Non credo sia un segreto e neppure una questione di complottismo notare come, negli ultimi mesi, i comportamenti alterati che vanno dalla semplice tensione anomala fino all’atto di pazzia vera e propria, stiano aumentando in numero e importanza.
Una volta (non molto tempo fa) si dava la colpa alla crisi, al problema economico… insomma a contingenze materiali, ma ora come giustificazione, per quanto probabile e concomitante, non mi sembra possa più essere considerata sufficiente.
Gli atti di follia stanno aumentando a dismisura. Ma parliamo di follia vera, non quella di uno che molla il lavoro per fare il giro del mondo o il vicino che molla la moglie dopo trent’anni di tranquillo matrimonio.
No, qui parliamo di omicidi, suicidi, stragi, delitti contro l’umanità… e non parliamo ovviamente solo del fenomeno ISIS.
Del resto credo che chiunque si possa accorgere di quello di cui sto parlando: la psicosi è qualcosa che si respira nell’aria, quasi come il virus dell’influenza in un vagone affollato della metropolitana in Febbraio.
Reazioni estreme (ma anche estreme passività) di persone e gruppi, incontestabili quanto esecrabili devianze nella comunicazione dei media etc. etc., ma anche semplicemente elementi fuori contesto: la gentilezza sembra essersi estinta, e i comportamenti alterati sembrano essere all’ordine del giorno persino entrando in un bar a prendere un caffè o alla guida del proprio veicolo.
Forze dell’ordine che da difensori della civiltà si trasformano in oppressori del cittadino, medici e operatori sanitari che da baluardi della nostra salute diventano sempre più dispensatori di farmaci senza la minima coscienza di quello che stanno facendo, padri di famiglia che diventano orchi assassini e sant’uomini che marciscono dentro.
No, la congiuntura economica non c’entra, quantomeno non come causa scatenante. Al massimo possiamo considerarla una blanda concomitanza.
E allora cos’è che ci sta portando lungo una discesa sempre più folle che chiunque ormai può comprendere che non può che avere un muro come fine?
Beh, io una teoria ce l’avrei. Nulla di complottistico, nulla di riferito a rettiliani, extraterrestri, scie chimiche o quant’altro; personalmente credo che il problema fondamentale si stia sviluppando al nostro interno e sia la distanza: una distanza tra ciò che siamo e ciò che in realtà dovremmo essere. Tra ciò che perseguiamo e ciò che dovremmo perseguire, tra ciò che vogliamo e ciò che dovremmo volere.
Passiamo la giornata lavorando (per chi ha la fortuna di averlo, un lavoro) come matti, nella maggior parte dei casi per il benessere di chi ci paga un misero stipendio o, se siamo autonomi, alla rincorsa del fatturato, se siamo disoccupati nella disperata ricerca di un lavoro per poter rientrare in uno dei due casi precedenti.
Il tempo libero viene sempre più dedicato a cose che in realtà non ci interessano davvero e quando lo fanno… si tratta di un interesse costruito, non naturale. Un interesse che potremmo tranquillamente definire condizionamento.
Andiamo in palestra per mantenere un corpo a livelli di forma accettabili per dei parametri estetici sempre più assurdi e innaturali e quando andiamo a correre per perdere magari qualche chilo di troppo ci piace pure, ma in realtà siamo costretti a correre per bruciare le troppe calorie accumulate a causa di abitudini alimentari completamente errate e stili di vita troppo assurdamente sedentari.
I nostri rapporti con i sentimenti e le emozioni sono sempre più stereotipi da soap opera per non parlare di quelli con i nostri partner, amici, colleghi; chi ha figli si ritrova a diventare schiavo degli stessi ed a doverli scarrozzare ovunque a qualunque orario, anche a notte fonda, ma ritrovandosi a non avere manco il tempo per parlarci assieme. I nostri vecchi sono sempre più abbandonati a loro stessi, magari in condizioni di esistenza al limite della povertà quando non addirittura ben al di sotto di essa.
La lettura di un libro sembra essere diventata un interesse da museo; leggiamo solo su internet, magari solo i titoli, consumiamo tutte le informazioni come dei trituratori di rifiuti, trangugiandole come dei bulimici della parola e, come tali, rivomitandole per intero appena possibile, senza averne assimilato nulla.
Potrei continuare quasi all’infinito ma il succo è che tutto questo non può essere considerato come la vita che siamo nati per vivere. Dentro di noi c’è ben altro che un povero disgraziato e di certo non siamo nati con lo scopo di arrancare per qualche decennio dietro a cose sempre più effimere ed ai debiti contratti per potercele permettere.
