Consapevolezza: cos’è e perchè ogni tanto qualcuno la cerca…

Una domanda che mi è stata posta da una persona che per le prime volte si accostava ad un percorso di ricerca, la cui risposta credo meriti davvero un post.

Però facciamo un patto: dato che non posso riassumere decine di volumi di filosofia o anni di argomentazioni interiori in poche righe, io mi impegno ad essere il più semplice e leggero possibile, ma chi legge si impegna a sua volta a non rompere i coglioni con richieste di documentazioni, prove e quant’altro. Per ogni richiesta di questo tipo rivolgetevi al vostro guru di quartiere che sarà sicuramente dispostissimo a darvi tutti i chiarimenti del caso.

Partiamo da un punto (per le dimostrazioni del fatto vedi il patto di cui sopra): nessuno di noi è quello che è. Questa è la partenza. Uno ci può credere, oppure no, ma diciamo che diamo per scontato che una persona ad un certo punto della sua vita incappi in eventi o questioni che gli fanno venire il famoso dubbio: “Ma io chi sono veramente?

Quindi questo post parte proprio da questo stato. Se siete convinti di essere presenti, di essere voi stessi fino in fondo…. allora questo scritto per voi sarà probabilmente inutile, a meno che il succitato dubbio non si presenti proprio leggendo queste righe.

Questo premesso, torniamo a noi.

Noi siamo a tutti gli effetti delle macchine. C’è quella più sofisticata e quella meno, ma alla fine siamo tutti un ammasso di reazioni meccaniche: emotive, psicologiche, mentali, fisiche.  Il nostro vero “noi” non sta nel nostro corpo, e neppure nei nostri pensieri, emozioni o sensazioni. Tutto quello che ha un inizio, prima o poi ha anche una fine, come dice l’Oracolo a Neo in Matrix, e quello che pensiamo di essere è, nella stragrandissima maggioranza dei casi, fatte salve alcune peculiari eccezioni, nato con noi e morirà con noi alla morte del corpo fisico.

Ma come… e l’anima? L’anima (non quella de li mortacci vostri), la cui definizione varia a seconda del momento storico, della regione del pianeta in cui siamo nati, della religione o della filosofia che seguiamo, e della marca di carta igienica che usiamo è qualcosa di ben difficile da definire. Tuttavia, per semplificare e anche di parecchio, al limite del delinquenziale, la cosa prendiamola come quella parte di noi che può essere definita “immortale”. Sia questo inteso in senso cattolico, buddhista, tibetano, antroposofico, o secondo Gennaro ‘o Scarrafone, prendiamo a prestito il termine generico di Anima per identificare la parte di noi che sopravvive al corpo fisico e non entriamo neppure, sempre per semplicità al limite del criminale, nella questione dell’incarnazione o della reincarnazione della stessa.

Supponiamo che questa sia la nostra unica vita (e in parte è proprio così) e che l’anima sia quella cosa di noi che sopravviverà alla morte fisica. Punto e accapo.

Fatto sta che di quest’anima noi non sappiamo assolutamente nulla, manco che faccia c’ha, in quanto ciò di cui siamo consapevoli, senza alcun tipo di percorso interiore e senza alcun miracolo intercorso (che di miracoloso non ha proprio nulla, ma è il risultato di un lavoro svolto in… altri tempi), è solo la nostra parte “transitoria”, ovvero quella che viene definita personalità, vale a dire l’insieme di corpo, mente ed emozioni. Tutta? No! Ecché… poteva essere così facile? NO! La realtà è che nella maggior parte di noi la consapevolezza non esiste se non come vaga possibilità di essere al corrente di alcuni tra i processi emotivi e mentali più superficiali: pappa, cacca, gatto, tromba, sonno (in ordine sparso).

La ricerca della consapevolezza è, in qualche modo estremamente riduttivo (e ridajie con la semplificazione da settimana enigmistica), la ricerca dell’anima. Ma dato che l’anima sta dietro la personalità, il più delle volte facendosi i più profondi beneamati, ecco che la consapevolezza inizia con l’approfondire la nostra conoscenza (non il nostro sapere) dei nostri processi automatici o meccanici. Le emozioni che proviamo nella maggior parte dei casi non sono neppure tali: sono simulacri mentali, ovvero generati dal pensiero, delle vere emozioni che, molto probabilmente, non abbiamo mai provato se non in modo del tutto embrionale o parziale (vedi sopra: pappa, cacca, gatto, tromba, sonno)

Siamo in altre parole completamente in balia di qualunque tipo di influenza generi in noi una anche blanda risposta emotiva o di pensiero. Persino una scorreggia del vicino è in grado di rovinarci la giornata, e questo perchè non siamo assolutamente in grado di essere consapevoli anche solamente delle nostre vere emozioni: figuriamoci se siamo in grado di guidare il nostro comportamento a prescindere da esse.

