Fare STOP

… pas­sa­re qual­che ora sen­za “pro­dur­re” in com­pa­gnia del­la cit­tà in cui sei nato, nel­la zona in cui sei cre­sciu­to, sem­bra inna­tu­ra­le all’i­ni­zio. Ma poi il cala­re del­la sera, quel natu­ra­le sce­ma­re del­la ten­sio­ne che sem­pre accom­pa­gna il tra­mon­to, faci­li­ta­no una pausa.

Nei pen­sie­ri, ma anche nel­le emo­zio­ni, a vol­te un po’ ran­ci­de e… allo­ra rie­sci a capi­re che que­sto è uno sta­to più natu­ra­le, un po’ più vero.

Sei da solo, sedu­to sul­la spon­da del navi­glio; un caf­fè, un po’ di aro­ma­ti­co tabac­co da pipa, e anche osser­va­re diven­ta più faci­le: le per­so­ne, il lavo­ro, la lon­ta­na scia di un aereo che taglia il sole al tramonto.

Quan­do il mon­do si allon­ta­na un po’, quel­lo del­la fol­lia per inten­der­ci, allo­ra si può avvi­ci­na­re un sen­ti­re cal­do, come il tepo­re di una vec­chia coper­ta che fa capo­li­no all’in­ter­no. Se lo ascol­ti, sco­pri che è quel calo­re che ti accom­pa­gna­va da ragazzo.

Un sen­so di sé, gli ingle­si lo chia­ma­no “one­ness”, che apre la dimen­sio­ne inter­na all’o­rec­chio del silenzio.

Faci­le dimen­ti­car­lo in que­sti tem­pi in cui “fare” sosti­tui­sce così spes­so “esse­re”.

Eppu­re, per stra­no che pos­sa sem­bra­re, a vol­te è anco­ra più faci­le ritrovarlo.

Basta ricor­dar­si di sé…

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2 Commenti
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Donatilla

…E’ vero sono dei momen­ti dol­ci di inten­sa inti­mi­tà con se stes­si. un affet­tuo­so abbraccio