E’ la distanza tra la nostra vita come la viviamo e quella che dovremmo vivere che ci avvelena. O meglio, è qualcosa sepolto sempre più profondamente al nostro interno che comincia a farsi sentire perchè quella distanza ha superato una qualche soglia, un qualche limite terminale.
La distanza, la dicotomia sono sempre più lancinanti, e noi, in qualche modo, non possiamo non accorgercene. Tanti diranno che vivono una vita soddisfacente, che hanno raggiunto la felicità o quasi e che si sentono realizzati. Ma il problema di una vita illusoria è proprio quello: non ci accorgiamo che è tale. E’ un po’ come in quei sogni in cui sei perfettamente a tuo agio ma che, al risveglio, ti fanno provare un brivido di ribrezzo al pensiero di quel falso agio.
Personalmente credo che chiunque, costretto a vivere una vita così distante da quella che è nato per vivere, abbia un tempo limitato per far finta di nulla. Trascorso questo tempo, qualcosa all’interno comincerà a farsi sentire e allora il disagio inizierà ad emergere. Un disagio che però non troverà strumenti cognitivi e interiori adatti a gestirlo, perchè in una vita dedicata alle cazzate, qualunque strumento cognitivo non può che degradare. Ed è allora che scatta la psicosi, la follia…
Credo che ci troviamo davvero in un periodo in cui le persone, tutte le persone, saranno chiamate a scegliere. Ma non tra il bene ed il male, quanto tra la follia e la lucidità, tra quello che esiste e quello che non ci sarà più, tra il perseguire dei valori che hanno un senso oppure finire nel baratro della psicosi.
Il problema è che se non scegli in tempo… nell’istante in cui la “macchina uomo personale” si rompe, la scelta viene fatta automaticamente.
Non solo non sappiamo quando moriremo, ma non sappiamo neppure quanto tempo ci rimane prima di fare la scelta giusta, quella fondamentale, quindi cerchiamo di non rimandare questa scelta.
Come dice un vecchio detto Zen:
“Se non ora, quando?”
C’è pazzia nell’aria… ma per me il problema sta dentro.
Non credo sia un segreto e neppure una questione di complottismo notare come, negli ultimi mesi, i comportamenti alterati che vanno dalla semplice tensione anomala fino all’atto di pazzia vera e propria, stiano aumentando in numero e importanza.
Una volta (non molto tempo fa) si dava la colpa alla crisi, al problema economico… insomma a contingenze materiali, ma ora come giustificazione, per quanto probabile e concomitante, non mi sembra possa più essere considerata sufficiente.
Gli atti di follia stanno aumentando a dismisura. Ma parliamo di follia vera, non quella di uno che molla il lavoro per fare il giro del mondo o il vicino che molla la moglie dopo trent’anni di tranquillo matrimonio.
No, qui parliamo di omicidi, suicidi, stragi, delitti contro l’umanità… e non parliamo ovviamente solo del fenomeno ISIS.
Del resto credo che chiunque si possa accorgere di quello di cui sto parlando: la psicosi è qualcosa che si respira nell’aria, quasi come il virus dell’influenza in un vagone affollato della metropolitana in Febbraio.
Reazioni estreme (ma anche estreme passività) di persone e gruppi, incontestabili quanto esecrabili devianze nella comunicazione dei media etc. etc., ma anche semplicemente elementi fuori contesto: la gentilezza sembra essersi estinta, e i comportamenti alterati sembrano essere all’ordine del giorno persino entrando in un bar a prendere un caffè o alla guida del proprio veicolo.
Forze dell’ordine che da difensori della civiltà si trasformano in oppressori del cittadino, medici e operatori sanitari che da baluardi della nostra salute diventano sempre più dispensatori di farmaci senza la minima coscienza di quello che stanno facendo, padri di famiglia che diventano orchi assassini e sant’uomini che marciscono dentro.
No, la congiuntura economica non c’entra, quantomeno non come causa scatenante. Al massimo possiamo considerarla una blanda concomitanza.
E allora cos’è che ci sta portando lungo una discesa sempre più folle che chiunque ormai può comprendere che non può che avere un muro come fine?
