solo video di 15 secondi su Instagram in cui ballate, dice di voi, ovviamente a livello probabilistico:
La lista sarebbe ancora lunga, ma mi pare sufficiente per capire che i dati raccolti sono ben di più di quello che si crede e l’uso che ne può essere fatto va ben oltre la semplice “influenza commerciale”, come dimostra il recente scandalo “Datagate” che sta rischiando di travolgere FB.
Questi sono dati incredibilmente preziosi, molto di più di quello che le persone non capiscono, perchè ovviamente vengono utilizzati per comprendere non solo i gusti di una persona ma le sue tendenze politiche, sociali, filosofiche, le sue abitudini alimentari, salutistiche, sportive, di lettura, di film e di vita in genere. Da “comprendere” a “vendere” il passo è pressoché inesistente. E il cliente può essere chiunque, dalla concessionaria d’auto alla finanziaria che deve decidere se concedere o meno un prestito, dalla banca al datore di lavoro, per non parlare di organi governativi spesso non solo del paese a cui si appartiene o in cui si vive.
Quando di fronte a questo, le persone rispondono “ma io non ho nulla da nascondere“, mi viene da rispondere:
“No, idiota! Non hai nulla che tu POSSA nascondere o semplicemente tenere per te stesso. E’ la tua libertà che stai vendendo in cambio della gratificazione di vedere 100 persone a cui piace il tuo gatto! Almeno fatti pagare, o sommo imbecille!”
Detto questo, vediamo come FB gestisce e dirige l’aggregazione delle persone attorno ai contenuti, ovvero come crea microgruppi e piccoli ecosistemi informativi (il perchè, dato quanto detto prima, mi pare ovvio: diventa più facile raccogliere dati ancora più precisi sulle persone).
L’algoritmo secondo cui ci vengono mostrati contenuti sulla “home” innanzitutto è completamente differente che si usi il cellulare o il computer. Poi, FB fa in modo di mostrare i nostri contenuti sempre alle stesse persone o quasi, scelte tra coloro con cui interagiamo di più tramite i “Like”, le “Reazioni”, i “Commenti” e le “Condivisioni”, in ordine inverso di importanza.
Quindi un contenuto verrà mostrato a più persone in proporzione a quante volte viene, nell’ordine: condiviso, commentato, etc. etc. Ma le persone sono sempre di più quelle a diretto contatto con l’utente che ha originato il contenuto. Ecco che quindi la diffusione “virale” diventa sempre più difficile ma, soprattutto, controllata.
Il modo di controllare la diffusione di un contenuto, di fatto è molto semplice: si fa leva sulla pigrizia e sulla disattenzione. Se ci facciamo caso, le impostazioni di “privacy” di default, quindi quelle che, a meno di un intervento dell’utente, vengono applicate, sono quelle per cui il contenuto è visibile solo agli “amici” di chi lo pubblica. Ovvio quindi che, se qualcuno lo condivide, sarà comunque sempre visibile solo a quei contatti che il secondo ha in comune con il primo.
Ed ora passiamo dalle spiegazioni ai consigli:
Primo: non regaliamo la nostra vita.
Cerchiamo di pubblicare il meno possibile contenuti (di qualunque tipo) che possano parlare di noi, al di là delle informazioni più generiche. Pubblicare foto dei figli, ad esempio, è una cazzata immane: perchè stiamo diffondendo non solo informazioni su qualcuno che non si può opporre ma perchè ne stiamo mostrando non solo lo stato ma l’evoluzione nel tempo, il che rende quella persona (il figlio) soggetto ad una profilazione ancora più spietata di quella che riguarda un adulto, perchè permette di prevedere quali saranno i suoi gusti una volta divenuto tale. E, tramite il reaggruppamento in microgruppi, estremamente pilotabile sulle scelte commerciali ma anche sociali, politiche e di pensiero. Insomma: fare vedere a tutti quanto è bello il nostro pargolo che, ad esempio, impara ad andare a cavallo, lo rende un futuro schiavo più che se lo avessimo venduto, in cambio solo della dubbia soddisfazione dell’approvazione dei nostri contatti.
Allo stesso modo, qualunque contenuto pubblicato ripetutamente, ci identifica in una corrente di pensiero, in uno schema. Quindi ogni volta che pubblichiamo qualcosa dobbiamo chiederci: cosa sto rivelando al mondo di me? Il problema è che non solo è difficile da capire ma anche più complesso in quanto i nostri profili vengono elaborati sulla scorta di un fitto controllo incrociato di informazioni, proveniente non solo da FB ma, per fare solo l’esempio di casa Zuckerberg da Whatsapp, Instagram e Messenger.
Secondo: non usiamo app esterne
In modo particolare evitiamo i test psicologici, i giochini in cui qualcuno si propone di indovinare la nostra età, che aspetto avremo da vecchi etc. etc. Sono apparentemente gratuiti ma nell’istante in cui li usiamo la nostra identità viene collegata non solo al risultato (il più delle volte del tutto casuale) ma soprattutto alle risposte che abbiamo dato alle varie domande. E come ha dimostrato lo scandalo della raccolta dati operata da Cambridge Analytica tramite cui sono state in parte pilotate le scelte politiche di milioni di persone, questi sono dati che valgono più oro di quanto pesi il nostro PC!
