Sul dare

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Dare… come dice R. Bach: “Condividere ciò che abbiamo di più bello con chi lo desidera”.

Non c’è nulla di più da fare, nulla che valga davvero la pena più del condividere. Certo, per dare bisogna avere. Ma non è neppure così detto, e il processo non è davvero così difficile.

Iniziando con chi ci è vicino e con ciò che possediamo di materiale. Non serve esagerare: un buon piatto, cucinato per chi amiamo, un aiuto in una cosa che sappiamo che all’altro/a costa fare, per iniziare, ad esempio.

Poi credo il resto venga da sé: innanzitutto comprendere cosa abbiamo, quale siano le cose che conteniamo e che più ci portano piacere. Condividiamole con gentilezza ed attenzione, soprattutto perchè non è detto che se una cosa da piacere a noi, ne dia anche a tutti gli altri, ovviamente. Ma soprattutto condividiamo. Se “diamo” e basta, significa che prima o poi ci aspetteremo qualcosa in cambio. E non perchè sia una cosa egoista ma perchè “do ut des” (dare per avere) è una sorta di legge difficile da superare.

Ma se non “diamo” quanto “condividiamo” ecco che nulla è attesa in ritorno o, quanto meno, assai meno. Condividere ha una sua etimologia particolare, che significa alla fine “possedere insieme”. Se qualcosa è mio e lo condivido con te, diventa anche tuo. Anche, non “solo”. Resta mio ma diventa tuo, ovvero nostro.

Ecco perchè condividere non implica il germe dell’aspettativa, se non nel momento in cui pretendiamo di condividere qualcosa con qualcuno che non lo desidera, caso in cui l’aspettativa insorge nel pretendere che lui o lei accettino il nostro “dare”.

Occorre quindi la capacità di condividere in modo impersonale, condividere intorno a noi, senza stare a sindacare su cui accetta e chi no. Chi accetta condivide, chi non lo fa… non lo fa. Nessuna macchia, come dice l’I-Ching tanto spesso.

E poi… quando scegliamo la condivisione, significa che sappiamo cosa possiamo condividere, siamo in qualche modo costretti a comprendere cosa al nostro interno (da qui in poi parliamo di ciò che abbiamo dentro, non materiale quindi), ci piaccia al punto da volerlo condividere. Un insegnamento, una comprensione, una tecnica, un sentimento… un sacco di cose davvero.

Condividere significa quindi prima acquisire e poi “dare”; due cose che possono tranquillamente essere compiute nello stesso istante.

Dunque, se “dare” nel senso di condividere diventa qualcosa che in noi assume una certa priorità, ecco che si può espandere il concetto e quindi arrivare a capire cosa manca intorno a noi, per poi procurarcelo e condividerlo. Ed ecco che inizia il miracolo, per cui al nostro interno sentiamo la spinta a crescere, a cercare, per dare… a chi? A chi desidera ricevere. Ma non basta, perchè ogni azione necessita della sua energia, del suo propellente o carburante, per così dire.

Nel condividere, il carburante è sempre l’amore. Difficile condividere qualcosa con qualcuno che non amiamo. Ecco perchè, come dicevo prima, all’inizio è meglio partire con chi amiamo. Poi, questo amore potrà diventare qualcos’altro, qualcosa di meno personale. E allora la nostra condivisione si allargherà attorno a noi, sempre propulsa dall’amore ma pian piano un amore che potrà diventare sempre meno personale e sempre più generale.

Oppure potremmo imparare ad amare in modo diverso, senza univocità, innamorandoci sempre di più di chi incontriamo, così, come faremmo con un amante per cui scatti un colpo di fulmine. Ci sono mille modi di amare ma c’è sempre una sola forza chiamata Amore. Bisogna imparare a districarsi da quei preconcetti in mezzo a cui siamo cresciuti e che ci costringono in versioni estremamente ridotte e spesso assai meschine dell’amore.

E dunque, guarda un po’ dove ci può portare un semplice atto di condivisione: a cercare al nostro interno, ad amare, a crescere come esseri umani, a dare cibo all’anima nostra e degli altri.

Ma non è finita perchè… può accadere qualcosa di straordinario: può succedere che, nell’istante in cui ci accorgiamo che qualcosa che vorremmo dare non ce l’abbiamo ancora, ecco che da qualche parte scaturisce un miracolo e quella cosa in qualche modo finisce dentro di noi, così, come per magia.

Possiamo volere per noi, su questo non ci piove e non c’è (neppure qui) alcuna macchia, a ben guardare da un punto di vista appena un po’ meno moralista, ma possiamo anche volere per altri e allora il desiderio attrae e possiamo arrivare, a lungo andare, a scoprire che non siamo noi a dare e neppure a condividere, che non esistono “altri” ma solo “noi” e che ciò che condividiamo non diventa più piccolo, non ce n’è di meno per nessuno, dopo.

Spezzare il pane, forse, da questo punto di vista, diventa un atto decisamente magico da collegare con la moltiplicazione dello stesso: condividiamo il nostro pane ed esso si moltiplicherà sempre, come per magia, e sarà sempre sufficiente, fresco e croccante per tutti.

Teniamolo per noi e finirà per ammuffire e se vorremo ancora mangiarlo finiremo semplicemente intossicati.

Ci si vede in giro!

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