Credo che sia uno dei comportamenti più diffusi in assoluto dopo quello di soffiarsi il naso: chattare tramite i vari messenger.
L’introduzione dei molti software che consentono la messaggistica istantanea ha indubbiamente portato un livello di libertà in più nelle possibilità di contatto. La facilità con cui è possibile scrivere a qualcuno, e soprattutto il fatto che sia possibile farlo in modo completamente gratuito ha rivoluzionato il mondo della comunicazione personale quanto e forse più dell’invenzione del telefono.
E di vantaggi questa forma di comunicazione ne offre davvero tanti: a cominciare da quello di poter restare in contatto con persone che ci sarebbe impossibile o estremamente dispendioso raggiungere in qualunque altro modo, per passare da quello di poter mandare un messaggio che include contenuti multimediali di quasi qualunque tipo, o di potersi scambiare messaggi in “differita temporale” senza utilizzare una segreteria telefonica.
Tuttavia, come in tutte le cose, anche in questa esistono un’ottava bassa ed una alta. Se tutto quanto espresso prima rappresenta indubbiamente l’ottava alta, purtroppo quella che va per la maggiore è quella bassa. L’uso della messaggistica istantanea ha infatti avuto due effetti successivi primari.
Il primo è stato quello di sostituire in modo massiccio il contatto personale. Il che, se nell’ottava alta significa mettere in contatto persone che altrimenti non potrebbero averlo, nell’ottava bassa invece determina il contrario, ovvero la sempre minor frequenza di contatti personali.
Il secondo, evoluzione del primo, è quello di diventare la forma di comunicazione prioritaria, anche quando siamo in compagnia di nostri simili. Stiamo parlando delle classiche scene pietose in cui si è in presenza di qualcuno e si tira fuori il cellulare per chattare con altre persone che in quel momento sono altrove e che magari ci hanno scritto ore prima (cosa che personalmente ritengo semplicemente insopportabile).
Ovviamente ci sono molte altre conseguenze non visibili a prima vista ma queste sono le principali.
Certo che ci sono situazioni in cui usare una forma di chat può avere un senso, ma dovrebbero essere eccezioni e non la regola. Mandarsi un messaggio al volo può avere un senso per cose pratiche, che so… “Ricordati di telefonare al meccanico” oppure “Ci vediamo per un aperitivo?“. Persino un “Ti amo” può avere un senso. Ma di certo non può e non deve avere un senso l’utilizzo di una chat per sostituire completamente comunicazioni personali importanti, specialmente quando ci sono di mezzo le emozioni o i sentimenti o cose comunque di una certa profondità, a meno che, come esemplificato prima, non siano semplici preludi ad un incontro personale, anche solo telefonico.
La dipendenza da questa forma di comunicazione è purtroppo divenuta tale che le persone non si rendono neppure conto dei grandissimi limiti che essa impone, privando qualunque conversazione di tutto ciò che non siano parole scritte (e se qualcuno pensa che quattro faccine idiote possano anche lontanamente sostituire la complessità del linguaggio emotivo e corporeo umano allora significa che ha un problema in più degli altri!).
E’ una dipendenza che ha potuto stabilirsi perché ha trovato uno spazio a disposizione per impiantarsi: principalmente nella paura, nella non voglia di contatto: un messaggio istantaneo permette di non mettersi in gioco, di non avere un rapporto diretto con il mondo, di frapporre tra sé e quest’ultimo una tastiera ed uno schermo che lo sostituiscono perché questo permette di non toccare e non farsi toccare.
Tante persone e non solo giovani, credono di comunicare ma fanno l’esatto contrario: recitano la parte che più conviene a seconda di quello che in quel momento fa loro più paura: di fatto non comunicano… tengono tutto e tutti a distanza.
