Sanremo, specchio di una società

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Il Festi­val di San­re­mo, det­to anche Festi­val del­la Can­zo­ne Ita­lia­na, giusto?

Sba­glia­to! Mai come in que­sta edi­zio­ne (ma è una ten­den­za ormai in cre­scen­do da anni), l’u­ni­ca cosa di cui i media par­la­no (e di con­se­guen­za la mas­sa par­la) sono… i “look”! Pochis­si­mi accen­ni sul­le testa­te che entri­no nel meri­to del­le can­zo­ni por­ta­te dai vari arti­sti; in com­pen­so deci­ne di arti­co­li, post, com­men­ti e discus­sio­ni in quel­le rac­col­te di igno­ran­za uma­na in cui si sono tra­sfor­ma­ti i social, su come fos­se­ro vesti­ti (o sve­sti­ti) tizio, caio o sem­pro­nio; su come fos­se­ro pro­fon­di ed intel­li­gen­ti i vari inter­ven­ti e mono­lo­ghi, quan­do per lo più era­no belan­ti rac­col­te di qua­lun­qui­sti, ma comun­que popo­la­ri, luo­ghi comuni.

Rari i com­men­ti su voce, tec­ni­ca cano­ra, testi, musi­ca, arran­gia­men­ti; rarissimi!

Per l’a­mor del cie­lo… in mol­ti casi un atteg­gia­men­to più che giu­sti­fi­ca­to, data la pover­tà arti­sti­ca gene­ra­liz­za­ta; mol­ti bra­ni sono strut­tu­ral­men­te ugua­li, con testi spiac­ci­ca­ti a for­za in stro­fe dal­la metri­ca impro­po­ni­bi­le, come i giap­po­ne­si in metro all’o­ra di punta.

Voci che, più che can­ta­re, par­la­no per tre quar­ti del bra­no e quan­do final­men­te si ricor­da­no che se can­ti devi can­ta­re, non par­la­re, pro­du­co­no risul­ta­ti a dire poco da principianti.

Ma anche con que­ste pre­mes­se, che le per­so­ne inve­ce che com­men­ta­re il testo di una can­zo­ne, la voce di chi la can­ta, la musi­ca­li­tà con cui vie­ne ese­gui­ta, le solu­zio­ni armo­ni­che con­te­nu­te, gli arran­gia­men­ti del­le basi, sia­no atten­te uni­ca­men­te a quan­to l’ar­ti­sta abbia abi­ti cor­ti o lun­ghi, o quan­to alti fos­se­ro i tac­chi con cui si è presentata/o e via discor­ren­do, è lo spec­chio pre­ci­so del­la con­di­zio­ne in cui ver­sa la cul­tu­ra ita­lia­na, e la con­se­guen­te capa­ci­tà di occu­par­si di argo­men­ti per­ti­nen­ti ai fatti.

Anna Oxa, per fare un esem­pio fra tut­ti i pos­si­bi­li, ha can­ta­to una can­zo­ne mera­vi­glio­sa, con un testo a dire poco illu­mi­na­to. Lo ha fat­to in un modo che nes­sun altro, per quan­to ci pro­vi, potrà mai egua­glia­re, per­chè la voce di Anna è uni­ca! Per non par­la­re del­la pas­sio­ne che ci ha mes­so, di quel­le “svi­sa­te” di gola in cui imi­ta le sono­ri­tà di un Duduk, di quel­l’ac­cen­no di gro­wl e di note “spor­ca­te” che deci­de quan­do e come inse­ri­re e dosa­re, spe­gnen­do­le all’i­stan­te per pas­sa­re a cri­stal­lo puro e graffiante.

Di cosa par­la la mas­sa? Di quan­to ave­va i capel­li spet­ti­na­ti, di quan­to si sia rifat­ta, di quan­to sia ingras­sa­ta! Puro “body sha­ming” dei peg­gio­ri, pura discri­mi­na­zio­ne in una socie­tà total­men­te ipo­cri­ta che la discri­mi­na­zio­ne ormai ce l’ha nel DNA.

D’al­tron­de è ovvio: i gior­na­li rac­con­ta­no qua­si uni­ca­men­te del­l’a­spet­to fisi­co e del­l’ab­bi­glia­men­to dei can­tan­ti (peral­tro nel­la mag­gior par­te dei casi di dub­bio gusto), o di quel­lo che acca­de dal pun­to di vista “social” e le per­so­ne fan­no altret­tan­to, sen­za nep­pu­re più ren­der­se­ne con­to. Cer­to che per par­la­re di musi­ca in un cer­to modo un mini­mo di cul­tu­ra sul­l’ar­go­men­to ce lo devi ave­re. Ma anche se non hai la mini­ma idea di cosa sia una sca­la mag­gio­re, o di quan­to sia dif­fi­ci­le pas­sa­re da una voce di pet­to ad una di testa e vice­ver­sa quat­tro vol­te in 2 secon­di, comun­que il buon sen­so, anche quel­lo musi­ca­le, ce lo dovre­sti ave­re, per­chè per apprez­za­re un bra­no non ser­ve esse­re dei diret­to­ri d’or­che­stra, ser­ve usa­re il Cuo­re, per­chè è da lì che nasce la musi­ca ed è sem­pre da lì che la devi ascol­ta­re in pri­mis. Poi, ovvia­men­te, puoi (anzi: devi) usa­re il cer­vel­lo per capi­re le sfu­ma­tu­re, per poter­le evi­den­zia­re. Ma se usi il Cuo­re, il resto è un surplus.

San­re­mo, per quan­to sia ormai una Ker­mes­se uni­ca­men­te dal pun­to di vista del cat­ti­vo gusto, del­la super­fi­cia­li­tà e del­la bana­li­tà più tota­li, ha dav­ve­ro il pre­gio di mostra­re qua­le sia la con­di­zio­ne del pen­sie­ro mas­si­vo italiano.

Le ecce­zio­ni ci sono per l’a­mor del cie­lo e, for­tu­na­ta­men­te, non sono nep­pu­re pochis­si­me. Pur­trop­po però, come dice il pro­ver­bio, non pos­so­no fare altro che con­fer­ma­re la regola.

Cer­ca­te di esse­re del­le ecce­zio­ni, vi prego!

Ci si vede in giro!

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