Heather’s Corner: il migliore amico (qualunque mestiere faccia)

Il migliore amico è sempre la peggiore idea da farsi venire in mente per l’amore.
E anche per una fugace notte carnale.
Il migliore amico è un miracolo che capita a pochi. E’ una manna gratuita, è il pozzo dei desideri diventato realtà, la lampada di Aladino più unica che rara. Che cavolo di bisogno c’è di rovinare tutto? E questo solo per cominciare.
Poi, volendo proseguire, ce n’è per tutti.
Il migliore amico conosce ogni nostra debolezza, ogni più segreto e aberrante difetto, ogni infinitesimale mania. Intende a menadito tutti gli impercettibili movimenti dei nostri micromuscoli facciali e percepisce con millimetrica perfezione tutti i cambiamenti del nostro stato d’animo.
Al migliore amico abbiamo mostrato tutte le facce di cui siamo fornite/i. Fuori e dentro. Anche quella… da culo quando ci svegliamo la mattina e il nostro recentissimo passato ci ha viste protagoniste/i di una colossale sbronza.
Anche quella da desesperade/i quando l’ultimo vigliacco di turno s’è volatilizzato portandosi appresso un altro chilo del nostro orgoglio e un bel cinque grammi del nostro cuoricino palpitante d’amore per lui. Senza contare il soldo che noi s’è speso in biancheria intima per quel verme strisciante col chiodo fisso per il pizzo nero.
Il nostro migliore amico ci ha viste (non inserisco più la / con la “i” per i maschietti, ma come se fosse) singhiozzare in preda a un disarmante (e disarmato) scoramento totale. Ha osservato le nostre occhiaie e si è preso cura delle nostre guance annerite dal mascara (che doveva essere waterproof, stando alle parole di quella disturbata mentale di commessa della profumeria più chic e per niente cheap del centro), ripulendole con tanta pazienza e dischetti struccanti e latte detergente.
Ci ha abbracciate strette mentre il nostro organismo sussultava e rumoreggiava in tutti i modi che sa, per mancanza di cibo o per sovraccarico dello stesso.
Ci è venuto a trovare quando, febbricitanti col naso gonfio e rosso, la tosse da enfisema e imbottite di antibiotico, non ci si lavava da tre giorni o giù di lì. Uno spettacolo pietoso. Senza contare l’effluvio di muffa che disseminavamo a ogni pie’ sospinto.
Il nostro amico sa quanto siamo mutevoli d’umore. Sa che quando lo mandiamo a farsi fottere siamo in premestruo. Sa che quando, esattamente dopo cinque minuti, lo richiamiamo ridendo e autoironizzando, non si era sbagliato: siamo proprio in premestruo!
È al corrente di quanto siamo pesanti nel periodo che precede il “primo appuntamento”. Gli sminuzziamo le gonadi con telefonate ansanti di agitazione e richieste del tipo “cosa metto, meglio ben coperta o seducente, mi piace ma non voglio dare l’impressione che… ti ricordi i jeans quelli aderenti?… con una bella camicia bianca aperta fino allo sterno come li vedi?… Opporcavacca, mi son dimenticata la ceretta…” Uno sfiancamento da ridurre il cervello di qualunque genio in poltiglia.
Ma l’amico no. Lui è sempre lì, a portata di aiuto. E lui tutte queste cose le sa.
Questo fa di noi prede fin troppo facili e dell’amico un potenziale carnefice del nostro ultimo pezzo di cuore. Mi sembra evidente.
E’ per questo che tra i due quello che si fa avanti per primo non è mai lui, scervellate e ingrate!
Siamo noi. Perché, non si sa bene dietro quale luciferina spinta, a un certo punto ci si accende un neon in testa che ci impedisce di vedere oltre il naso. Quella luce intermittente ci fa credere che il nostro migliore amico in realtà possieda tutti i requisiti necessari per diventare il nostro consorte. Ci conosce, ci capisce, si prende cura di noi, quando lo chiamiamo c’è sempre, i suoi consigli (averne ascoltato uno!) sono sempre stati quelli giusti. Non abbiamo niente da tenere nascosto e se ci va possiamo anche accoglierlo col pigiamone antistupro pieno di elefantini Dumbo o la maschera all’argilla spiaccicata sulla faccia, ché tanto ci ha viste così un numero imprecisato di volte!
Che altro vado cercando?
Ora, un paio di presupposti da cui non dovremmo mai prescindere: in primo luogo, il nostro migliore amico porta a spasso con sé ventiquattro ore al giorno la sua irrinunciabile “appendice” (maschio è!). Secondo poi, non è omosessuale. E a un attacco così diretto che gli deve dire il cervello? Come gli può rispondere la carne?
Sì, sì, sì, sì e ancora sì. Che altro?
Poi però, c’è il poi. Tutto dovrebbe rientrare nei ranghi. Due passi avanti e uno indietro.
Lui vorrebbe tornare l’amicone perché ci vuole un bene inimmaginabile. Perché darebbe la vita di sua sorella per noi… Ovvio!
E noi che si fa? La frase tipica è: mi piacerebbe provarci sul serio con te. Ci proviamo?
Ci meriteremmo un sonoro ceffone dall’amico. Il quale, invece, basito e interdetto, ci guarda come se di colpo ci fossimo trasformate in zombie. Atterrito come se avesse di fronte l’ectoplasma di Misery non deve morire.
Resta in silenzio dieci secondi alla disperata ricerca di fiato e quando riesce a respirare di nuovo balbetta qualcosa del tipo: ma come? Tu-tu-tu-tu che ti-ti-ti-ti innamori di me? Non è possibile! Ma tu mica mi-mi-mi-mi conosci a me! Non sono uno di cui innamorarsi, sono pedante e ci vuole un mare di pazienza per sopportarmi. Io non ti do-do-do-do nessuna certezza… E tutto il resto della sinfonia in No Minore Terrorizzato dell’uomo che finalmente si scopre tale.
Bel casino abbiamo fatto! E non è che lui ci ha messo del suo, stavolta. Abbiamo fatto tutto da sole. Ce la siamo cantata e suonata. One Woman Band (o One Man Band, è lo stesso).
Lui s’è solo spaventato. Eccheccavolo!
Magari si è trattenuto dal provarci per mesi e adesso che gli è passata e ci vede davvero come sorelle (o qualcosa di simile…), noi che facciamo? Gli sbattiamo in faccia tutta la nostra sensualità (tanto per usare un eufemismo).
Oh, c’è da fargli venire un coccolone, poverino!
E adesso non mettiamoci a frignare se ha reagito così. Anche perché, figliole care, a chi lo andiamo a raccontare? Con chi diamo libero sfogo ai nostri tormenti amorosi? Da chi ci facciamo consolare?
Il migliore amico è lì accanto che ci guarda. Ancora annichilito!