Beh, io una teoria ce l’avrei. Nulla di complottistico, nulla di riferito a rettiliani, extraterrestri, scie chimiche o quant’altro; personalmente credo che il problema fondamentale si stia sviluppando al nostro interno e sia la distanza: una distanza tra ciò che siamo e ciò che in realtà dovremmo essere. Tra ciò che perseguiamo e ciò che dovremmo perseguire, tra ciò che vogliamo e ciò che dovremmo volere.
Passiamo la giornata lavorando (per chi ha la fortuna di averlo, un lavoro) come matti, nella maggior parte dei casi per il benessere di chi ci paga un misero stipendio o, se siamo autonomi, alla rincorsa del fatturato, se siamo disoccupati nella disperata ricerca di un lavoro per poter rientrare in uno dei due casi precedenti.
Il tempo libero viene sempre più dedicato a cose che in realtà non ci interessano davvero e quando lo fanno… si tratta di un interesse costruito, non naturale. Un interesse che potremmo tranquillamente definire condizionamento.
Andiamo in palestra per mantenere un corpo a livelli di forma accettabili per dei parametri estetici sempre più assurdi e innaturali e quando andiamo a correre per perdere magari qualche chilo di troppo ci piace pure, ma in realtà siamo costretti a correre per bruciare le troppe calorie accumulate a causa di abitudini alimentari completamente errate e stili di vita troppo assurdamente sedentari.
I nostri rapporti con i sentimenti e le emozioni sono sempre più stereotipi da soap opera per non parlare di quelli con i nostri partner, amici, colleghi; chi ha figli si ritrova a diventare schiavo degli stessi ed a doverli scarrozzare ovunque a qualunque orario, anche a notte fonda, ma ritrovandosi a non avere manco il tempo per parlarci assieme. I nostri vecchi sono sempre più abbandonati a loro stessi, magari in condizioni di esistenza al limite della povertà quando non addirittura ben al di sotto di essa.
La lettura di un libro sembra essere diventata un interesse da museo; leggiamo solo su internet, magari solo i titoli, consumiamo tutte le informazioni come dei trituratori di rifiuti, trangugiandole come dei bulimici della parola e, come tali, rivomitandole per intero appena possibile, senza averne assimilato nulla.
Potrei continuare quasi all’infinito ma il succo è che tutto questo non può essere considerato come la vita che siamo nati per vivere. Dentro di noi c’è ben altro che un povero disgraziato e di certo non siamo nati con lo scopo di arrancare per qualche decennio dietro a cose sempre più effimere ed ai debiti contratti per potercele permettere.
E’ la distanza tra la nostra vita come la viviamo e quella che dovremmo vivere che ci avvelena. O meglio, è qualcosa sepolto sempre più profondamente al nostro interno che comincia a farsi sentire perchè quella distanza ha superato una qualche soglia, un qualche limite terminale.
La distanza, la dicotomia sono sempre più lancinanti, e noi, in qualche modo, non possiamo non accorgercene. Tanti diranno che vivono una vita soddisfacente, che hanno raggiunto la felicità o quasi e che si sentono realizzati. Ma il problema di una vita illusoria è proprio quello: non ci accorgiamo che è tale. E’ un po’ come in quei sogni in cui sei perfettamente a tuo agio ma che, al risveglio, ti fanno provare un brivido di ribrezzo al pensiero di quel falso agio.
Personalmente credo che chiunque, costretto a vivere una vita così distante da quella che è nato per vivere, abbia un tempo limitato per far finta di nulla. Trascorso questo tempo, qualcosa all’interno comincerà a farsi sentire e allora il disagio inizierà ad emergere. Un disagio che però non troverà strumenti cognitivi e interiori adatti a gestirlo, perchè in una vita dedicata alle cazzate, qualunque strumento cognitivo non può che degradare. Ed è allora che scatta la psicosi, la follia…
Credo che ci troviamo davvero in un periodo in cui le persone, tutte le persone, saranno chiamate a scegliere. Ma non tra il bene ed il male, quanto tra la follia e la lucidità, tra quello che esiste e quello che non ci sarà più, tra il perseguire dei valori che hanno un senso oppure finire nel baratro della psicosi.
Il problema è che se non scegli in tempo… nell’istante in cui la “macchina uomo personale” si rompe, la scelta viene fatta automaticamente.
Non solo non sappiamo quando moriremo, ma non sappiamo neppure quanto tempo ci rimane prima di fare la scelta giusta, quella fondamentale, quindi cerchiamo di non rimandare questa scelta.
Come dice un vecchio detto Zen:
“Se non ora, quando?”
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