Quando ho letto questo articolo sull’Unità stentavo a crederci. E’ la nuova campagna pubblicitaria della Lactacyd, in cui si mette in relazione l’utilizzo del suo detergente intimo con l’istituzione delle ronde; poi ho visto lo spot e ho dovuto accettare la realtà.
“8 donne su 100 sono state perseguitate da un ex”, “42 donne su 100 si sentirebbero più sicure con le ronde cittadine”.
Un filmato di 15 secondi che non ti da il tempo di riflettere sul messaggio, estrapolato da un sondaggio di cui si omette di riportare, che 53 donne su 100 non si sentono più sicure con le ronde, ritenendole in 9 casi su 100 addirittura controproducenti per la sicurezza.
L’articolo continua con un approfondimento della politica pubblicitaria della Lactacyd di questi ultimi anni, tutta imperniata su argomenti di carattere sociale di grande attualità, di cui sembra che gli spot riscuotano un grande successo. Sono dei professionisti, nulla da dire; sfruttano la tensione sociale creata dai mezzi d’informazione su diverse questioni, per fare campagne pubblicitarie accattivanti e di facile presa emotiva.
È un meccanismo comune in campo pubblicitario, non c’è nulla di cui scandalizzarsi. Solo che a volte si ha la sensazione che si passi veramente il limite, ma penso sia più corretto dire che ci si spinge semplicemente un po’ più in la di quello a cui eravamo precedentemente abituati e quindi, magari, si rimane un po’ spiazzati. Non preoccupiamoci; se nel giro di qualche anno tante altre aziende faranno cose analoghe, non ci stupiremo più, tutto diventerà normale in quanto consuetudine.
Questo è il problema dell’essere umano, sempre più stordito in questa epoca di sovrastimolazione sensoriale; un po’ per volta si può accettare tutto, anche di essere trattati da schiavi e costretti a rimanere chiusi in una cella angusta. Se sufficientemente bombardato da messaggi pubblicitari ammalianti e gratificanti, non ci sarà nessun motivo di voler uscire dalla cella e trovare se stessi, ovvero la propria libertà.
E adesso guardate questo video su un pezzo di Silvano Agosti intitolato “Il discorso tipico dello schiavo”.
Cosa c’azzeccano le ronde con il detergente intimo? By Ilia
Quando ho letto questo articolo sull’Unità stentavo a crederci. E’ la nuova campagna pubblicitaria della Lactacyd, in cui si mette in relazione l’utilizzo del suo detergente intimo con l’istituzione delle ronde; poi ho visto lo spot e ho dovuto accettare la realtà.
Un filmato di 15 secondi che non ti da il tempo di riflettere sul messaggio, estrapolato da un sondaggio di cui si omette di riportare, che 53 donne su 100 non si sentono più sicure con le ronde, ritenendole in 9 casi su 100 addirittura controproducenti per la sicurezza.
L’articolo continua con un approfondimento della politica pubblicitaria della Lactacyd di questi ultimi anni, tutta imperniata su argomenti di carattere sociale di grande attualità, di cui sembra che gli spot riscuotano un grande successo. Sono dei professionisti, nulla da dire; sfruttano la tensione sociale creata dai mezzi d’informazione su diverse questioni, per fare campagne pubblicitarie accattivanti e di facile presa emotiva.
È un meccanismo comune in campo pubblicitario, non c’è nulla di cui scandalizzarsi. Solo che a volte si ha la sensazione che si passi veramente il limite, ma penso sia più corretto dire che ci si spinge semplicemente un po’ più in la di quello a cui eravamo precedentemente abituati e quindi, magari, si rimane un po’ spiazzati. Non preoccupiamoci; se nel giro di qualche anno tante altre aziende faranno cose analoghe, non ci stupiremo più, tutto diventerà normale in quanto consuetudine.
Questo è il problema dell’essere umano, sempre più stordito in questa epoca di sovrastimolazione sensoriale; un po’ per volta si può accettare tutto, anche di essere trattati da schiavi e costretti a rimanere chiusi in una cella angusta. Se sufficientemente bombardato da messaggi pubblicitari ammalianti e gratificanti, non ci sarà nessun motivo di voler uscire dalla cella e trovare se stessi, ovvero la propria libertà.
E adesso guardate questo video su un pezzo di Silvano Agosti intitolato “Il discorso tipico dello schiavo”.
Altri articoli sul genere: