Comprensione e compassione
Comprensione e compassione, sono due sorelle che vanno a braccetto nell’uomo illuminato. La prima consente di comprendere, prima con il cuore e solo poi con la mente, ciò che avviene attorno a noi. La seconda consente di sollevare, in parte o del tutto, la sofferenza di chi ci sta intorno.
Un giorno ero con il mio Maestro, che accompagnavo in uno dei suoi pellegrinaggi nei monasteri della zona, quando all’ingresso di un villaggio incontrammo un gruppo di soldati. In mezzo a loro due uomini erano in stato di arresto, in ginocchio.
Uno dei due piangeva, chiedendo pietà, mentre l’altro aveva il volto trasformato in una maschera di pietra. Quello che era in lacrime continuava a ripetere che l’altro gli aveva rubato alcune monete, che i suoi bambini non avrebbero avuto da mangiare. Era veramente disperato.
Il mio Maestro, fermandosi, mi disse: “Osserva bene, T. Attento all’ufficiale”.
Non disse altro, ma lo conoscevo abbastanza per sapere che di lì a poco avrei scoperto qualcosa di profondo.
In effetti l’ufficiale, immobile fino a quel momento, scattò come una vipera, colpendo con il calcio del fucile l’uomo in lacrime. Ebbi un moto di sdegno, naturalmente, mentre l’altro uomo veniva rilasciato. Il Maestro mi spinse leggermente sulla schiena, e ci avvicinammo ai soldati.
Quando l’ufficiale vide che eravamo dei monaci non ebbe il solito comportamento altezzoso e disprezzante. Anzi, si tolse l’elmetto e ci salutò con un inchino. Fui stupito di tanto rispetto, ma il Maestro interruppe il flusso dei miei pensieri, chiedendo all’uomo:
“Signor ufficiale, posso chiederle, per mia conoscenza, il motivo per cui ha colpito quell’uomo che appariva così disperato e lasciato andare l’altro che invece sembrava del tutto insensibile?”
Il soldato ci guardò per qualche secondo. Poi fece un sorriso al Maestro, un’espressione di complicità, come se avesse capito qualcosa che a me sfuggiva, e disse:
“Oggi fa freddo, ma quello che non muoveva un muscolo sudava e non sbatteva gli occhi!” Disse semplicemente, poi salutò ancora e si allontanò con i suoi uomini, trascinandosi dietro l’uomo svenuto.
Fino a sera cercai un senso in quello che aveva detto l’uomo, poi, non trovandolo, mi arresi e chiesi al Maestro una spiegazione. Lui fece il suo solito sorriso, poi disse:
“Vedi T, quell’ufficiale aveva capito che l’uomo che non parlava era completamente soverchiato dall’orrore e dalla paura. Per questo sudava e non batteva le palpebre, mentre l’altro si affannava per dimostrare la propria innocenza in una tragedia che avrebbe dovuto produrgli una ben profonda angoscia.
Quindi il colpevole non poteva essere lui.”
“Ma come poteva esserne certo?”
“Perchè ha usato il cuore, T. Quando usi il cuore per comprendere, la verità si fa strada da sola in esso. La comprensione è l’atto di portare la realtà al tuo interno per poterla osservare oggettivamente. Dalla comprensione poi si passa alla compassione. Quando il Buddha parlava di compassione non si riferiva certo al buonismo ipocrita e senza senso di tanti.
Si riferiva invece alla capacità del cuore di portare al proprio interno le cose per donare loro la giusta luce, in un processo che consente di trasformare la sofferenza, anche quella altrui, in luce.
Questa è compassione, T. Ricordatelo. Ma ricorda anche che, senza comprensione, la compassione resta un atto limitato, per quanto puro e grande. Invece, quando la comprensione apre le porte alla vera compassione, non c’è sofferenza che non possa trovare ristoro.
La vera compassione… guarisce dal dolore.”