Terzo: usciamo dal microgruppo
Quando pubblichiamo un contenuto (ma il discorso vale anche per le condivisioni di contenuti altrui), facciamo attenzione alle impostazioni di “Privacy”. Se vogliamo che un contenuto venga visto dal maggior numero possibile di persone, ricordiamoci di renderlo visibile a “Tutti” e non solo ai nostri amici. Se invece vogliamo che resti privato… non pubblichiamolo! Usiamo altri modi: telefono, Telegram, Signal…
Quarto: scegliamo il momento giusto.
Le persone accedono a FB e social vari in momenti specifici della giornata: prima di andare a lavorare, durante la pausa caffè, durante il pranzo, mentre tornano a casa, dopo cena. Quindi, se vogliamo che un contenuto sia visibile al maggior numero di persone, pubblichiamolo in uno di questi momenti. Condividere un post interessante a mezzanotte lo renderà pressoché invisibile.
Quinto: prendiamo il controllo di quello che vediamo e che pubblichiamo
UNO
Facebook vuole decidere cosa farci vedere per cui, in assenza di una nostra azione, deciderà cosa, come, quando e quanto mostrarci. Per evitare (pazialmente) questo abuso, occorre andare sul profilo delle persone che ci interessano, passare il mouse sul tasto “AMICI” e poi flaggare la voce “Ricevi le notifiche”.
Per le pagine, quando mettiamo un like, andiamo poi sulla pagina, clicchiamo sulla voce “PAGINA SEGUITA” e poi sull’icona a forma di matita a fianco alla voce “NOTIFICHE” e, nel riquadro che si apre, mettiamo il segno di spunta accanto alla voce “STANDARD”. Altrimenti sarà Facebook a decidere cosa mostrarci e, per giunta, solo di quei contenuti che l’amministratore della pagina ha messo in evidenza (vale a dire pagato).
DUE
cerchiamo di uccidere la pigrizia. Se le persone che seguiamo hanno un sito o un blog, andiamo su quel sito e iscriviamoci alle loro newsletter. Altrimenti lasciamo ancora una volta ai Social il compito di dirci quello che vogliamo leggere.
TRE
aprire un piccolo sito o un piccolo blog è facilissimo. Non facciamo la cazzata di pubblicare i nostri contenuti solo su Facebook, perchè il giorno in cui decidono di chiuderci il profilo, tutto quello che abbiamo costruito, magari negli anni, sparisce per restare solo in mano a Facebook e noi non abbiamo più un posto da cui far sentire la nostra voce.
Usiamo i social per diffondere i nostri contenuti ma facciamo in modo che rimangano nostri e visibili nonostante le scellerate politiche censorie dell’iniquo staff di Facebook.
Sesto: non facciamoci tracciare
Cerchiamo di usare il cellulare per quello che è: uno strumento di comunicazione. Non teniamo (e non usiamo) per quanto possibile le versioni mobile delle varie app. Provate a disinstallare FB e Messenger dal cellulare e vedrete quanto ne siete diventati dipendenti nel tempo (parlo per esperienza). Non solo: vedrete che la batteria del cellulare dura un bel 20-30% in più, e che il vostro collo farà meno male perchè passerete meno tempo con la testa china sullo schermo.
Buttate nel cesso Instagram che altro non è se non la fiera della vanità tramite cui i sistemi di riconoscimento facciale fanno la festa e le agenzie pubblicitarie mirano le offerte commerciali sulla nostra forma fisica o sul gruppo di persone con cui ci troviamo più spesso.
Buttate parimenti nello scarico anche Whatsapp. Se dovete comunicare con le persone piuttosto usate Telegram o Signal. E se i vostri contatti si lamentano perchè non avete whatsapp, ditegli di chiamarvi, oppure di mandarvi un SMS oppure di uscire dall’abitudine e dalla pigrizia e installare una delle applicazioni alternative di cui sopra. Non sono di certo gestite da gruppi di santi, ma almeno siamo certi che non condividono le loro informazioni con il gruppo di Zuckerberg.
Settimo: confondiamo le nostre tracce
Spariamo “Like” ad minchiam (attenti però ai contenuti, che se mettete un “like” su un post il cui contenuto è passibile di denuncia diventate automaticamente perseguibili pure voi), commentiamo una cosa e poi l’esatto contrario etc. etc. E se un giorno postiamo un articolo in cui diciamo che “la trippa con i fagioli ci fa schifo”, il giorno dopo postiamo una foto di un bel piatto di trippa!
Ottavo: ricordiamoci che la rete non dimentica
Ogni volta che pubblichiamo qualcosa, anche se la cancelliamo, resta sui server! Non è vero che FB cancella le nostre informazioni se cancelliamo l’account. Anche dopo il periodo di sicurezza (credo 15 giorni), tutto quello che abbiamo scritto, pubblicato, commentato e fotografato, insieme a tutti i dati di profilazione, resta sui server a disposizione di chi acquista i vari dati.
Nel dubbio, semplicemente non pubblichiamo la foto, il testo; teniamoci il commento per noi e pure il “Like” che da solo è l’artefice del 90% delle profilazioni.
Last but not least: colleghiamo il cervello e il buon senso
Sono due strumenti fantastici, gratuiti e in dotazione (fatte salve le dovute eccezioni) fin dalla nascita. Usiamoli!
Ci si vede in giro!
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