“Cuore” e “Mente”: almeno due significati per ogni parola

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La nostra giornata è sempre riempita da parole, siano esse dette o semplicemente pensate, volontariamente o no. Di fatto anche la nostra notte è piena di parole, anche se ce ne accorgiamo di meno.

Eppure spesso, come nel caso delle parole “Cuore” e “Mente”, i significati più pregnanti ci sfuggono, non vengono proprio presi in considerazione. Come scrissi in un altro post, tempo fa, la parola Cuore viene usata sempre e solo in un modo: quello emotivo, che ci ricorda un significato per lo più morale, ovvero quasi un sinonimo di compassione, nel senso più semplice del termine ma, ancora di più, nel senso di “generosità”. Ecco che una persona di cuore è una persona generosa, che dona, magari anche per compassione. Una persona che si sacrifica per “gli altri” (e qui si potrebbe parlare di cosa davvero sia un “Sacrificio”, e di cosa davvero sia la Compassione).

Ma esiste un altro significato, quello del cuore inteso come “nucleo” della persona. Ecco che allora una persona di cuore, sotto il punto di vista di un’ottava più elevata, diventa qualcuno in possesso di un nucleo, di quell’ineffabile centralità che distingue l'”homo sapiens” dall’assai più raro “homo autenticus”. Un uomo in possesso di quel “centro di gravità permanente” di cui cantava Battiato, e senza cui l'”homo sapiens” non è altro che polvere mossa dal vento come si suol dire, reattore anzi che attore, sequenza di meccaniche risposte.

Per il termine “mente” vale lo stesso discorso. Per l'”homo sapiens” la mente, intesa come il produttore dei suoi pensieri, è il non plus ultra dell’evoluzione. Da un’ottava un po’ più elevata, è semplicemente uno strumento mediante cui si può misurare un fenomeno; uno strumento, non l’unico ma uno dei tanti.

Nulla a che vedere quindi con colui che la usa, cosa che l’homo autenticus conosce perfettamente, mentre l’homo sapiens ignora completamente.

Per chi è in possesso solo del pensiero meccanico è impossibile concepire un’individualità senza la capacità di verbalizzare o di creare pensieri. Per chi è in possesso di qualcosa di più, non solo è possibile concepirla ma una tale individualità è lo stato abituale di coscienza.

Ciò che noi chiamiamo “io” non ha nulla a che vedere con l’indivdualità. Si può tranquillamente esistere come individui senza “io” (e, anzi, posso assicurarvi che è una condizione di ampiezza percettiva incredibilmente più dilatata ed efficiente).

Nell’individualità dell’essere “e basta”, la normale interferenza della mente “ordinaria” viene a cessare completamente, lasciandoci in un perfetto, centrale, individuale silenzio, da cui la mente risulta per quello che è: uno strumento come un altro, utilizzabile quando serve e deponibile quando inutile, esattamente come una forchetta a tavola: possiamo mangiare con essa oppure con le mani ma se la usiamo, alla fine del pasto resta nel piatto insieme agli avanzi che non ci sono utili.

Così come quelle che chiamiamo emozioni e che nulla hanno a che vedere con quelle che l'”homo autenticus” chiama così.

Pensare che questo mondo sia tutto ciò che esiste semplicemente perchè non siamo in grado di concepire altro è il motivo per cui l’ignoranza umana diventa sempre più profonda.

I piani di un’emotivo superiore sono tanto rarefatti al confronto di ciò che gli esseri umani chiamano “emotivo”, quanto un quadro di Rembrandt al confronto dello scarabocchio di un bimbo dell’asilo.

I piani mentali sono tanto raffinati al confronto di ciò che gli esseri umani chiamano “pensiero”, quanto la più elevata matematica quantistica al confronto delle quattro operazioni fondamentali.

Ci si può arrivare, questa è l’evoluzione, ma per farlo occorre cessare di credere in ciò che abbiamo sempre creduto ad un livello di profondità estrema. Ma, dato che è un percorso alquanto lungo, iniziamo almeno a cercare di comprendere le parole che usiamo.

Ci si vede in giro!

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