Ora, immaginiamo di stare dormendo e di stare sognando. Un sogno di quelli incasinati, lunghi, a tratti terrorizzante oppure bellissimo. All’interno di quel sogno, dello spazio onirico in cui esso si svolge, noi siamo perfettamente convinti di essere noi. Ci sentiamo tali e subiamo passivamente tutto quello che accade. Infatti quando la strafiga di turno decide di darcela ecco che improvvisamente compare il parroco, che quando ci alziamo per fare il nostro solito voletto ci schiantiamo a terra e via sognando.

Al mattino, quando ci svegliamo, quel “noi” che stava nel sogno, semplicemente svanisce (il più delle volte in modo per lui del tutto inconsapevole), e noi recuperiamo la realtà abituale, in cui la strafiga di turno manco esiste ma questo è un altro paio di maniche.

Tuttavia, se abbiamo la fortuna di sperimentare quello che viene comunemente definito “sogno lucido” ecco che all’interno dello spazio onirico noi recuperiamo la nostra abituale concezione di “noi” e il sogno inizia automaticamente ad essere una specie di spettacolo teatrale nel quale non solo ci divertiamo ma che siamo addirittura in grado di gestire in qualche modo, determinandone in parte lo svolgimento (il parroco esplode, e noi decolliamo felicemente schivando persino il palo della luce). In questo caso il risveglio consiste semplicemente nella cessazione della condizione onirica e quel “noi” che eravamo in sogno, semplicemente apre gli occhi e si dedica alla realtà quotidiana. Di nuovo: pappa, cacca, gatto, tromba, sonno

Tutto chiaro? Bene! Ora alziamo il tutto di un livello. Vale a dire immaginiamo di essere in un sogno e che la nostra anima sia il vero noi, quello che, al momento della fine del sogno (ovvero della morte fisica), aprirà gli occhi per guardare la sua realtà. Noi, proprio come nell’esempio precedente, al momento del risveglio… svaniremo, esattamente nello stesso modo in cui il nostro io sognato svanisce al mattino quando ci alziamo.

Ed esattamente nello stesso modo, se invece noi, qui ed ora, accediamo alla consapevolezza di quell’altro io ovvero dell’anima che ci sta sognando, allora recuperiamo noi stessi all’interno del sogno che è la nostra vita, ed esattamente come nel caso di un sogno lucido, al momento del risveglio saremo ancora lì, mentre sarà il mondo esterno a dissolversi (parroco compreso).

Non so se sono riuscito ad essere chiaro, ma alla fine la consapevolezza è la coscienza di noi stessi. Solo che in un mondo complesso (e vagamente idiota) come quello in cui viviamo, per essere conquistata richiede la costante applicazione di alcuni processi che ci consentano di diventare progressivamente consapevoli di spazi di coscienza sempre più dilatati.

La consapevolezza si cerca quindi da un lato perchè siamo stufi di vivere come degli automi, in un mondo che non ci soddisfa minimamente e non rappresenta in alcun modo quello in cui davvero vorremmo vivere.

Dall’altro perchè alla fine dei nostri giorni, solo in questo modo potremo davvero “sopravvivere” al nostro corpo fisico.

Intendiamoci, non è che, anche nel migliore dei casi, dopo la morte uno si illumina. Se eri un idiota da vivo, a meno di casi molto particolari di cui questa non è la sede per parlare, sarai altrettanto idiota dopo la morte.

Certo che in qualche modo recupererai quello che eri prima di nascere ma… toglietemi una curiosità: chi vi dice cosa c’era di voi prima della nascita? E chi vi dice cosa ci sarà dopo la morte? Il prete? Il lama? Il guru? Gennaro ‘o Scarrafone? E dopo che l’ha detto come può questo cambiare la realtà dei fatti ovvero che non sappiamo una beata quanto autentica ceppa di cosa ci aspetta dall’altra parte?

Ecco, possiamo avere tutta la fede del mondo, tutta la fantasia dell’universo ma resta il fatto che realizzare noi stessi (ovvero diventare consapevoli di noi stessi nel senso più completo del termine) è l’unica vera possibilità di sopravvivenza che abbiamo in questa vita.

Da cui: se non ora…. quando?

Stop. Alla fine dei titoli di coda, sullo schermo campeggia di colpo la scritta:

Capito i furboni dello Zen? La sanno lunga quelli!

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Viviana

Ribadisco il concetto: scrivi indicibilmente bene.
E su argomenti un filino complessi, per di più.
Questo post credo lo farò leggere al mio Maestro…