Render conto di se’

E’ una bella espressione, un bel modo questo. O meglio… lo trovo garbato, gradevole e completo.
Render conto di se’, per me, significa essere in grado di spiegare a qualcuno (noi stessi in primis) le cause di un agire, di un modo o di un’azione.
Il che, ovviamente, non ha nulla a che vedere con il dimostrare di aver ragione o di essere meglio o peggio.
Rendere conto di se’ implica avere un certo grado di consapevolezza e di sincerità nel riconoscere i motivi che originano il proprio agire o il proprio essere in un determinato modo.
I primi, in assoluto, a cui dovremmo essere in grado di render conto di noi dovrebbero essere… noi stessi.
Conoscere le cause, le pulsioni, i bisogni o il sentire che originano “noi” in un dato momento è qualcosa di strettamente collegato alla capacità di osservazione e ad un uso in certo qual modo diverso dalla media dei casi, della mente e della capacità di discernimento.
Render conto di se’, dicevo, non ha però nulla a che vedere col mostrare o col dimostrare qualcosa a qualcuno. Semplicemente significa aver chiaro il motivo del proprio agire e, quando questo sia presente, il proprio sentire.
Per esperienza personale è abbastanza facile illudersi, pensare di conoscere le proprie meccaniche o motivazioni salvo il momento in cui, avendo perpetrato l’ennesima, insensata cazzata, nella nostra mente si affaccia il fatidico pensiero:
“Ma chi me l’ha fatto fare?”
Porsi questa domanda subito dopo il fatto è già una buona risultanza, l’effetto di un momentaneo picco di sussitenza. Se non si procede a sbattersene con una semplice alzata di spalle ma si comincia ad indagare, allora qualcosa di buono è già inziato.
Meglio sarebbe, naturalmente, aver chiaro il meccanismo prima che si metta in moto.
Poi, in effetti, non cambiare nulla (sempre che non si scopra di un eventuale pericolo) è spesso la strategia migliore. Stanare il nemico senza che questo se ne accorga è uno dei modi migliori per tenerlo sotto controllo: saremo in grado infatti così di precedere le sue mosse, o di giungere ai suoi superiori o ancora, semplicemente perchè lui si sente osservato, di alterarne il comportamento che tenderà inevitabilmente a perdere energia e quindi, contestualmente, possibilità di agire ai nostri danni.
Il nemico, immagino che l’avrete capito, è rappresentato da qualunque reazione meccanica. Va osservata, non interpretata e non interferita. Va semplicemente, spietatamente quardata per quello che è.
Poi, sarà davvero piacevole quel minuscolo brivido provato ogni qualvolta, nell’interno del nostro spazio di esperienza, scopriremo di esser in grado di render conto di noi a noi stessi.
Forse il primo e indispensabile passo per procedere verso la sincerità.
Tutto questo è alla base della psicanalisi iniziatica (che inizia…che porta a se stessi) ma purtroppo, come fai notare nel post, nessuno è armato di abbastanza sincerità da dire: ‘cazzo sono davvero incasinato e devo porre rimedio…’
Purtroppo, secondo me, ci vorranno migliaia di anni prima che l’umanità arrivi ad osservare se stessa e il mondo che lo circonda, con un autentico spirito da ricercatore…
Ciao Franz!
Pirata secondo me c’abbiamo giusto un paio d’anni ;-))
Grande Franz, un inchino 🙂
Grazie Claudia. Buona giornata! :bye: