Ricerca della Verità e meditazione 9 – Quel che resta del giorno

E’ un vec­chio film, con Anto­ny Hop­kins, ma ren­de l’idea.

Quel che resta di una gior­na­ta, tol­ti i momen­ti di buio, di cui non ricor­dia­mo qua­si nul­la, è vera­men­te poca cosa. Una man­cia­ta di minu­ti, for­se. In mol­ti casi pochi secondi.

Anna (sem­pre gen­ti­lis­si­ma), mi segna­la que­sto arti­co­lo, pub­bli­ca­to sul sito del­l’or­di­ne dei medi­ci di Paler­mo, in cui si par­la del mec­ca­ni­smo di fis­sag­gio dei ricor­di a bre­ve ter­mi­ne, ovvia­men­te dal solo pun­to di vista fisiologico.

I neu­ro­ni di cui si par­la nel­lo scor­so post, sono costan­te­men­te in fer­men­to, fis­san­do tra­mi­te den­dri­ti nuo­ve con­nes­sio­ni con altri neu­ro­ni. In que­sto modo, alte­ran­do la map­pa­tu­ra del segna­le elet­tro­chi­mi­co all’in­ter­no del cer­vel­lo, i ricor­di pos­so­no esse­re fis­sa­ti, oppu­re sva­ni­re, allor­quan­do un den­dri­ta deca­de, e il segna­le non può più segui­re quel deter­mi­na­to per­cor­so, asso­cia­to a quel deter­mi­na­to ricordo.

Que­sta però è la par­te fisi­ca. Resta ovvia­men­te da chie­der­si “per­chè” un mec­ca­ni­smo fisio­lo­gi­co inter­vie­ne per annul­la­re un ricor­do piut­to­sto che un altro.

L’at­ten­zio­ne, che potrem­mo anche defi­ni­re con­sa­pe­vo­lez­za, è quel­la cosa che fa la dif­fe­ren­za. Se il ricor­do di un even­to su cui ci sia­mo distrat­ti è desti­na­to a sva­ni­re, la pro­va è evi­den­te; il cer­vel­lo va al rispar­mio ed eli­mi­na il “file” inu­ti­le. La nostra espe­rien­za va così per­sa. Fini­ta. Kaputt.

Il fat­to è che le per­so­ne non si avve­do­no di que­sto, per­chè comun­que qual­co­sa bene o male ricor­da­no del­la loro gior­na­ta. Ma non fan­no mai caso a “quan­to” effet­ti­va­men­te ricor­da­no e con qua­le qualità.

Ecco per­chè defi­ni­sco la memo­ria come una sfi­ga, per­chè in con­di­zio­ni ordi­na­rie da la fal­sa sen­sa­zio­ne di una con­ti­nui­tà flui­da di pre­sen­za nel­la vita, che inve­ce, sal­vo casi par­ti­co­la­ri, è asso­lu­ta­men­te fram­men­ta­ria e dipen­den­te da even­ti e sti­mo­li esterni.

Quan­do lo sti­mo­lo è suf­fi­cien­te­men­te for­te da “pas­sa­re” la nostra bar­rie­ra di disat­ten­zio­ne (o incon­sa­pe­vo­lez­za), per un atti­mo venia­mo richia­ma­ti al pre­sen­te. In quel sin­go­lo istan­te un ricor­do divie­ne rela­ti­va­men­te permanente.

Tut­to il resto sva­ni­sce dol­ce­men­te nel­la nebbia.

Quel­lo che rima­ne è, appun­to, quel che resta del gior­no: media­men­te poco o nulla.

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