Il senso di vuoto
Non saprei definirlo altrimenti. Un termine affine potrebbe essere “noia”, ma forse neppure questo rende molto l’idea.
Credo accada quando si cerca di catturare qualcosa senza riuscirci. Non ha nulla a che fare col senso di leggerezza. Sopraggiunge quando tutto sembra essere senza senso, senza “sostanza”. Come bere dell’acqua che non disseta. È l’opposto del senso del mistero, della bellezza, dell’amore. Il contrario dell’intensità.
È quell’istante in cui verrebbe da dire “Ehi, scusate un momento! Ma io che ci faccio qui? Che scopo ha tutto questo?”.
Trasmette la sensazione di essere diventati sottili, sottili. È una percezione di perdita di significato della propria esistenza.
È l’opposto dell’aria di mare profumata e piena. Il contrario dell’odore intenso del muschio in mezzo ad un bosco di larici.
È qualcosa da cui ho sempre cercato di fuggire il più rapidamente possibile, anche a costo di rincorrere sogni o di cacciarmi in qualche guaio. A costo di pensare in negativo.
È un sentire vacuo che soltanto ciò che ha il sapore antico del rituale riesce ad allontanare.
Forse si dovrebbe saper ascoltare anche questo “non essere” perché vuole dirci qualcosa.
Ci sono suoni che piacciono e suoni che intristiscono. E quelli che svuotano di significato ogni cosa. Vibrazioni insomma.
Questa vibrazione assomiglia ad un annullamento, ad uno sbiadirsi dell’esistenza e io non riesco ad ascoltarla. Non riesco a soffermarmi neppure un istante a domandarmi che cosa significa, perché nasce, cosa la provoca. Proprio non ce la faccio.
Aspetto; dopo qualche giorno in un modo o nell’altro passa. A volte s’infrange nella gioia, altre nel dolore, ma passa.
Assomiglia all’istante in cui un sipario si chiude generando una sospensione alla quale segue l’illuminazione della sala del teatro. La rappresentazione non è terminata, è stata solamente interrotta, ma ora vedo i volti annoiati degli spettatori che masticano caramelle.
Verrebbe da alzarsi e dire
Al diavolo lo spettacolo, non mi va di stare qui ad aspettare il secondo tempo; ora esco, lascio questa sala e cammino da solo nella notte. Forse la luce delle stelle mi sarà di aiuto, o la lingua di fuoco che si spande durante l’alba all’orizzonte, oppure il colore crepuscolare del tramonto. Ma in questo posto ad attendere la conclusione di una storia che non è la mia io non ci voglio proprio rimanere.
Il vuoto. Il 5° elemento secondo la filosofia orientale. Uno stato mentale da raggiungere secondo lo zen.
Una condizione insostenibile quando raggiunge profondità troppo elevate. Mi sono permesso di aggiungere un link ad un post che ho scritto in Luglio sull’argomento, alle parole “sentire vacuo”.
Conosco questo stato molto bene, purtroppo.
Ciao Franz, perchè scrivi “purtroppo”? è pur sempre una possibilità anche se improvvisamente sembra che “manchi la terra sotto i piedi”.
L’importante è imparare a starci, a non sfuggirle… (come invece ho fatto io e per un sacco di tempo… ma senti un po’ da che pulpito… ho un bel coraggio eh!) :smirk:
Posso risponderti direttamente… anzi, l’ho già fatto con un post del 20 o 21 Luglio. Se lo leggi capisci cosa intendo per “Purtroppo”
Si Franz, distrattamente ieri non avevo fatto caso che la finestra a cui il link rimanda contiene solo una parte dell’articolo (e si che l’avevo letto quando lo avevi pubblicato!)
Ora è tutto più chiaro. Anzi, decisamente più chiaro… :coffee:
A volte capita di non rimanere ad aspettare e decidere, forzatamente o meno, di intraprendere un cammino nella speranza di vedere luci all’orizzonte.
Putroppo anche il cammino stesso, oltre le condizioni precedenti, porta a quel senso di vuoto (o di “inadeguatezza”) dal quale si cerca di fuggire.
E’ proprio in quel momento che necessitiamo della forza maggiore; non si deve mai pensare che la luce sia troppo lontata o irragiungibile.
E’ decisamente difficile e pesante ma, come scrisse qualcuno prima di me’, “io speriamo che me la cavo”.
Michele
Ebbene si Michele, “io speriamo che me la cavo” … :smirk:
Comunque no, non mi riferivo al senso di inadeguatezza (un sentire che riconosco di aver provato molte volte…), mi riferisco a qualcos’altro.
È qualcosa che arriva all’improvviso e lascia spiazzati, come se quel che si mangia e si beve non stesse nutrendo, come una densità che viene meno, come se l’aria divenisse più rarefatta, le montagne non poi così alte. È una sensazione quasi fisica, come quando si contrae lo stomaco in caduta libera…
Il fatto è, io credo, che noi siamo troppo abituati a nutrirci in tutti i modi, di emozioni, di cibo (anche del senso di inadeguatezza)…
Ascoltare questi vuoti è difficile perché corrispondono a un “non nutrimento”. Ma forse, se si imparasse a non scappare come lepri impaurite, dalla loro osservazione ne potrebbe uscire qualcosa di molto interessante…