Dopo molto tempo passato ad avallare questo obbrobrio, mi sono reso conto che tra l’altro si crea un effetto per cui le informazioni (in senso semantico e contenutistico) scambiate durante una chat hanno un ciclo di vita brevissimo e si trasmettono in modo completamente errato: la mancanza di contatto personale crea infatti in chi legge un processo di sostituzione virtuale per cui creiamo delle sorte di “avatar” dell’interlocutore, immaginandone (seppur a livello inconscio) le espressioni del volto, quelle della voce e persino quelle emotive. Peccato che si tratti appunto di una ricostruzione tutta nostra che non ha nulla a che vedere con le vere espressioni della persona. Questo si unisce alla velocità di consumo delle informazioni che vengono fagocitate a velocità innaturale, senza la necessaria pregnanza e senza tutto un contorno che è indispensabile a quella cosa chiamata “dialogo”.
Il risultato, alquanto deprecabile, è che contenuti anche molto profondi vengono letteralmente “ingoiati” senza la necessaria sedimentazione nei vari strati psicologici, cognitivi e coscienziali, producendo la superficializzazione più becera e al contempo la falsa convinzione di averli invece compresi.
Senza contare che questo rende le persone convinte di avere comunicato quando invece hanno semplicemente letto delle affermazioni più o meno sensate: durante una conversazione, il tono della voce, lo sguardo, la postura di chi ci parla trasmettono il 90% del contenuto.
Le parole sono semplicemente strumenti di questo linguaggio. Non possono e non devono essere scambiate con il contenuto, altrimenti è come masturbarsi credendo di avere fatto l’amore con qualcuno.
Ci ho messo un paio d’anni di osservazione durante diverse chat a comprendere il “meccanismo dell’errore” insito in esse. All’inizio era solo un disagio che non riuscivo a mettere a fuoco. Ora, finalmente, sono riuscito a razionalizzarne le radici: ergo, va da sé che non sarà più un modulo di comunicazione che in me troverà molto adito, se non per casi particolari.
Vi suggerisco caldamente di fare altrettanto!
La chat: masturbarsi pensando di fare l’amore.
Credo che sia uno dei comportamenti più diffusi in assoluto dopo quello di soffiarsi il naso: chattare tramite i vari messenger.
L’introduzione dei molti software che consentono la messaggistica istantanea ha indubbiamente portato un livello di libertà in più nelle possibilità di contatto. La facilità con cui è possibile scrivere a qualcuno, e soprattutto il fatto che sia possibile farlo in modo completamente gratuito ha rivoluzionato il mondo della comunicazione personale quanto e forse più dell’invenzione del telefono.
E di vantaggi questa forma di comunicazione ne offre davvero tanti: a cominciare da quello di poter restare in contatto con persone che ci sarebbe impossibile o estremamente dispendioso raggiungere in qualunque altro modo, per passare da quello di poter mandare un messaggio che include contenuti multimediali di quasi qualunque tipo, o di potersi scambiare messaggi in “differita temporale” senza utilizzare una segreteria telefonica.
Tuttavia, come in tutte le cose, anche in questa esistono un’ottava bassa ed una alta. Se tutto quanto espresso prima rappresenta indubbiamente l’ottava alta, purtroppo quella che va per la maggiore è quella bassa. L’uso della messaggistica istantanea ha infatti avuto due effetti successivi primari.
Il primo è stato quello di sostituire in modo massiccio il contatto personale. Il che, se nell’ottava alta significa mettere in contatto persone che altrimenti non potrebbero averlo, nell’ottava bassa invece determina il contrario, ovvero la sempre minor frequenza di contatti personali.
Il secondo, evoluzione del primo, è quello di diventare la forma di comunicazione prioritaria, anche quando siamo in compagnia di nostri simili. Stiamo parlando delle classiche scene pietose in cui si è in presenza di qualcuno e si tira fuori il cellulare per chattare con altre persone che in quel momento sono altrove e che magari ci hanno scritto ore prima (cosa che personalmente ritengo semplicemente insopportabile).
