Premessa obbligatoria: non mi è possibile esprimere quello che sento e comprendo in termini discernibili da tutti. Ergo vogliate scusarmi se non riuscirò a farmi capire!
Ci fu un tempo in cui l’emotivo era una cosa. Quei tempi sono trascorsi; per i più ma non per tutti.
Per comprendere quello di cui parlo occorre osservare il proprio emotivo ordinario dal punto di vista dell’emotivo superiore o, ancora megio, da quello mentale.
Mentre sto scrivendo questo post, ho nelle orecchie la sinfonia n° 8 di Anton Bruckner. Ci crediate o no, sta suonando proprio in questo momento: per la precisione il primo movimento, allegro moderato (e meno male che era moderato, mi verrebbe da dire).
Mi è impossibile descrivere quello che colgo, perchè le parole non possono, semplicemente, farlo. Ma quello che posso osservare è che ogni singola nota, ogni singola frase, esprimono un concetto, una correlazione profonda tra musica ed emozione nel pensiero di Bruckner che, evidentemente, non era quello ordinario… oppure forse lo era ma guidato da qualcosa che, dentro all’uomo, attingeva da qualche altra parte.
Vorrei che foste dentro di me mentre scrivo queste parole perchè quello a cui accedo in questo stesso istante sarebbe sufficiente a rendere questo pianeta un Paradiso d’amore, a cancellare qualunque ignoranza, qualunque bassezza che invece oggi sono tutto quello che c’è.
Ma il succo in realtà è un altro… quello che scriveva Bruckner alla fine dell’800 e con lui altri come lui… non c’è più. Il suo emotivo era infinitamente più espanso, incredibilmente più connesso a parametri di maggiore universalità di quanto chiunque, oggi, possa pensare di poter mai accedere.
E non solo il suo, ma l’intero campo emotivo umano era… altro. Per citare Guerre Stellari (con una piccola parafrasi), “…per tempi più civilizzati”.
Mi è evidente ora quanto sia in atto il declino di ogni campo possibile dell’umano paradigma cognitivo, di quanto la razza umana stia scivolando sempre più verso il basso verso la non-differenziazione del pensiero complesso. Pensieri complessi implicano un emotivo raffinato. Diversamente, il pensiero diventa rozzo, come un codice a barre le cui linee diventino progressivamente più larghe e rade e che, per questo, trasportano sempre meno informazioni.
L’informazione che raggiunge le nostre differenti orecchie, i nostri differenti strati cognitivi è sempre più rozza, a grani sempre più grandi. Per questo il nostro pensiero segue la stessa via.
Ma vi è un “semplice” modo per ovviare a tutto questo. Ascoltare. Ascoltare con il cuore, cercando di penetrare all’interno del nostro stesso emotivo, in modo da trascenderlo e vederlo nel suo intero spazio, da uno spazio superiore. Non è difficile, davvero. Solo ora me ne rendo conto e con questo intendo davvero che rendo ragione a me stesso di quanto dico.
Prendete della musica sinfonica. Mettetevi delle cuffie e ascoltate. L’emotivo che ha generato quella musica è lontanissimo da quello che oggi consideriamo tale. Eppure è lì, ancora a portata di mano. La differenza è LA VIA. E’ come unire i puntini ma al contrario: unire lo spazio tra i puntini!
Immergetevi nel suono di una viola, di un violoncello, di un timpano o di un’arpa. Lasciate che vi porti quello che vuole dire. Qualcosa di non pensato: sentito! E poi sentite la differenza con quello che oggi sono le emozioni: un universo di distanza.
L’emotivo non è il punto di arrivo, per Dio! Ma può essere il mezzo attraverso cui la trascendenza porta fuori dalla sfera dell’ordinario cògnito. Non solo può: deve!
Usate l’emotivo come una scala per uscire da voi stessi: e quando sarete usciti, continuate a vedere, senza sosta ne pietà alcuna.
Sarà solo gioia pura.
Ricordatevi di essere eccezionali!
Ci si vede in giro!