Tracce di profumo. Recuperare la vista – by Valeria
La prima volta che sentii qualcuno sostenere che le persone fondamentalmente “dormono” sinceramente mi domandai perché non dovrebbero.
Mi sembrava che “addormentarsi” di continuo potesse costituire un buon anestetico per non soffrire troppo.
La sofferenza è di tutti, anche dei ricchissimi e dei fortunati che comunque dovranno fare i conti con le delusioni, le malattie e infine la morte.
Non trovai allora, di fronte a quelle parole, motivi sufficientemente validi per considerare utile aprire gli occhi più che tanto e guardarsi attorno con maggiore attenzione.
Mi venne in mente, invece, un film visto molti anni fa: un bambino cieco avrebbe potuto recuperare la vista se sottoposto ad un delicato e costoso intervento chirurgico; la famiglia non disponeva del denaro necessario ma in qualche modo riuscì a racimolare l’intera somma, l’intervento fu eseguito e riuscì perfettamente.
Il chirurgo raccomandò poi il ragazzo di non fissare a lungo il sole perché l’intensità luminosa avrebbe reso vana l’operazione rendendolo nuovamente cieco.
Ma in pochi giorni quel bambino vide molte cose brutte attorno a se che la sua cecità gli aveva risparmiato.
E così decise di fissare il sole abbastanza a lungo da perdere la vista nuovamente e irrimediabilmente.
Trovo che la metafora sia molto aderente a quel che facciamo tutti (o quasi) ogni giorno.
In fondo (ritenevo allora) sapere, avere una visione più nitida degli eventi della vita, aggiunge dolore al dolore.
Devo dire che nel tempo mi sono profondamente ricreduta.
Ciò che è cambiato probabilmente è “l’angolo di osservazione”: infatti “vedere” non comporta solamente rendersi conto di quel che accade attorno a noi ma, prima di tutto, quel che avviene al nostro interno.
Molto spesso ci sentiamo spettatori della vita, non ci accorgiamo quindi di quanto noi stessi incidiamo nell’ambiente che ci circonda, lo viviamo con la sensazione di subirlo e non ci sfiora neppure l’idea che, forse, qualcuno sta subendo noi.
Crediamo insomma che tutto accada nostro malgrado mentre invece, nel nostro “microambiente”, noi interferiamo continuamente e profondamente contribuendo a condizionare il clima che si respira.
Procedere in un cammino di maggiore comprensione di se può quindi costituire un vero e proprio punto di partenza per poter agire.
Altrimenti c’è il rischio di rimanere perennemente intrappolati in un atteggiamento mentale più simile alla rassegnazione, che conduce a poco a poco ad una sorta di paralisi.
C’è tuttavia da dire che sono comunque molte le persone (anche se forse percentualmente poche) ad aver tentato nella loro vita di comprendere qualcosa di se, dei propri meccanismi mentali, delle ragioni per cui si è spinti a reagire in un modo piuttosto che un altro.
Eppure io credo siano piuttosto rare quelle che sono riuscite a produrre un vero e proprio cambiamento al loro interno.
Più che altro succede che questi tentativi di comprensione si trasformino facilmente in una sorta di iperattività mentale che fa girare a vuoto di continuo senza venire a capo di nulla.
Anzi, questo esercizio della mente diventa in breve tempo un movimento che disperde la quasi totalità della nostra energia disponibile.
Malgrado lo sforzo, tutto si “addensa” in un groviglio di idee e preconcetti che non aiutano a fare luce ma rischiano di confonderci sempre più.
E allora?
Sembra veramente una partita persa in partenza.
Deve pur esserci un modo. Ma è difficile perché la mente percorre sempre le stesse strade; interpreta, filtra secondo i propri pregiudizi e condizionamenti.
Bisognerebbe in un certo senso trascenderla.
Come?
Forse cercando di continuo la volontà di osservare, quel che ci piace e quel che non ci piace. Così com’è, semplicemente.
Si cara, è più facile piancersi addosso che guardarsi dentro senza giudicarsi, rimanendo spettatori di noi stessi. Non c’è la volontà per un serio cambiamento, è vero che l’essere umano si abitua a vivere nell’acqua ferma. Un abbraccio e tanti auguri