Ovviamente ci sono molte altre conseguenze non visibili a prima vista ma queste sono le principali.
Certo che ci sono situazioni in cui usare una forma di chat può avere un senso, ma dovrebbero essere eccezioni e non la regola. Mandarsi un messaggio al volo può avere un senso per cose pratiche, che so… “Ricordati di telefonare al meccanico” oppure “Ci vediamo per un aperitivo?“. Persino un “Ti amo” può avere un senso. Ma di certo non può e non deve avere un senso l’utilizzo di una chat per sostituire completamente comunicazioni personali importanti, specialmente quando ci sono di mezzo le emozioni o i sentimenti o cose comunque di una certa profondità, a meno che, come esemplificato prima, non siano semplici preludi ad un incontro personale, anche solo telefonico.
La dipendenza da questa forma di comunicazione è purtroppo divenuta tale che le persone non si rendono neppure conto dei grandissimi limiti che essa impone, privando qualunque conversazione di tutto ciò che non siano parole scritte (e se qualcuno pensa che quattro faccine idiote possano anche lontanamente sostituire la complessità del linguaggio emotivo e corporeo umano allora significa che ha un problema in più degli altri!).
E’ una dipendenza che ha potuto stabilirsi perché ha trovato uno spazio a disposizione per impiantarsi: principalmente nella paura, nella non voglia di contatto: un messaggio istantaneo permette di non mettersi in gioco, di non avere un rapporto diretto con il mondo, di frapporre tra sé e quest’ultimo una tastiera ed uno schermo che lo sostituiscono perché questo permette di non toccare e non farsi toccare.
Tante persone e non solo giovani, credono di comunicare ma fanno l’esatto contrario: recitano la parte che più conviene a seconda di quello che in quel momento fa loro più paura: di fatto non comunicano… tengono tutto e tutti a distanza.
Dopo molto tempo passato ad avallare questo obbrobrio, mi sono reso conto che tra l’altro si crea un effetto per cui le informazioni (in senso semantico e contenutistico) scambiate durante una chat hanno un ciclo di vita brevissimo e si trasmettono in modo completamente errato: la mancanza di contatto personale crea infatti in chi legge un processo di sostituzione virtuale per cui creiamo delle sorte di “avatar” dell’interlocutore, immaginandone (seppur a livello inconscio) le espressioni del volto, quelle della voce e persino quelle emotive. Peccato che si tratti appunto di una ricostruzione tutta nostra che non ha nulla a che vedere con le vere espressioni della persona. Questo si unisce alla velocità di consumo delle informazioni che vengono fagocitate a velocità innaturale, senza la necessaria pregnanza e senza tutto un contorno che è indispensabile a quella cosa chiamata “dialogo”.
Il risultato, alquanto deprecabile, è che contenuti anche molto profondi vengono letteralmente “ingoiati” senza la necessaria sedimentazione nei vari strati psicologici, cognitivi e coscienziali, producendo la superficializzazione più becera e al contempo la falsa convinzione di averli invece compresi.
Senza contare che questo rende le persone convinte di avere comunicato quando invece hanno semplicemente letto delle affermazioni più o meno sensate: durante una conversazione, il tono della voce, lo sguardo, la postura di chi ci parla trasmettono il 90% del contenuto.
Le parole sono semplicemente strumenti di questo linguaggio. Non possono e non devono essere scambiate con il contenuto, altrimenti è come masturbarsi credendo di avere fatto l’amore con qualcuno.
Ci ho messo un paio d’anni di osservazione durante diverse chat a comprendere il “meccanismo dell’errore” insito in esse. All’inizio era solo un disagio che non riuscivo a mettere a fuoco. Ora, finalmente, sono riuscito a razionalizzarne le radici: ergo, va da sé che non sarà più un modulo di comunicazione che in me troverà molto adito, se non per casi particolari.
Vi suggerisco caldamente di fare altrettanto!
Altri articoli sul genere: