Ricerca della verità e meditazione 20 – Lo spazio di esperienza

Se qualcuno ha provato a mettere in atto il giochetto suggerito negli scorsi post di questa serie, si sarà accorto probabilmente che qualcosa succede. Già… ma cosa?

Quando ho iniziato io, qualche annetto fa ormai, una delle prime cose di cui mi sono accorto è stata… che c’erano molte più cose di cui accorgersi!

Viene da ridere detto così, ma la verità è proprio questa. Quando aumenta la percentuale di tempo passata in uno stato di veglia, aumenta ovviamente anche il numero di impressioni che siamo in grado di accumulare all’interno di una giornata, nel senso che se uno non si fa portare via da quello che gli accade, e non ci si perde in mezzo, avrà la possibilità di sperimentare più cose intorno e dentro di sé.

Ora immaginiamo di muoverci fisicamente in una stanza. Se noi non potessimo uscire da quella stanza, quello sarebbe lo spazio a nostra disposizione, giusto?
Proviamo ad estendere questo concetto, e a sostituire al termine “movimento” il termine “esperienza” (che poi non cambia di molto).

Lo “spazio dell’esperienza” potrebbe essere allora definito come “l’insieme di tutto ciò di cui possiamo accorgerci”.

Se con un piccolo trucco mentale come quello suggerito negli scorsi post di questa serie iniziamo ad accorgerci per esempio di una nostra espressione di cui non eravamo consapevoli, o di una posizione che tendiamo ad assumere spesso, ecco che il nostro “spazio di esperienza” è cresciuto di un piccolo “tot”.

Solo poche centinaia di anni fa, alcune radiazioni oggi alla base di processi tecnologici “normali” come le onde radio, non essendo percepibili neppure in modo strumentale, non venivano mai “esperite”. Nessuno le poteva usare, sperimentare o concepire. Oggi fanno parte della nostra vita, anche se spesso non ce ne rendiamo conto. Il cellulare che portiamo addosso, l’autoradio, la televisione, la rete wireless dell’ufficio o di casa… tutte cose che sfruttano le onde radio.
Possiamo dire che oggi le onde radio fanno parte del nostro “spazio di esperienza”.

Ma se è così, per traslato, di quante cose non siamo consapevoli oggi, che domani saranno normali?
Prendiamo ad esempio le emozioni. Credo sarà capitato a chiunque di “percepire”, di sentire l’emozione provata dal/la nostro/a compagno/a, in un momento di particolare passione (anche intesa come incazzatura, ovvio).

E non venitemi a raccontare la balla del linguaggio del corpo, perchè sono pronto a scommettere che a chiunque sarà capitato almeno una volta nella vita di “sentire” lo stato di disagio o di pericolo di una persona cara.

Se lo andate a raccontare ad uno di quei signori che amano definirsi “scienziati”, per cui esiste solo ciò che è misurabile secondo i loro parametri (vedi “metodo scientifico”), vi risponderanno che si è trattato di suggestione, di anello di retroazione mnemonica, e un sacco di altre teorie tutte adatte a dimostrare sostanziamente che la vostra è stata un’esperienza di pura fantasia.

Ma ognuno di noi sa, o ha saputo almeno una volta nella vita, di aver “sentito” qualcosa senza che ci potesse essere il benchè minimo contatto con l’oggetto di quel sentire.

E allora questo come si spiega?

Semplice: con qualcosa che per un attimo ha fatto parte del vostro spazio di esperienza, ma non di quello dei suddetti uomini di scienza ( o magari l’ha fatto, ma loro si sono dati un dannato daffare per negarlo, e portare anche voi a fare lo stesso).

Il concetto di spazio di esperienza è estremamente importante, anzi fondamentale, nella vita di chi volesse capire qualcosa di più su ciò che lo circonda, perchè è proprio quello spazio che ampliandosi in seguito ad alcune azioni coscienti (direi anzi “consapevoli”) consente un’aumento della capacità di sperimentare la realtà di ciò che ci circonda. Questo aumento di consapevolezza genera a sua volta la possibilità di ampliare il proprio spazio di esperienza, e così via, instaurando un “circolo virtuoso” di importanza capitale per l’essere umano che veramente voglia essere differente da un animale.

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